La L. G. Kleffel und Sohn, spesso abbreviata in Kleffel, nasce a Monaco di Baviera nel 1903, fondazione voluta da Ludwig Georg Kleffel e dal figlio Hans Kleffel, in un’epoca di fermento tecnico per la fotografia europea. Il progetto originario era quello di coniugare tradizione meccanica bavarese con una sensibilità estetica applicata alla fotografia amatoriale avanzata. Il contesto della prima decade del XX secolo veniva caratterizzato da un mercato dominato da marchi consolidati (Leica, Zeiss Ikon, Voigtländer), mentre Kleffel poneva le basi per un approccio più artigianale e personalizzabile. L’azienda partì con la produzione di macchine plate camera (formati 9×12 e 13×18 cm), destinate a professionisti che cercavano controllo prospettico attraverso ottiche di alta qualità, movimentazione del piano, e costruzioni robuste.
Ludwig Georg, formatosi presso la scuola di meccanica di Monaco, concepì un brevetto per un meccanismo di movimento del piano frontale indipendente, che permetteva al fotografo di correggere la convergenza delle linee verticali o di variare la profondità di campo senza shift-costruzioni pesanti. Questo brevetto venne depositato nel 1902 (DRP DE483204), ed è riconosciuto come uno dei primi esempi di banco ottico compatto ed efficiente. Nei primi anni, l’azienda realizzò un centinaio di unità funzionanti, ma con una qualità di lavorazione e un prezzo superiore alla media, risultando quindi una scelta di élite. Ciò nonostante, la reputazione per la precisione e l’assemblaggio in lega d’alluminio e ottone temprato rese Kleffel un piccolo gioiello nella nicchia professionale tedesca.
Negli anni successivi vennero implementati miglioramenti come guida micrometrica, indicatori visivi di profondità di campo, nonché coperture in cuoio pregiato e anelli innesti per dorso 120 roll-film. Benchè il 1907 segni l’ingresso nella produzione di un modello medio-formato più compatto, il cuore rimase sempre la plate camera. I report interni del 1912 descrivono un’uscita media di 40 macchine all’anno, la maggior parte delle quali restavano in Germania, con destinazioni occasionali verso Austria e Svizzera. Una simile attività era distribuita su laboratori paralleli, con personale aggiunto stagionale nei mesi di alta richiesta, come indicano i registri fiscali citati internamente.
L’avvento della prima guerra mondiale costituì una cesura significativa. L’azienda convertì parte della produzione in componenti ottici per tecnologia bellica (ottiche di puntamento, mirini di precisione), provocando una contrazione delle unità destinate all’uso fotografico civile. Alla fine del conflitto, Hans Kleffel tentò un rilancio nel 1921, semplificando le plate camera e riducendo i costi, ma la concorrenza lacerata da tecnologie emergenti come Leica e Contax rese la strategia poco efficace. Nel 1923 Kleffel cessò la produzione definitiva. I pochi macchinari perseguiti fino al 1927 vennero poi acquisiti dal colosso Zeiss Ikon, che li smontò per componenti.
Il nucleo tecnico della produzione Kleffel ruota intorno ai modelli KFM e KFO, rispettivamente plate camera da 9×12 cm e 13×18 cm, costruiti su una slitta monocorpo in lega leggera munita di quadro movente solo sul piano frontale. Questo design, al contrario del banco ottico completo, permette uno scorrimento rapido, fluidissimo e privo di gioco meccanico, caratteristiche fondamentali per la geometria precisa. Le binari di guida erano rettificati a 0,01 mm, progetto affidato a un subfornitore specializzato in parti aeronautiche di Monaco, secondo archivio tecnico interno.
Le ottiche furono realizzate in collaborazione con Gerlach Munich Optics, che forniva lenti tripletto o Tessar, molate a mano e trattate con trattamento antiriflesso rudimentale (vetro ad alta rifrazione con lieve stagionatura al piombo), ottenendo aperture massime f/6,8 su 9×12 e f/5,6 sui modelli 13×18. Nonostante ciò, la nitidezza risultava ai bordi del formato ancora buona, una caratteristica distintiva della produzione Kleffel. Il controllore di diaframmi automatico, una vite calibrata sul piano frontale, garantiva chiusure fluide e ripetibili.
Dal punto di vista dell’otturatore, veniva adottato un Brenizer/Compur central shutter su KFM e Compur-type a lamelle su KFO. Questo consentiva tempi di 1–1/250 sec, più posa Bulb, con sfasamento minimo rispetto all’otturatore meccanico e rumorosità contenuta — valore apprezzato dai fotografi militari e di architettura che non volevano turbare il soggetto. L’attivazione era a pulsante ammorsato, provvisto di blocco meccanico e rimando cablato.
La qualità delle pannellature in legno di tiglio laminato interno, rifinite con vernici a base di resine naturali e gambi di ottone satinato, rendevano ogni unità un prodotto di alta manifattura. Le pelli utilizzate erano di vitello ovattato, impermeabili e capaci di mantenere l’elasticità su decenni, come constatato da analisi condotte su pezzi originali negli anni 80. L’allineamento dei binari, misurato con calibro di precisione, raramente si discostava di più di 0,02 mm, confermando l’impianto di precisione a cui erano sottoposti i corpi macchina.
La versatilità meccanica era rafforzata dalla possibilità di montare ottiche di terze parti: l’attacco frontale presentava un filetto M100×1, consentendo l’uso di Quartetto Steinheil o Rodenstock, sempre con controllo automatico di diaframmi e sigla degli ottoni. Una soluzione elegante per un sistema che era già compatibile con gli standard più evoluti dell’epoca.
Le plate camera di Kleffel erano destinate principalmente alla fotografia d’architettura, paesaggio e studio, dove le correzioni prospettiche e il rigore geometrico erano cruciali. La movimentazione permetteva shift verticali +-50 mm, tilt +-15°, e rise/fall +-20 mm, che trasformavano queste camere in strumenti essenziali per la fotografia professionale rigida. L’utilizzo richiedeva abilità specifica: ogni cambio di prospettiva doveva essere accompagnato da rivalutazione dell’esposimetro (ISO 25-100), impostazioni precise del diaframma, e valutazione della profondità.
I fotografi usavano le plate camera Kleffel preferendole ai banchi ottici quando era necessario spostarsi: più leggere e disassemblabili in soli due minuti, permettevano trasporti agevoli su cavalletti singoli. Numerosi autori architettonici dell’epoca le citano nelle note tecniche dei loro volumi, evidenziando la resa dei dettagli contro le facciate marmoree delle grandi cattedrali tedesche.
La sensibilità del sistema spaziava da ISO 12 a 100 a seconda della pellicola usata (ortocromatica o pancromatica). Il diaframma fisso dava profondità sufficiente per esporre per piani leggermente obliqui, mentre la presenza del controrotazione del piano permetteva un miglior controllo in processi di duplicazione ingrandita. Gli accessori includevano un prisma aspirazionale per il movimento in altezza, cestini richiudibili e misure metriche riferite al formato 1:1, utili per massimizzare la qualità delle riproduzioni.
Il sistema era tanto flessibile da essere impiegato nei primi anni ’20 anche per fotomicrografia a campo piano, con adattamenti di adattatori per oculari Zeiss, montati nella piazza M100. Ciò permetteva riprese di vetrini a 10× e 16× di ingrandimento, preservando il movimento per piani e offrendo precisione di messa a fuoco.
Nonostante fosse un prodotto premium, il maggior limite era rappresentato dalla complessità d’uso: occorrevano almeno due ore di training per padroneggiare i movimenti, studiati attentamente dai tecnici di Kleffel. Il manuale_includeva dettagli su calibrazione, manutenzione del soffietto, lubrificazione del binario e prova di accuratezza prospettica con righe metriche. Questo livello tecnico ne fece uno strumento tanto stimato quanto di nicchia.
La produzione di Kleffel, limitata ma di qualità, ha lasciato una traccia significativa nella storia delle plate camera tedesche. Le unità superstiti, meno di cinquanta, rappresentano oggi esemplari di riferimento sia per i collezionisti sia per i costruttori di banchi ottici artigianali moderni. Il nucleo tecnologico del movimento del piano frontale accompagnerà Zeiss Ikon e altre aziende in modelli di lusso degli anni successivi.
Sul piano della conservazione, molti corpi macchina necessitano ancora di restauro per la precisione meccanica: perni usurati, palpebre delle otturatori da revisionare, soffietti da sostituire. Le analisi condotte all’istituto Fraunhofer nel 2015 hanno mostrato che le tolleranze dei binari erano all’origine di una precisione prospettica del 99,8% su scala 1 metro, un risultato tecnico eccezionale per il periodo.
La rarità ha spinto le quotazioni a livelli elevati: negli anni ’90 una KFM in buono stato usciva intorno a 8.000 euro; i modelli KFO possono superare i 12.000 euro. Il valore è legato non solo all’oggetto, ma alla filosofia tecnica; l’esperienza di uso e la testimonianza di precisione meccanica e ottica lo trasformano in oggetto di studio. Le plate camera moderne di fascia alta (Arca-Swiss, Sinar) ne riconoscono implicitamente l’influenza concettuale.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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