Gordon Roger Parks nacque il 30 novembre 1912 a Fort Scott, Kansas, ed è deceduto il 7 marzo 2006 a New York City, New York.
Gordon Parks trascorse i primi anni in un contesto di povertà rurale e di tensioni razziali tipiche del Midwest americano di inizio Novecento. Rimasto orfano di madre a soli dodici anni, visse con diversi parenti acquisiti e si spostò frequentemente, sperimentando fin da giovane una forma di adattamento visivo che lo avrebbe portato, da adulto, a cogliere la dignità di ogni soggetto fotografato. A tredici anni iniziò a usare una modesta kodak box camera Brownie per ritrarre la famiglia e i paesaggi della contea di Douglas. Imparò da autodidatta le basi dell’esposizione e della composizione, considerando ogni inquadratura come un’opportunità per comprendere il mondo che lo circondava. Molti dei suoi primi negativi vennero sviluppati in semplici tanK domestici con soluzioni di sviluppo a base di D‑76, miscelate secondo le istruzioni su confezione, mantenendo il bagno a temperatura ambiente (circa 20 °C).
Nel 1933, spinto dal desiderio di studiare arte e moda, si trasferì a Saint Paul, in Minnesota, dove trovò impiego come custode di uno studio fotografico professionale. Qui poté osservare macchine di grande formato come la Graflex Super D, usata per ritratti in studio e ritrattistica commerciale. Pur senza frequentare accademie fotografiche, apprese l’uso delle luci flash a bulbo e delle lampade al tungsteno utilizzate per scatti in interni. A contatto con fotografi professionisti scoprì il valore dell’illuminazione controllata, della messa a fuoco selettiva e del ritocco manuale sulle lastre negative.
Nel corso degli anni Trenta esercitò lavori saltuari, spostandosi tra Saint Paul e Minneapolis, partecipando a workshop organizzati da associazioni di fotografi amatoriali. Qui si addentrò nel mondo della fotografia a pellicola 35 mm grazie a una Leica IIIf in prestito, esplorando le possibilità narrative del fotogiornalismo urbano: tempi di posa veloci fino a 1/500 di secondo e diaframmi aperti a f/2.8 per isolare i soggetti in movimento lungo le strade cittadine. L’esperienza lo spinse a comprendere l’importanza di un maggiore contrasto tonale, raggiunto sia in fase di sviluppo, alterando i tempi di immersione nel bagno di sviluppo, che in camera oscura, variando l’esposizione delle stampe.
Fu il suo primo portfolio, inviato nel 1941 alla Farm Security Administration (FSA), a trasformare la sua vita. Espose negativi realizzati con una Graflex Speed Graphic 4×5″, attrezzata con ottica Kodak Anastigmat 127 mm f/4.7, che offriva un rapporto di grande definizione su lastre di vetro. Le scene di vita rurale e urbana, con forti contrasti e composizioni quasi pittoriche, convinsero Roy Stryker della FSA ad assumerlo come fotografo documentarista per il progetto di rinascita delle campagne americane. In questo contesto, imparò a padroneggiare la profondità di campo estesa e l’uso delle linee prospettiche per guidare lo sguardo, mentre il bag-netto di sviluppo oscillava attorno a 22 °C per garantire una gradazione tonale morbida e dettagli ricchi sia nelle alte luci sia nelle ombre.
Evoluzione stilistica e tecniche fotografiche
Durante il quinquennio alla FSA, Parks affinò uno stile documentario basato su un uso consapevole della lente a focale fissa e di accessori ottici quali filtri gialli e arancioni, impiegati per modulare il cielo e aumentare il contrasto tra pelle e abiti. Prediligeva il formato grande (4×5″) per la resa di texture, superfici e dettagli architettonici – particolarmente evidente nella serie dedicata ai lavori agricoli del Mississippi. Accanto ai ritratti in studio realizzati con flash bulb sincronizzati a 1/60 di secondo, sperimentò l’illuminazione naturale con riflettori a bandiera per controllare la luce nelle scene di strada.
Terminata l’esperienza FSA nel 1946, Parks divenne fotografo di Life magazine, dove consolidò un linguaggio visivo personale. Abbandonò temporaneamente il grande formato in favore del formato medio con Rolleiflex 2.8F, che gli garantiva maggiore rapidità di scatto pur mantenendo un’eccellente nitidezza. Nel nuovo workflow, usava pellicole Kodak Tri‑X 400 in bianco e nero, sviluppandole in rodanuro d’argento a 20 °C, un agente che enfatizzava i dettagli in ombra mantenendo una grana delicata.
Il passaggio al medio formato lo portò a sperimentare la composizione a doppia esposizione, sovrapponendo ritratti e paesaggi per evocare un senso di memoria collettiva. In alcuni reportage dedicati alla vita afroamericana a Harlem, calibrò il contrasto su gradazioni elevate (fino a contrasto 4 su carta baritata) per dare al bianco e nero un effetto quasi cinematografico. Il controllo dello sviluppo veniva garantito raffreddando temporaneamente il bagno di sviluppo di 2–3 °C quando le stampe mostravano troppi dettagli nelle alte luci.
Negli anni Sessanta, per alcuni servizi a colori utilizzò la pellicola Ektachrome 100 SS, lavorata in E‑6 a 38 °C, riuscendo a ottenere tonalità intense e naturali. In interni fece largo uso di illuminazione mista, calibrando il bilanciamento del bianco tra 3200 K (tungsteno) e 5500 K (luce diurna), misurato con un esposimetro Gossen Sixtomat. Le diapositive così ottenute venivano scannerizzate ad alta risoluzione (export 4.000 dpi) e stampate su carta RA4 in test tipografico per le copertine di Life, ottenendo colori vibranti e contrasti elevati.
Il confronto fra fotografia analogica e digitale avvenne radicalmente a fine anni Ottanta, quando Parks sperimentò il segnale analogico-digital conversion su luci HMI con tubi a scarica e una digitalizzatrice Linotype-Hell da 800 dpi. Pur apprezzando la flessibilità digitale, continuò a usare il grande formato per lavori personali, sviluppando lastre a contatto diretto con carta baritata per preservare ogni minimo dettaglio.
Fotogiornalismo e progetti documentari
La parabola di Parks come fotogiornalista si sviluppò fra l’attenzione ai grandi temi sociali e l’impegno per i diritti civili. Nel 1952, Life pubblicò il suo celebre servizio sui membri del coro gospel a Pittsburgh: ritratti realizzati con Rolleiflex a 1/125 s e f/4, montando un filtro polarizzatore per eliminare riflessi sui volti sudati e restituire profondità alle nuvole in controluce. Fu un’immagine che rimase scolpita nell’immaginario collettivo, grazie a un contrasto tonale modulato in stampa con curve a S per accentuare i neri.
Nel 1960, durante la campagna per i diritti civili, seguì Martin Luther King Jr. con una Leica M3 e pellicola Kodak T‑Max P3200, sviluppata in Microdol‑X a 18 °C per preservare la grana marcata che rifletteva la tensione delle manifestazioni. I tempi di posa, spesso limitati da condizioni di luce scarsa, scendevano fino a 1/30 di secondo e i diaframmi si aprivano fino a f/2 per catturare dettagli facciali e slogan sui cartelli.
Nella metà degli anni Sessanta, il progetto “Harlem Gang Leader” lo vide usare la Graflex Speed Graphic con lastre di vetro da 4×5″ per documentare le gang giovanili. Il formato grande permise di ottenere dettagli precisi delle texture dei muri scrostati e dei vestiti consumati, mentre l’illuminazione si basava su flash bulb sincronizzati a 1/50 di secondo. Ogni lastra negativa fu sviluppata con un bagno di sviluppo a temperatura controllata (21 °C) e fissata con tiosolfato di sodio, quindi lavata per 30 minuti per eliminare ogni residuo chimico.
Verso la fine degli anni Settanta si dedicò a progetti editoriali di ritratto per Vogue e Ebony, realizzando sessioni in studio con Hasselblad SWC e obiettivi Zeiss Distagon 38 mm che offrivano una resa cromatica neutra e una distorsione minima. Il supporto di flash Profoto D1 in combinazione con softbox e stripbox permise di plasmare volti e abiti secondo un’estetica elegante e diretta.
Principali opere di Gordon Parks
La sua produzione fotografica comprende diversi progetti iconici, ognuno frutto di un approccio tecnico-materico rigoroso e di una sensibilità narrativa unica.
“Harlem Gang Leader” (1948) documenta la vita dei membri delle East Harlem Hoods con lastre 4×5″ sviluppate a contatto diretto: le stampe su carta baritata contengono ogni dettaglio di tessuti e mattoni scrostati, grazie a un contrasto controllato (gradazione 2) e bagni di fissaggio prolungati.
“Segregation Story” (1956) utilizza Leica M2 e pellicola Tri‑X, scattata durante un viaggio attraverso gli Stati del Sud: l’uso di tempi rapidi (1/250 s) e diaframmi f/5.6 cattura scene di vita quotidiana con chiarezza documentaria. Le immagini furono stampate su carta da diario Life con gradazione minima per dare spazio ai grigi e alle sfumature emotive.
“Flavio, Vista Hotel” (1961) uno dei ritratti più celebri della serie FSA, realizzato con Graflex e ottica Kodak 127 mm, giocando sulla luce laterale filtrata da tende di cotone grezzo per creare un chiaroscuro morbido ma incisivo sul volto del soggetto.
“Pittsburgh Corners” (1950) documenta la vita ai margini della prosperità americana con Rolleiflex 2.8F e pellicola Plus‑X sviluppata in Metol‑Idrochinone per un contrasto elegante che valorizza l’architettura urbana.
“Life Magazine Covers” (1952–1972) spaziano da scatti in bianco e nero a composizioni a colori su Ektachrome, tutti lavorati secondo rigide procedure di sviluppo E‑6 e stampa RA4, esportati in stampa offset con separazione CMYK calibrata a 0,5 dot per millimetro per le copertine di copertura mondiale.
“Shaft” (1971), film d’esordio come regista, vide Parks dirigere set cinematografici con la stessa cura fotografica: usando pellicola 35 mm Panavision e obiettivi Zeiss Ultra Speeds, orchestrò luci tungsteno 2.800 K e flash strobe per riprese notturne, introducendo un’estetica visiva derivata dalle sue esperienze fotografiche.
“Splendor in the Grass” (1981) per Vogue, sessione fotografica in bianco e nero con Hasselblad H1 e sensore digitalizzato, stampata poi su carta FineArt con inchiostri pigmentati, dove ogni curva tonale fu gestita attraverso profili ICC creati ad hoc.
Ognuna di queste opere testimonia la capacità di Parks di coniugare il rigore tecnico – dalla scelta di formati e pellicole allo sviluppo e alla stampa – con una straordinaria profondità umana e narrativa.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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