La Regula-Werk King KG fu fondata nel 1936 a Pforzheim, in Germania, dalla famiglia King, inizialmente come azienda specializzata nella produzione di componenti elettrici e parti per radio. Questo settore, in piena espansione negli anni ’30, permise all’azienda di consolidarsi rapidamente, tanto che nel 1938 trasferì la sede a Bad Liebenzell, nella Foresta Nera, ampliando gli spazi produttivi. La scelta della nuova ubicazione non fu casuale: la regione era già un hub industriale per la meccanica di precisione, con una filiera di fornitori e maestranze qualificate.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la Germania affrontò una riconversione industriale, e la Regula-Werk non fece eccezione. Ernst King, a capo dell’azienda, appassionato di fotografia, intuì il potenziale del mercato delle fotocamere portatili. Nel 1949, l’azienda presentò il primo prototipo di fotocamera Regula, un modello compatto per pellicola 35 mm (formato 135), che segnò l’ingresso ufficiale nel settore fotografico. Questo dispositivo, equipaggiato con un mirino galileiano e un otturatore centrale manuale, rispecchiava le tendenze del periodo, competendo con prodotti di aziende come Agfa e Voigtländer.
Il successo iniziale fu tale che, nonostante un incendio nel 1951 che distrusse parte dello stabilimento, la produzione riprese in sole due settimane, grazie alla resilienza delle maestranze e alla domanda crescente. La prima serie di fotocamere Regula, identificata da numerazioni progressive (Regula I, II, III), si distingueva per la costruzione modulare, che consentiva aggiornamenti e personalizzazioni, e per l’uso di materiali come l’alluminio eloxal, un trattamento di anodizzazione che garantiva resistenza alla corrosione e finiture lucide.
Innovazioni tecniche e collaborazioni (1950-1960)
Gli anni ’50 e ’60 rappresentarono l’apice tecnologico per la Regula-Werk. A partire dal 1953, l’azienda introdusse fotocamere di seconda generazione, caratterizzate da obiettivi intercambiabili e otturatori avanzati. Le ottiche, fornite da produttori tedeschi come Isco-Gottingen, Enna, Steinheil e Rodenstock, spaziavano da aperture f/4.5 a f/2.8, con focali tra 35 mm e 135 mm. Gli otturatori Prontor, prodotti dalla Alfred Gauthier di Calmbach, erano parte integrante del design: modelli come il Prontor SVS e il Prontor SLK offrivano tempi fino a 1/300 sec e sincronizzazione con il flash, una novità per l’epoca.
Nel 1955, la Regula IIIa segnò un salto qualitativo. Equipaggiata con un esposimetro Gossen Pilot, accoppiato meccanicamente al diaframma, permetteva una misurazione della luce più precisa. La versione Cita III, lanciata nel 1957, diventò un simbolo di lusso: montava un obiettivo Carl Zeiss Tessar 50 mm f/2.8, noto per la risoluzione e il contrasto, ed era disponibile in una edizione limitata Citalux 300, con corpo placcato in oro e rivestimento in pelle rossa.
Un’innovazione chiave fu l’adozione del telemetro accoppiato nei modelli high-end. Questo sistema, basato su un prisma divisore e una leva a camma, permetteva una messa a fuoco precisa senza distogliere l’occhio dal mirino, riducendo gli errori di parallasse. La Regula-Werk sviluppò inoltre un sistema di blocco dell’esposizione manuale, che consentiva di mantenere le impostazioni di apertura e tempo tra uno scatto e l’altro, una funzionalità apprezzata dai fotografi professionisti.
Design, materiali e produzione
Il design delle Regula fu influenzato dall’estetica funzionalista tedesca, con linee pulite e un’ergonomia studiata per l’uso prolungato. I corpi in alluminio eloxal non solo erano leggeri (circa 600 g per la Cita III), ma anche resistenti ai graffi, grazie allo strato di ossidazione di 20 µm applicato elettroliticamente. Questo materiale, pubblicizzato come «più duro dell’acciaio», divenne un tratto distintivo del brand.
Le fotocamere entry-level, come la Regula Sprinty, utilizzavano invece chassis in plastica termoindurente rinforzata con fibra di vetro, abbattendo i costi senza compromettere la durata. I soffietti in pelle sintetica Leatherette, fissati con colla epossidica, garantivano tenuta stagna contro polvere e umidità, mentre le guide di estensione in ottone nichelato assicuravano un movimento fluido degli obiettivi.
La collaborazione con Foto-Quelle e Porst ampliò la distribuzione. La Regula RM, versione americana della Cita, e la Hapo 36, rebranding per il mercato tedesco, sfruttarono i network di questi distributori per raggiungere nuovi consumatori. L’azienda produsse anche fotocamere su commissione, come la Revue 300 per Foto-Quelle, identica alla Regula IIIa ma con loghi personalizzati.
Declino e fallimento (1970-1984)
Gli anni ’70 segnarono l’inizio del declino. Una causa legale per violazione di brevetto della Leitz (produttrice delle Leica) costrinse la Regula-Werk a ritirare un modello di reflex, con pesanti ripercussioni finanziarie. Nonostante tentativi di rilancio con fotocamere come la Regula Picca (compatta a telemetro) e la Regula 118 per pellicola 110, l’azienda faticò a competere con le giapponesi Canon e Nikon, che dominavano il mercato con tecnologie autofocus e elettroniche.
Il tentativo disperato di sopravvivere arrivò nel 1980 con la Regula Disc Camera, progettata per il formato Disc della Kodak. Questo sistema, però, si rivelò un fallimento commerciale a causa della bassa qualità delle immagini e della concorrenza delle nascenti fotocamere digitali. Nel 1984, accumulati debiti e vendite in picchiata, la Regula-Werk King KG dichiarò bancarotta, chiudendo definitivamente.
Tecnologie e modelli iconici
Tra i modelli più significativi spicca la Regula Cita III (1957-1962), con obiettivo Zeiss Tessar ed esposimetro Metrawatt a cellula al selenio. La sua meccanica di precisione, inclusa una leva di carica a corsa corta e un mirino a cornice illuminato, ne fecero un riferimento per i fotoamatori avanzati. La Regula Superautomatic (1965), invece, introdusse un sistema di esposizione semi-automatico, basato su un diaframma a priorità controllato da una fotocellula esterna.
Le fotocamere Regula furono anche pionieri nell’uso di accessori modulari, come il flash esterno Regulux con sincronizzazione a contatto caldo e il motore di avanzamento Rapildrive per scatti continui. Questi dispositivi, sebbene oggi rari, testimoniano l’ambizione tecnologica di un’azienda che, nonostante le dimensioni medie, lasciò un’impronta significativa nella fotografia del XX secolo.