Hannah Price è una fotografa e filmmaker statunitense nata nel 1986 ad Annapolis, Maryland, e cresciuta a Fort Collins, Colorado. Stabilitasi a Philadelphia a partire dal 2009, ha sviluppato una pratica autoriale che coniuga fotografia documentaria, ritratto e dispositivi narrativi orientati all’analisi delle politiche della razza, delle relazioni sociali e dei meccanismi di percezione e mispercezione dello sguardo. La dimensione biografica – donna di origini miste (afro‑americane e messicane) – informa la sua ricerca fin dagli esordi, collocandola nel filone di un fotogiornalismo contemporaneo che interroga criticamente gli stereotipi visivi. Dopo gli studi di base in Colorado, Price ottiene il Master of Fine Arts in Photography presso la Yale School of Art nel 2014, ricevendo il Richard Benson Prize per l’eccellenza in fotografia, riconoscimento che segnala precocemente la solidità tecnica e teorica del suo linguaggio (titolo, anno, istituzione e premio risultano in tutti i profili biografici consolidati).
La scelta di trasferirsi a Philadelphia costituisce un punto di svolta. In quell’ambiente urbano, Price intuisce la centralità – anche politica – dell’atto di ritrarre l’altro e, reciprocamente, di mettere in crisi la relazione tra chi guarda e chi è guardato. La città diviene laboratorio per un progetto che la renderà nota a livello internazionale, City of Brotherly Love (2009‑2012), mentre l’interesse per l’identità, le gerarchie di potere e i codici del quotidiano darà vita a ulteriori nuclei di lavoro come Resemblance (2008), Cursed by Night (2012‑2013) e Semaphore (2018). A Philadelphia Price consolida anche la sua rete espositiva e istituzionale: singole opere entrano nelle collezioni del Philadelphia Museum of Art e in quelle di altre istituzioni statunitensi; mostre personali sono organizzate in sedi come il Silver Eye Center for Photography (Pittsburgh), mentre rassegne collettive di rilievo – fra cui Close Enough: New Perspectives from Women Photographers of Magnum all’International Center of Photography di New York – contribuiscono a diffondere il suo lavoro su scala nazionale ed europea.
Il suo ingresso nell’orbita di Magnum Photos avviene nel 2020 con la nomina a Nominee Member. La relazione con Magnum non appiattisce la postura critica dell’autrice ma la amplifica sul piano della scrittura editoriale, del dibattito teorico e dei formati distributivi: saggi, interviste e approfondimenti prodotti dall’agenzia analizzano i presupposti politici delle immagini di Price, dalla costruzione del ritratto all’uso strategico del punto di vista come pratica di restituzione e non di appropriazione. In parallelo, l’autrice continua a operare come videomaker su commissione editoriale e culturale, spostando spesso il discorso dalla singola immagine alla sequenza – in stampa, in video o in ambiente installativo – con attenzione al tempo della lettura e al ruolo della voce dei soggetti.
I dati anagrafici e formativi sono la premessa per comprendere la coerenza interna della sua opera. Nata nel 1986, viva e attiva, Price appartiene alla generazione di autori che si è affacciata sulla scena all’inizio degli anni 2010, quando la visibilità dei temi razziali – amplificata da social media, citizen journalism e nuove piattaforme – ha imposto alla fotografia domande cruciali: chi rappresenta chi, come e perché. Le sue serie rispondono con un approccio che potremmo definire contra‑documentario: non negano l’istanza del documento, ma ne ribaltano le convenzioni, rinegoziando ruoli e posizioni. In City of Brotherly Love, l’autrice prende atto di un fenomeno di street harassment (i catcallers) e lo trasforma in incontro, conversazione, ritratto; in Cursed by Night, sospinge il linguaggio verso una grammatica dell’oscurità per rendere percepibili gli effetti di profilazione legati al “nero” come costruzione simbolica; con Semaphore porta in primo piano i segnali identitari – posture, abiti, tessuti, oggetti – come codice di traduzione sociale.
Nel corso della sua carriera, la fotografa ha ricevuto premi e ha preso parte a mostre e rassegne in musei, fondazioni e festival. Oltre al già citato Richard Benson Prize ottenuto alla Yale nel 2014, vanno segnalati i cicli espositivi dedicati a Semaphore e ai nuovi lavori presentati in spazi di ricerca, dove la combinazione di ritratto, video‑intervista e testo è stata posta al centro del dispositivo narrativo. Una sezione del suo lavoro è oggi parte di collezioni pubbliche negli Stati Uniti (Philadelphia; Madison, fra le altre), a conferma della tenuta museale del suo percorso. Price continua a vivere e lavorare a Philadelphia, struttura progetti editoriali e installativi e partecipa alla discussione internazionale sulla rappresentazione e sulla responsabilità dell’immagine.
Collocata nel quadro più ampio della storia della fotografia del XXI secolo, Price rappresenta una figura chiave nella rinegoziazione del ritratto sociale: non soltanto per i temi affrontati, ma per l’economia dello sguardo che istituisce, fondata su attenzione, dialogo, tempo condiviso, e su un’idea di autore che cede porzioni di controllo per lasciare spazio a soggettività spesso semplificate dai media. Questa postura etica finisce per coincidere con una precisa opzione estetica: immagini costruite con cura formale, ma senza compiacimento; luce e inquadratura usate come strumenti per aprire la relazione, non per chiuderla in una didascalia. In tale prospettiva, la biografia di Price – nascita, formazione, affermazione e attuale attività – è anche la storia di un posizionamento che ha reso la sua opera un riferimento per chi, oggi, intende la fotografia come pratica relazionale e atto critico.
Stile fotografico e approccio teorico
Il metodo di Hannah Price si inscrive nella tradizione della fotografia documentaria nordamericana, ma ne forza i limiti in direzione di una scrittura visiva che privilegia la relazione e la consapevolezza del dispositivo. L’assunto di partenza è che ogni immagine è un incontro; e che la qualità dell’incontro dipende dalla capacità dell’autore di ascoltare, sospendere il giudizio, condividere il tempo con i soggetti. Da qui deriva un’estetica riconoscibile: ritratti frontali o quasi‑frontali costruiti con rigore compositivo, impiego calibrato della profondità di campo per isolare il volto o i gesti senza cancellare i segni d’ambiente, uso attento della luce naturale (o di illuminazioni essenziali) per mantenere una scala tonale coerente con l’idea di prossimità.
Il ritratto per Price non è mai un dispositivo “estrattivo”: il soggetto non è prelevato dal mondo ma accolto in una relazione. City of Brotherly Love, la serie che l’ha resa nota, possiede in tal senso un valore paradigmatico: a un atto potenzialmente asimmetrico – l’approccio verbale in strada – l’autrice risponde trasformandolo in circolarità dello sguardo. L’operazione non si riduce a “ribaltare la camera” sui catcallers per punirli o esporli; piuttosto, istituisce un campo di negoziazione in cui chi ha interpellato per primo la fotografa diventa interlocutore e soggetto del ritratto. Ciò de‑stabilizza le logiche tradizionali del male gaze e, al tempo stesso, sottrae l’immagine a esiti moralistici. Ne risulta una polisemia controllata, in cui la presenza dell’altro – fra posture, sguardi diretti, sorrisi tesi o ambivalenti – non è spiegata, ma messa in condizione di manifestarsi.
In Cursed by Night si osserva un’altra operazione teorica: lavorare sulla notte e sull’oscurità non come semplice condizione luministica, bensì come metafora dei filtri percettivi che gravano sui corpi neri nello spazio pubblico. La bassa illuminazione, il contrasto fra luci artificiali e ombre, le traiettorie dei lampioni e delle insegne non servono a “drammatizzare”, ma a rendere visibile il modo in cui un contesto codifica i corpi, proiettandovi paure e stereotipi. La fotografia diventa così linguistica: impiega segni (neri profondi, ombre, margini dell’inquadratura) per mostrare un discorso sociale che precede l’incontro e che l’immagine tenta di disattivare proprio portandolo in primo piano.
In Resemblance, serie sui ritratti di studenti delle scuole superiori in contesti urbani, l’autrice indaga il tema della somiglianza non come calco estetico ma come campo relazionale: somiglianza a chi, a che cosa, secondo quali matrici culturali? Il ritratto, in questo caso, diventa occasione per far emergere le auto‑descrizioni e i modelli che i soggetti attribuiscono a se stessi, in un gioco di proiezioni e distorsioni che Price mette in scena con sottili scarti di posa e di luce.
Con Semaphore l’autrice dichiara esplicitamente l’interesse per i segnali d’identità. Il titolo rimanda al sistema di bandiere della marineria – un codice – e chiarisce il principio: identità come segnalazione volutamente ambigua, dove abbigliamento, oggetti, gesti, persino silenzi, funzionano da semafori per l’osservatore. La serie integra ritratto, video‑intervista e testo, ribadendo la volontà di costruire dispositivi plurali in cui la voce dei soggetti non è ancillare ma co‑autrice. La presentazione espositiva, che alterna stampe in bianco e nero a contributi audiovisivi, potenzia la dimensione processuale del lavoro e restituisce la densità di questioni – razza, genere, classe, potere – che raramente un solo medium può afferrare.
Sul piano dell’etica della rappresentazione, Price insiste su tre assi: consenso, tempo e trasparenza. Consenso non come semplice autorizzazione, ma come patto che rende possibile la sospensione degli automatismi percettivi e relazionali; tempo come risorsa per oltrepassare l’evento, il gesto o la formula tipica dell’istantanea; trasparenza come dichiarazione delle condizioni dello scatto e del posizionamento dell’autrice. Ne deriva un’idea di fotografia documentaria che ha poco a che vedere con la versione “forte” del documento: qui l’indice del reale è sempre attraversato da mediazioni esplicite, e proprio questa dichiarazione di parzialità sostiene la credibilità del progetto.
Dal punto di vista strettamente tecnico, il lavoro di Price mostra una padronanza dell’armonia tonale, una geografia dei piani accurata e un’attenzione particolare alla postura. La grana e la nitidezza sono calibrate per lasciare affiorare tessiture (pelle, tessuti, asfalto, intonaci), mentre la scelta di obiettivi e distanze tende a una prossimità non invadente, tale da evitare sproporzioni e deformazioni percettive. Nel progetto Cursed by Night la gestione della scena notturna conferma una notevole intelligenza luministica: nessun virtuosismo, piuttosto l’uso di luci reali e disponibili (insegne, fari, lampioni) per costruire campi di significato.
In un orizzonte storico‑critico, il contributo di Price consiste nell’aver consolidato una pratica relazionale che assume la politica dell’immagine come campo di lavoro quotidiano. La sua fotografia de‑gerarchizza l’atto di ritrarre, redistribuisce autorialità, e impiega forme editoriali (dal fotolibro all’installazione) che moltiplicano i tempi e i registri della lettura. Non a caso, la sua ricezione istituzionale – sale museali, centri di ricerca, festival – ha spesso riguardato progetti ibridi o dispositivi espositivi pensati per favorire la riflessione più che la fruizione rapida. Dentro questo perimetro, Hannah Price si colloca a pieno titolo tra gli autori che hanno contribuito a ridefinire, nel decennio 2010‑2020, le modalità di rappresentare identità e differenza con una fotografia che è al tempo stesso immagine e metodo.
Le Opere principali
Il percorso espositivo ed editoriale di Hannah Price si articola in serie che, pur autonome, dialogano fra loro, raccordate da un medesimo impalcato etico‑estetico. In ciascun progetto, la fotografa affronta un nodo – la relazione fra sconosciuti nello spazio pubblico; l’oscurità come script percettivo; la somiglianza come codice sociale; i segnali identitari – e lo sviluppa in una struttura narrativa che mette in tensione forma e contenuto. Di seguito una ricostruzione discorsiva delle opere più rilevanti, prima della sintesi finale.
City of Brotherly Love (2009‑2012). Realizzata nei quartieri di Philadelphia, questa serie ha dato visibilità internazionale all’autrice. Il dispositivo è semplice e radicale: fotografare gli uomini che la catcallano, talvolta subito, talvolta dopo un breve dialogo e su consenso. Il gesto, di per sé, non è un “contraccolpo” ma una rottura della routine; non un atto punitivo, bensì un invito a spostare la relazione dalla pretesa (la chiamata) al confronto (il ritratto). Formalmente, i ritratti alternano inquadrature strette a campi medi con contesto urbano leggibile (marciapiedi, piazze, facciate), evitando teatralizzazioni: luce reale, posizioni naturali, sguardi che restano complessi e non sempre confortevoli. Il progetto è stato oggetto di ampio dibattito pubblico – anche al di là dell’ambito fotografico – proprio per la sua ambivalenza: umanizza i soggetti senza assolverli, sospende il giudizio senza annullarlo, apre una zona grigia in cui lo scambio di sguardi diventa tema e metodo. Nel tempo, selezioni della serie sono entrate in collezioni museali e in mostre che hanno consacrato l’operazione come tappa significativa della fotografia sociale recente.
Resemblance (2008). Questa serie di ritratti di studenti in contesti urbani, precedente a City of Brotherly Love ma spesso letta in dialogo con essa, affronta la somiglianza come campo culturale. Il modo in cui ci si presenta – abiti, capelli, accessori – e il modo in cui si viene letti dalla società sono ricondotti nella fotografia a un esercizio di ascolto: la somiglianza non è un dato “naturale” ma un processo che coinvolge aspettative, immaginari, modelli. La serie lavora per micro‑variazioni: piccoli cambi di luce, sfondi che alludono a un territorio, gesti minimi che modulano postura e relazione. Ne risulta una mappa silenziosa delle iscrizioni sociali sul corpo, utile a comprendere in filigrana i successivi lavori.
Cursed by Night (2012‑2013). È forse l’opera più teorica di Price, quella in cui l’autrice usa in modo programmatico gli strumenti del linguaggio fotografico per materializzare un discorso sociale: la notte come matrice di sospetto e profilazione nei confronti dei corpi neri. Lavorando fra Brooklyn, Harlem, Hartford e Philadelphia, Price costruisce un atlante notturno fatto di ritratti, frammenti di strada, silenzi e traiettorie luminose. Qui l’oscurità non è “tema” ma attore: cancella, ammorbidisce, inghiotte o punta, mettendo in scena le ambivalenze di una percezione che ha radici culturali profonde. Le immagini non cercano di “illuminare” per rassicurare, ma riconoscono la violenza implicita di certi schemi percettivi, portandoli in superficie per disinnescarli. Alcune fotografie della serie sono state esposte e pubblicate in sedi che hanno dato risalto alla dimensione politica dell’operazione e alla sua scrittura formale netto‑scuro.
Semaphore (2018). Presentata in forma espositiva (con stampe, video e testi) e come progetto editoriale, Semaphore affronta la questione dei segnali d’identità. Il codice – alluso dal titolo – è qui tradotto in lessico visivo: ritratti in bianco e nero, interviste filmate in cui i soggetti articolano la propria autopercezione (per razza, genere, classe, potere), frasi e parole chiave che entrano nelle didascalie o nello spazio espositivo. Il montaggio guida lo spettatore fra affioramenti e ritrosie, dimostrando quanto una fotografia documentaria non riduzionista possa ancora produrre conoscenza senza ricorrere a spiegazioni esaustive. La presentazione in istituzioni dedicate all’immagine contemporanea ha dimostrato l’efficacia del progetto come dispositivo pedagogico e critico.
Still Standing (2022) e progetti editoriali recenti. Negli anni successivi Price continua a esplorare forme ibride che combinano ritratto, paesaggio umano e sequenze testuali, interrogando il modo in cui le comunità – soprattutto afro‑americane – mettono in campo strategie di resilienza in contesti urbani mutati da trasformazioni economiche e sanitarie. L’attenzione al micro‑quotidiano rimane uno dei tratti distintivi: dietro ogni immagine, un processo di ascolto e co‑costruzione del racconto che spiega perché il suo lavoro “funzioni” tanto sul piano estetico quanto su quello civico.
La cornice istituzionale in cui le opere circolano – musei, gallerie, spazi di ricerca, festival – è coerente con il profilo della fotografa: Philadelphia Museum of Art e Madison Museum of Contemporary Art conservano sue opere; il Silver Eye Center for Photography ha dedicato a Semaphore e a lavori successivi mostre personali; spazi come Hangar (Bruxelles) e l’International Center of Photography (New York) hanno inserito i suoi progetti in rassegne sul nuovo sguardo documentario. La partecipazione a programmi ed editoriali curati da Magnum Photos ha ulteriormente contestualizzato la sua produzione all’interno di un dibattito internazionale sul ritratto, sulla rappresentazione e sulla funzione pubblica dell’immagine.
Elenco sintetico delle opere chiave
- City of Brotherly Love (2009‑2012): ritratti di uomini che hanno catcallato l’autrice nello spazio pubblico di Philadelphia; dispositivo relazionale che trasforma un atto asimmetrico in incontro.
- Resemblance (2008): ritratti di studenti in contesti urbani; la somiglianza come processo sociale e culturale.
- Cursed by Night (2012‑2013): atlante notturno fra New York, Hartford e Philadelphia; l’oscurità come metafora delle proiezioni e della profilazione dei corpi neri.
- Semaphore (2018): ritratti, video e testi sui segnali d’identità; progetto ibrido e partecipativo in bianco e nero.
- Still Standing (2022) e lavori recenti: sequenze sul quotidiano e sulle forme di resilienza comunitaria in chiave documentaria ed editoriale.
Fonti
- Magnum Photos – Hannah Price on Identity, Projections and Distortions
- Magnum Photos – A Quiet Observation: Deconstructing Hannah Price’s Portraits of the Everyday
- All About Photo – Profilo di Hannah Price
- Silver Eye Center for Photography – Semaphore (mostra 2018)
- The Morning News – City of Brotherly Love (intervista e gallery)
- Slate – Analisi critica su City of Brotherly Love
- Photoville – Scheda artista e attività espositive
- Hangar Photo Art Center – Scheda sintetica
Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
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