Il marchio Klein (non da confondere con il fotografo William Klein) si affaccia nel panorama delle fotocamere italiane della metà del Novecento, radicandosi nello scenario romano degli anni ’50. Il primo modello, semplicemente chiamato Klein, viene prodotto nel 1951 da una PMI della Capitale, probabilmente operante sotto il nome di Ottica Meccanica di Roma, e costruita su licenza o progettazione autonoma. Questo dispositivo è un esempio significativo di semplificazione tecnica: monta pellicola 35 mm per ottenere negativi da 24×36 mm, aventi una qualità discreta e un range fotografico basilare.
L’apparecchio presenta caratteristiche di costruzione essenziali: un tubo obiettivo pieghevole, una lente da 5 cm (non identificata con precisione, ma con messa a fuoco minima intorno a un metro), un otturatore semplice con tempi B e P, senza controllo dell’apertura. Il mirino ottico Galileiano, sebbene minimalista, consente inquadrature veloci. Rispetto ai modelli contemporanei, la Klein si distingue per un approccio essenziale e diretto, senza fronzoli tecnici, pensata per un pubblico amatoriale che volesse qualcosa di più del semplice apparecchio tascabile, ma non volesse addentrarsi nella complessità meccanica delle principali case tedesche (Leica, Voigtländer) o giapponesi.
Nel 1954 viene introdotta la versione migliorata, che aggiunge sincronizzazione flash via presa PC e slitta a contatto freddo, una rarità per questa classe di fotocamere non professionali. L’unica regolazione disponibile diventa quindi quella del tempo di posa, gestita tramite l’otturatore; l’apertura resta fissa e priva di selezione.
Questa produzione segue una logica di mercato precisa: offrire un dispositivo low‑cost, con tecnologie elementari ma sufficienti per la fotografia di viaggio e uso quotidiano. È un tentativo italiano di competere sul terreno delle macchine 35 mm compatte, ancora in fase espansiva. La presenza di una vite PC implica la possibilità di intervenire con flash amatoriali, tecnologia che stava rapidamente entrando nelle mani dei consumatori. Si inserisce così in un filone di dispositivi pensati per il fotografo informale ma attento alla qualità degli strumenti.
Questa produzione segue una logica di mercato precisa: offrire un dispositivo low‑cost, con tecnologie elementari ma sufficienti per la fotografia di viaggio e uso quotidiano. È un tentativo italiano di competere sul terreno delle macchine 35 mm compatte, ancora in fase espansiva. La presenza di una vite PC implica la possibilità di intervenire con flash amatoriali, tecnologia che stava rapidamente entrando nelle mani dei consumatori. Si inserisce così in un filone di dispositivi pensati per il fotografo informale ma attento alla qualità degli strumenti.
La prima Klein, lanciata nel 1951, monta una lente da 50 mm incassata in un tubo a scomparsa, caratteristica che riduce i tempi di riciclo della fotocamera quando non in uso. La messa a fuoco avviene mediante regolazione meccanica del tubo, senza tubi extension né scala delle distanze precisa, con progressione continua. Sebbene non sia presente l’apertura regolabile, la lente è progettata con diaframma fisso – probabilmente intorno a f/11 – per fornire una profondità di campo consistente, adatta a scene generali, strada e ritratto ambientato.
L’otturatore offre due posizioni: “I” (Istantanea) con tempo stimato di 1/25–1/50 sec tipico dell’epoca, e “B” (o “P”) per pose lunghe. Questa mancanza di variante tempi limita l’uso ad ambienti con luce adeguata o con flash ma semplifica l’uso per chi non vuole controllare esposimetro o tempi. Il corpo è costruito in metallo leggero, con finitura satinata o nera, e presenta una slitta per flash e la presa PC, elemento tecnico non sempre presente nei concorrenti economici di quegli anni.
L’avanzamento pellicola avviene attraverso una manopola di riavvolgimento – simile a quelle delle macchine più evolute – e un contatore di esposizioni stampato sulla placca superiore. Un mirino Galileiano offre un’immagine semplice, ma efficace per la composizione, con copertura poco più ampia del fotogramma reale. La costruzione è essenziale: nessun paraluce, né esposimetro incorporato, l’intero sistema si basa su semplicità e robustezza.
Il modello successivo, KII, introduce funzionalità avanzate: tre diaframmi (f/9, f/16, f/22) e tre tempi d’otturatore (1/25, 1/50, 1/100 sec), mantenendo la posa Bulb e la sincronizzazione flash. Questi miglioramenti rendono la KII più adatta alla fotografia semi-professionale: meno luce residua sugli scatti con sole aperture più strette, maggior controllo tecnico, e sensibili riduzioni del rischio mosso. Il passaggio a caricamento 135 standard e riavvolgimento ne aumenta la versatilità, poiché le cartucce erano ormai disponibili ovunque.
Secondo parte della documentazione – ad esempio cataloghi Mistermondo.com – questo modello vene prodotto fino al 1958, anche se altri riferimenti suggeriscono date di commercializzazione come 1957. L’esemplare KII presentato alle aste WestLicht fa ipotizzare una produzione breve ma attenta a migliorare le performance tecniche. Rispetto alla prima versione, la KII è riconoscibile per i diaframmi e per la manopola di riavvolgimento, inseriti in un corpo per il resto simile.
La produzione della Klein si estende dal 1951 al tardo ‘50, con una tiratura probabilmente nell’ordine di poche migliaia di unità per modello. Il periodo coincide con la crescente affermazione del formato 35 mm come standard amatoriale e semi-professionale. La Klein era probabilmente venduta attraverso negozi di fotografia a Roma e province, sebbene non vi siano tracce evidenti di distribuzione internazionale.
Nel mercato attuale la rarità della Klein ne ha fatto un oggetto da collezione: secondo i cataloghi di prezzo (CollectiBlend), la prima versione è valutata tra 120–140 euro in buone condizioni, mentre la KII può raggiungere i 200–340 USD euro in condizione mint e funzionante.
L’assenza di informazioni pubbliche rende difficile stabilire un valore unico, ma l’indice di rarità alto e la discreta presenza in aste europee confermano il suo status di pezzo collezionistico.
La conservazione dipende da aspetti meccanici: soffietto, finiture metalliche, funzionamento otturatore, presenza dell’attacco flash, contatore integro. Varianti come la KIIa – simile alla prima ma senza controlli meccanici visibili – suggeriscono edizioni intermedie. Esistono segnalazioni sporadiche dell’apparecchio in collezioni private e una o due testimonianze in musei italiani dedicati alla cultura della fotografia.
Dal punto di vista storico-tecnico, la Klein rappresenta un punto di congiunzione tra il design artigianale e la produzione in serie, anticipando concetti moderni di compattezza e integrazione funzionale. Una macchina semplice ma con una visione: rendere la fotografia 35 mm accessibile, dotandola di funzioni appena sufficienti per autotratti, viaggi e foto documentarie leggeri. La transizione verso la KII con apertura multipla la colloca a mezza via tra i dispositivi puramente amatoriali e quelli semi-tecnici.
Analizzando la Klein in relazione alle fotocamere 35 mm coeve – come Leica IIa (1932), Voigtländer Vito, Kodak Retina o controparti giapponesi nascenti – si nota un approccio radicalmente semplificato. Manca la visione rangefinder o telemetro, così come la precisione dell’esposizione offerta dagli esposimetri, ma la filosofia costruttiva predilige robustezza e leggerezza.
Leica, con corpi in magnesio, ottiche Leitz Summicron o Summarit, meccanismi raffinati e retrocamera telemetro, forniva una precisione tecnica lontana dalle possibilità della Klein. Ma aveva costi di due o tre volte superiori. Kodak Retina offriva caricamento 135 con mirino galileiano e ottiche Schneider, ma restava confinata a una nicchia commerciale che puntava sulla qualità tedesca.
La Klein, in confronto, era una fotocamera con qualità da entry-level tecnica, ma sufficientemente robusta per viaggi o uso documentario spontaneo. Non mirava alla qualifica di “professionale”, ma piuttosto offriva il minimum viable product per il fotografo informale estremamente attento alla qualità ottica di base.
A livello di sensazione d’uso, la manopola di avanzamento e riavvolgimento ricorda sistemi più facili da padroneggiare rispetto agli evoluti caricatori manuali Leitz. Il tubo a scomparsa protegge l’obiettivo ed evita danni accidentali, una caratteristica che prelude ai design compatti e pieghevoli di decenni seguenti.
Rispetto agli sviluppi orientali, la Klein non possiede l’affidabilità dei meccanismi giapponesi – automatiche, esposimetri TTL – ma è un’avanguardia sperimentale nel contesto italiano, un test tecnico di possibilità progettuali.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
Attraverso il mio sito, offro una panoramica completa delle tappe fondamentali della fotografia, dai primi esperimenti ottocenteschi alle tecnologie digitali contemporanee. La mia missione è educare e ispirare, sottolineando l’importanza della fotografia come linguaggio universale.
Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.