sabato, 8 Novembre 2025
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Sabiha Cimen

Sabiha Çimen nasce nel 1986 a Istanbul, Turchia, in una famiglia di origine curdo-persiana. La sua biografia è strettamente intrecciata con il contesto culturale e religioso in cui cresce, segnato da una forte tradizione islamica e da dinamiche sociali complesse. Durante l’adolescenza, frequenta una scuola femminile di memorizzazione del Corano, esperienza che diventerà il nucleo tematico del suo lavoro più celebre, Hafiz. Questo percorso formativo, che richiede anni di studio intensivo per imparare a memoria le 6.236 versetti del testo sacro, imprime nella fotografa una sensibilità particolare verso le questioni di identità, visibilità e rappresentazione delle donne musulmane.

Dopo aver completato gli studi religiosi, Çimen affronta le difficoltà legate al divieto del velo nelle università turche, che per anni ha limitato l’accesso delle donne velate all’istruzione superiore. Nonostante queste restrizioni, riesce a iscriversi all’Istanbul Bilgi University, dove ottiene una laurea in Commercio Internazionale e Finanza e successivamente un Master in Studi Culturali. La sua tesi di laurea magistrale, dedicata agli studi subalterni, include il progetto fotografico Turkey as a Simulated Country, pubblicato nel 2019 da Cambridge Scholars Publishing. Questo lavoro teorico segna il passaggio verso una pratica visiva consapevole, che integra analisi critica e narrazione fotografica.

Çimen è una fotografa autodidatta: il suo avvicinamento alla fotografia avviene in modo indipendente, attraverso esperimenti personali e un progressivo interesse per il linguaggio delle immagini come strumento di indagine sociale. Nel 2017, decide di tornare nelle scuole coraniche femminili per avviare il progetto Hafiz, che svilupperà per quattro anni, viaggiando in cinque città turche e costruendo un corpus di immagini che raccontano la quotidianità delle giovani studentesse. Questo lavoro, profondamente autobiografico, le consente di elaborare una scrittura visiva interna alla comunità, evitando gli stereotipi e le rappresentazioni esotizzanti che spesso caratterizzano la narrazione occidentale delle donne musulmane.

Il riconoscimento internazionale arriva con la pubblicazione del libro Hafiz: Guardians of the Qur’an (Red Hook Editions, 2021), che vince il Paris Photo–Aperture Foundation First PhotoBook Award. Il progetto ottiene anche il W. Eugene Smith Memorial Fund Grant, il Canon Female Photojournalist Grant e il World Press Photo Award (secondo posto nella categoria Long-Term Projects). Nel 2021, Çimen è selezionata per la Light Work Artist Residency, mentre nel 2018 aveva già partecipato alla Joop Swart Masterclass della World Press Photo Foundation.

Parallelamente ai premi, la fotografa consolida la sua posizione nel panorama internazionale entrando in Magnum Photos: nominata membro candidato nel 2020, diventa associate nel 2022 e membro effettivo nel 2024. Vive tra Istanbul e New York, sviluppando progetti che interrogano le politiche della rappresentazione e la condizione femminile nell’Islam contemporaneo.

Le sue opere sono state esposte in istituzioni di rilievo, tra cui il Kunsthal di Rotterdam, il Nobel Peace Center di Oslo, il Getxophoto Festival e numerose gallerie internazionali. Oltre alla fotografia, Çimen si dedica alla scrittura e alla ricerca teorica, mantenendo una prospettiva critica che fonde esperienza personale, analisi culturale e pratica artistica.

Stile fotografico e approccio teorico

Il linguaggio visivo di Sabiha Çimen si colloca in una zona di confine tra fotografia documentaria, narrazione autobiografica e ricerca antropologica, con una tensione costante verso la rappresentazione critica delle comunità femminili musulmane. La sua pratica nasce da un’esperienza personale – gli anni trascorsi in una scuola coranica femminile – che diventa matrice di un metodo fondato sulla prossimità e sulla trasparenza relazionale.

Uno dei tratti distintivi del suo stile è la centralità del quotidiano come campo di resistenza simbolica. Nei progetti più noti, come Hafiz, Çimen evita ogni estetica esotizzante o retorica del sacrificio: le immagini non cercano di “spiegare” l’Islam, ma di abitare la sua dimensione vissuta, mostrando gesti minimi, rituali domestici, momenti di gioco e pratiche di studio. Questa scelta implica una scrittura visiva sobria, lontana dalla spettacolarizzazione: luce naturale, inquadrature stabili, palette cromatiche calde e neutre che restituiscono la densità tattile degli ambienti – tappeti, tessuti, libri – senza cadere nell’ornamento.

Sul piano tecnico, Çimen predilige il formato orizzontale, con profondità di campo controllata per isolare il soggetto pur mantenendo tracce ambientali. Nei ritratti, la posizione è spesso frontale, ma mai rigida: lievi torsioni, sguardi decentrati e gesti sospesi introducono una ambiguità che sottrae l’immagine alla didascalia. La luce è gestita per creare gradazioni morbide, evitando contrasti violenti; il colore, calibrato su toni terrosi e pastello, costruisce un’atmosfera di intimità che contrasta con la percezione esterna delle scuole coraniche come spazi chiusi e severi.

Un elemento chiave del suo approccio è la dialettica tra documento e memoria. Çimen non si limita a registrare il presente, ma lo interroga attraverso inserti testuali, citazioni coraniche e riferimenti autobiografici che compaiono nei libri e nelle mostre. In Hafiz, ad esempio, la sequenza editoriale alterna ritratti, scene di studio, momenti ludici e dettagli di oggetti (penne, quaderni, veli), componendo una narrazione corale che restituisce la complessità di un universo femminile spesso ridotto a stereotipo. La pagina bianca, il ritorno di motivi iconici (mani che sfogliano, bocche che recitano, occhi che si concentrano) e la ripetizione variata sono figure retoriche che sostituiscono la linearità cronologica con una logica poetica, in cui il senso si produce per risonanza e differenza.

Dal punto di vista etico, la pratica di Çimen si fonda su una relazione di fiducia con le comunità ritratte. Lontana da ogni forma di voyeurismo, la fotografa costruisce rapporti di prossimità che le consentono di accedere a spazi privati e di rappresentare esperienze marginali senza cadere nella retorica della vittimizzazione. Questa postura si traduce in una scrittura visiva rispettosa, che evita la violenza dello sguardo e privilegia la co-autorialità: le persone ritratte partecipano alla definizione delle immagini, scegliendo abiti, pose e oggetti che veicolano la loro autonarrazione.

Un altro asse di riflessione è la temporalità. Se il fotogiornalismo tradizionale è orientato all’evento, Çimen lavora sul tempo lungo: le sue immagini non cercano la notizia, ma la persistenza di condizioni storiche e culturali. Questa scelta implica una estetica della lentezza, visibile nella serialità dei ritratti, nella ripetizione di motivi (veli, libri, mani) e nella assenza di climax narrativi. Il risultato è una scrittura visiva che pensa la storia come durata, non come sequenza di shock.

Nei lavori più recenti, la fotografa approfondisce la dimensione editoriale e installativa: il libro Hafiz è concepito come dispositivo narrativo, in cui immagini e testi dialogano per costruire una struttura aperta, capace di accogliere la complessità del reale senza ridurla a cronaca. Le mostre, presentate in festival e musei, ampliano questa logica attraverso ambienti immersivi che integrano fotografie, suoni e citazioni, trasformando la fruizione in esperienza sensoriale.

In sintesi, lo stile di Sabiha Çimen si definisce attraverso cinque vettori:

  • Autobiografia come matrice narrativa (esperienza personale come chiave di accesso).
  • Estetica della sobrietà (luce naturale, cromie calde, composizioni equilibrate).
  • Etica relazionale (fiducia, co-autorialità, prossimità).
  • Ibridazione dei linguaggi (fotografia, testo, archivio, installazione).
  • Temporalità estesa (serialità, ripetizione, durata).

Questi elementi collocano Çimen tra le figure più innovative della fotografia documentaria contemporanea, capace di ridefinire il paradigma del racconto visivo in chiave poetica e critica, con una attenzione costante alla politica dell’intimo e alla rappresentazione delle donne musulmane.

Le Opere principali

L’attività di Sabiha Çimen si articola in cicli di lavoro di lunga durata che coniugano fotografia documentaria, narrazione autobiografica e ricerca culturale. Il filo conduttore è l’attenzione alle comunità femminili musulmane e ai loro spazi di formazione, gioco, disciplina e desiderio, trattati con un linguaggio visivo sobrio, partecipativo e orientato alla prossimità. La sua produzione si colloca nel quadro del fotogiornalismo contemporaneo che ha messo al centro il punto di vista interno (insider) per scardinare lo sguardo esotizzante, e trova una sua piena formalizzazione editoriale in libri fotografici dalla forte identità progettuale.

L’opera che ha imposto Čimen sulla scena internazionale è Hafiz (2017–2021), un corpus sviluppato in cinque città della Turchia all’interno di scuole femminili di memorizzazione del Corano, frequentate dall’autrice in adolescenza. Il progetto nasce come ritorno: una ricognizione affettiva e critica nei luoghi in cui la disciplina della memorizzazione convive con la vita quotidiana delle allieve, fra studio, canto, pause, giochi e cerimonie di passaggio. La struttura narrativa rinuncia alla retorica del “dietro le quinte” e preferisce vignette di intimità, attraversate da dettagli (mani che segnano i versetti, quaderni, tessuti, oggetti personali) che modulano un tempo lento e circolare. La scelta del medio formato a colori sostiene la profondità tattile della scena e una tavolozza coerente con l’idea di prossimità (toni caldi, pastello, luce naturale), restituendo un’esperienza dall’interno. L’impatto dell’opera è documentato dai principali riconoscimenti: W. Eugene Smith Memorial Fund (2020), Canon Female Photojournalist Grant (2020), World Press PhotoLong Term Projects (secondo premio, 2020) e, soprattutto, il Paris Photo–Aperture First PhotoBook Award per il volume Hafiz: Guardians of the Qur’an (Red Hook Editions, 2021; seconda edizione 2023). Il libro, con 99 fotografie in 140 pagine, legatura open‑spine ed ebru artigianale in antiporta, è progettato come dispositivo: sequenze ariose, ampi margini bianchi, capitoli impliciti che alternano ritratti, micro‑scene, oggetti, e un apparato testuale dosato, capace di orientare senza chiudere il senso. La sua circolazione museale – Kunsthal Rotterdam – e festivaliera testimonia la tenuta espositiva del progetto

All’interno di questo asse maggiore, Hafiz include sottoserie tematiche che la critica ha messo in evidenza: i momenti di ricreazione (giostre, neve, cortili), le coreografie rituali (canti di commiato), le soglie domestiche (aule, dormitori, refettori), le iconografie di studio (pagine, strumenti, segni). L’insieme costruisce una polifonia in cui le giovani donne appaiono come soggetti e non come oggetti di racconto, mettendo in crisi l’abitudine mediale a ridurle a segni (il velo, prima di tutto).

Accanto a Hafiz, la produzione di Çimen comprende lavori autonarrativi e di osservazione urbana che rafforzano la sua posizione nel contesto di Magnum Photos. Nel periodo 2020–2024, tra Istanbul e New York, sviluppa micro‑racconti su gesti, posture, segni identitari nello spazio pubblico, spesso pubblicati in forma editoriale o presentati in mostre collettive e rassegne (si vedano i contributi in Magnum Editions, la partecipazione a mostre corali come Close Enough e le presentazioni in gallerie e festival). In questi lavori ricorrono alcune figure retoriche della sua poetica: la soglia (porte, finestre, recinti), la ripetizione (serie di gesti o abiti che cambiano per minimi scarti), il contrappunto fra gioco e regola (ad esempio le scene di parchi divertimento e ricreazioni scolastiche).

La coerenza della forma‑libro è un’altra cifra di rilievo. Hafiz – come libro fotografico – funziona da architettura di senso: l’alternanza di pagine “piene” e pagine di respiro, il ritmo fra singole e doppie (una o due immagini per pagina), il posizionamento delle didascalie in coda con thumbnail riattiva la lettura come montaggio mentale e preserva l’apertura interpretativa. Questa attenzione agli aspetti grafici e materici (dalla marbling ebru ai motivi ornamentali ispirati alle arti islamiche) è coerente con l’idea di libro come luogo – non semplice contenitore – e colloca l’autrice in un orizzonte di libri fotografici in cui l’oggetto fisico produce significato.

In ambito espositivo, la selezione di Hafiz al Kunsthal Rotterdam e la successiva circolazione in festival europei ha favorito un allestimento immersivo: stampe di grande formato, introduzioni testuali essenziali, riferimenti ornamentali che dialogano con la copertina e con il layout del libro, e una mappa dei luoghi fotografati. L’insieme trasforma lo spazio in un luogo di attraversamento, dove lo spettatore è invitato a sostare sui tempi della quotidianità.

Il riconoscimento professionale si riflette nella traiettoria in Magnum Photos: Nominee (2020), Associate (2022), Member (2024). Non si tratta di un dato meramente curricolare: l’ingresso in Magnum ha consolidato la visibilità del suo lavoro e ne ha favorito la contestualizzazione critica attraverso interviste, saggi, print sales, attività di mentoring e presenza in programmi istituzionali. Tale percorso conferma la solidità di una pratica autoriale che unisce rigore di ricerca e tenuta formale.

Sul piano tematico, l’insieme delle opere di Çimen può essere letto come una cartografia dell’adolescenza e dei suoi passaggi nel quadro dell’Islam vissuto: discipline del corpo e della voce, amicalità, giochi di ruolo, sperimentazioni di stile (veli, colori, accessori), cerimonie e tempo libero. Il contributo più originale consiste nell’avere ri‑inscritto queste categorie in una storia della fotografia spesso cieca o parziale rispetto alle soggettività musulmane, offrendo – dall’interno – narrazioni complesse, non apologetiche e non vittimarie.

Elenco sintetico delle opere chiave

  • Hafiz: Guardians of the Qur’an (2017–2021; libro 2021/2023): ciclo in medio formato a colori nelle scuole coraniche femminili turche; narrazione di studio, gioco e riti; Paris Photo–Aperture First PhotoBook Award, W. Eugene Smith Fund, Canon Female Photojournalist Grant, World Press Photo – Long Term Projects (2° premio).
  • Hafiz – Installazioni/Musei (2019–2025): selezioni e allestimenti immersivi in Kunsthal Rotterdam e festival europei; dialogo fra stampa e ornamentazione ispirata alle arti islamiche; regia di sequenze che rispecchiano la struttura del libro.
  • Micro‑narrativi urbani (2020–2024): ritratti e scene di spazio pubblico ad Istanbul e in contesti diasporici; ricorrenza di soglie, ripetizioni, contrappunti tra gioco e regola; circolazione in mostre collettive e Magnum Editions.
  • Turkey as a Simulated Country (2019, in tesi e pubblicazione accademica): esercizio teorico‑visivo che anticipa i temi di rappresentazione e cornici discorsive; ponte tra studi culturali e pratica fotografica.

Fonti

Curiosità Fotografiche

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