Walker Evans nacque il 3 novembre 1903 a St. Louis, Missouri, e morì il 10 aprile 1975 a New Haven, Connecticut. La sua figura occupa un ruolo centrale nello sviluppo della fotografia documentaria americana del XX secolo, rappresentando uno dei massimi esempi di come la macchina fotografica possa farsi strumento d’indagine culturale, antropologica ed estetica. Il suo approccio rigoroso, la sensibilità compositiva e la scelta di mezzi tecnici raffinati hanno definito un linguaggio visivo in grado di influenzare intere generazioni di fotografi, critici e storici.
Origini e formazione
La formazione di Evans si sviluppò in un ambiente privilegiato, circondato da stimoli intellettuali e culturali. Cresciuto in un contesto familiare benestante, fu educato in prestigiose scuole preparatorie che gli permisero di approfondire la letteratura, disciplina che esercitò una forte influenza sul suo approccio alla fotografia. Durante un soggiorno europeo negli anni Venti, entrò in contatto con le correnti artistiche d’avanguardia e con la fotografia modernista, maturando un’estetica fortemente improntata all’oggettività, alla chiarezza compositiva e alla precisione formale.
Rientrato negli Stati Uniti, iniziò a dedicarsi alla fotografia da autodidatta. Evans non frequentò scuole specialistiche di fotografia, preferendo sperimentare direttamente sul campo. I primi lavori furono legati a ritratti e studi urbani, in cui si nota già un marcato interesse per la geometria della realtà e per il dettaglio come dispositivo narrativo. A New York, sviluppò un linguaggio fotografico che rifletteva la sua formazione letteraria: ogni immagine era concepita come una pagina scritta, con una propria struttura e un proprio ritmo interno.
La sua propensione per la fotografia intesa come esercizio di osservazione e trascrizione fedele della realtà trovò piena espressione quando iniziò a lavorare su incarico di agenzie governative per documentare le condizioni socio-economiche dell’America durante la Grande Depressione. In questi anni si definisce la poetica di Evans: una poetica della distanza, dell’oggettività, della descrizione senza commento. La fotografia, per lui, era un atto di testimonianza silenziosa.
Carriera fotografica e stile documentario
La carriera di Walker Evans si consolidò negli anni Trenta, quando venne incaricato da programmi federali come la Resettlement Administration e la Farm Security Administration di documentare la condizione della popolazione rurale americana durante la crisi economica. Il suo metodo di lavoro era basato sulla pazienza, sulla ripetizione e sull’analisi precisa del soggetto. Evans non cercava mai lo scatto sensazionale: al contrario, desiderava che le sue fotografie si imponessero per la loro sobrietà, per l’assenza di retorica e per la compostezza della loro costruzione.
Utilizzando prevalentemente una macchina a grande formato, Evans scattava immagini con una profondità di campo estesa, sfruttando diaframmi molto chiusi e tempi di posa lunghi, spesso su cavalletto. Questo approccio gli permetteva di ottenere fotografie estremamente dettagliate, in cui ogni elemento dell’inquadratura aveva un peso preciso, e dove nulla era lasciato al caso. L’inquadratura frontale, la simmetria delle composizioni e l’uso controllato della luce naturale costituivano la grammatica fondamentale del suo stile.
Il suo lavoro documentaristico non si limitava all’analisi delle persone, ma comprendeva anche le architetture rurali, i cartelloni pubblicitari, le insegne, gli interni spogli delle abitazioni dei lavoratori agricoli. L’obiettivo di Evans era costruire un inventario visivo della cultura materiale americana, un archivio fotografico in cui i segni della civiltà fossero osservati con la stessa attenzione dedicata ai volti umani. La sua capacità di coniugare rigore formale e profondità umana è uno dei tratti distintivi della sua opera.
Negli anni successivi, Evans lavorò per diverse riviste di prestigio, tra cui Fortune, contribuendo a rinnovare la fotografia editoriale attraverso un’estetica sobria e rigorosa. I suoi servizi fotografici per il mondo del lavoro industriale, per gli ambienti urbani e per la vita quotidiana nelle città americane rappresentano una prosecuzione coerente della sua ricerca. Anche nel passaggio al colore, Evans mantenne intatta la sua filosofia di base: fotografare ciò che esiste, senza drammatizzazioni, con la massima fedeltà e chiarezza.
Tecnica e attrezzatura
L’approccio tecnico di Walker Evans era determinato da una volontà di controllo assoluto sull’immagine. La sua fotocamera principale, per molti anni, fu una grande lastra 8×10 pollici: uno strumento imponente, lento da usare, ma in grado di garantire una nitidezza e una qualità tonale ineguagliabili. Questo formato gli consentiva di ottenere stampe dettagliatissime, in cui ogni tessitura, ogni riflesso, ogni traccia della materia fotografata fosse visibile con estrema precisione.
Evans lavorava spesso con luce naturale, regolando l’esposizione in funzione della resa dei grigi e del controllo delle ombre. Usava diaframmi chiusi, talvolta fino a f/64, per assicurarsi che l’intera scena fosse a fuoco. I tempi di esposizione potevano essere lunghi, e richiedevano l’assoluta immobilità dei soggetti. Questa tecnica contribuiva a creare immagini dalla forte intensità statica, in cui il tempo sembrava sospeso. Ogni fotografia era frutto di un processo meditativo, che escludeva l’improvvisazione.
Negli anni Quaranta e Cinquanta, Evans cominciò a utilizzare macchine più piccole, come la Leica 35 mm, soprattutto per lavori di reportage urbano. Questo passaggio non modificò la sua attenzione per la composizione, ma gli permise di ottenere immagini più immediate, cogliendo momenti fugaci senza rinunciare alla qualità tecnica. Il passaggio successivo fu l’utilizzo della Polaroid SX-70, che adottò negli anni Settanta con entusiasmo. Il formato istantaneo, con i suoi limiti e le sue caratteristiche peculiari, venne reinterpretato da Evans come uno strumento per indagare il quotidiano con nuova leggerezza.
La varietà degli strumenti usati dimostra la flessibilità del suo pensiero tecnico: non era lo strumento a determinare il linguaggio, ma il linguaggio a piegare lo strumento alle sue esigenze. Anche quando utilizzava mezzi più “popolari” o tecnologicamente limitati, Evans manteneva uno sguardo analitico e distaccato, sempre alla ricerca dell’essenza visiva delle cose.
Opere principali
Tra le opere più significative di Walker Evans spicca American Photographs (1938), volume che raccoglie una selezione delle fotografie esposte al MoMA di New York. Questo libro è considerato una pietra miliare nella storia dell’editoria fotografica per la sua costruzione formale e concettuale. Le immagini non sono accompagnate da didascalie immediate, ma disposte in sequenze che evocano un discorso silenzioso sulla nazione americana. Architetture, volti, interni, oggetti quotidiani: tutto è fotografato con uno sguardo sobrio, privo di enfasi, e ordinato in una narrazione implicita.
Un’altra opera fondamentale è Let Us Now Praise Famous Men (1941), frutto della collaborazione con lo scrittore James Agee. Questo libro è un esperimento unico nella storia della fotografia e della letteratura: una cronaca della vita di tre famiglie di contadini dell’Alabama, dove le fotografie precedono o affiancano lunghi testi letterari. Evans ritrasse case, vestiti, oggetti, persone, animali e ambienti con una neutralità apparente che rivelava invece un acuto senso della composizione e dell’empatia.
Negli anni Sessanta, Evans pubblicò Many Are Called, una raccolta di fotografie realizzate di nascosto nella metropolitana di New York, usando una macchina fotografica nascosta sotto il cappotto. Queste immagini, per quanto catturate furtivamente, mantengono un’eleganza e una compostezza formale che rimandano ai suoi primi lavori: ogni volto racconta una storia, ogni gesto suggerisce una condizione. È il ritratto involontario di un’America urbana e anonima, vista con lo sguardo fermo di un antropologo del quotidiano.
Le sue ultime sperimentazioni con la Polaroid, pubblicate postume in diversi cataloghi, mostrano una sensibilità cromatica nuova, quasi pittorica. L’istantaneità del mezzo non lo distolse dal suo rigore, ma gli offrì nuovi strumenti per esplorare il tema della memoria, dell’erosione del tempo, del dettaglio come indizio.