La fotografia dei relitti navali nasce nel XIX secolo, in un periodo in cui la fotografia stessa muoveva i primi passi come strumento di registrazione visiva e documento oggettivo. In quegli anni il mare era al centro della vita economica e militare di molte potenze europee, e i naufragi rappresentavano eventi di enorme rilevanza sociale e politica. Prima dell’avvento della fotografia, i disastri marittimi erano narrati attraverso illustrazioni, incisioni e dipinti, strumenti che spesso lasciavano ampio margine all’interpretazione artistica. Con l’arrivo della fotografia, invece, divenne possibile fissare con precisione la condizione dei relitti, restituendo un’immagine che possedeva un valore di prova documentaria fino ad allora inedito.
Le prime testimonianze fotografiche di relitti riguardavano soprattutto navi arenate lungo le coste, o imbarcazioni distrutte dalle tempeste che giacevano sulle spiagge. Si trattava di immagini eseguite con i procedimenti tecnici disponibili all’epoca, in particolare il collodio umido su lastra di vetro e le stampe all’albumina. La lunga esposizione richiesta da tali procedimenti non era un problema in questo contesto, poiché i relitti erano statici e l’unica difficoltà era rappresentata dalle condizioni meteorologiche e dalla logistica necessaria per trasportare l’attrezzatura fotografica vicino al mare.
Dal punto di vista tecnico, i fotografi dell’Ottocento si confrontarono con problemi peculiari. I relitti di grandi dimensioni, visti da terra, imponevano una scelta accurata delle ottiche a lunga focale per comprimere le prospettive e rendere leggibile la struttura della nave. In altri casi, invece, si privilegiavano obiettivi più grandangolari per includere il paesaggio circostante e collocare l’evento in un contesto geografico riconoscibile. La resa della superficie del legno o del metallo corroso, unita alle ombre nette generate dalla luce solare, costituiva un banco di prova notevole per le emulsioni ortocromatiche, sensibili principalmente al blu e al verde, che tendevano a falsare i toni rossi e gialli.
Accanto alla dimensione tecnica, la fotografia dei relitti ottocenteschi svolse anche un ruolo estetico e simbolico. La vista di uno scafo spezzato o inclinato su una spiaggia evocava la fragilità della tecnica umana di fronte alla forza della natura. Molti fotografi produssero immagini che andarono ben oltre la semplice documentazione, assumendo toni quasi pittorici. Queste immagini erano spesso vendute come cartoline illustrate o incluse in album destinati a collezionisti e studiosi. In particolare, lungo le coste britanniche e francesi, si sviluppò una vera e propria tradizione di fotografia dei naufragi costieri, legata anche alla curiosità del pubblico urbano che raramente aveva occasione di vedere con i propri occhi tali eventi.
Le prime istituzioni interessate a raccogliere queste fotografie furono le compagnie di assicurazioni marittime e le autorità portuali. Le immagini dei relitti servivano come documentazione legale nei contenziosi e come testimonianza per la valutazione dei danni. In questo senso, la fotografia assunse una funzione quasi notarile, rafforzando il suo statuto di strumento affidabile e neutro. Tuttavia, non mancavano anche casi in cui le fotografie venivano manipolate o scelte per accentuare l’aspetto spettacolare dell’evento, anticipando la futura tensione tra documentazione e spettacolarizzazione che avrebbe caratterizzato la fotografia dei relitti anche in epoche successive.
In sintesi, nell’Ottocento la fotografia dei relitti navali si sviluppò come fenomeno a metà strada tra cronaca, documento e suggestione estetica. Essa mostrava la capacità del nuovo medium fotografico di rappresentare l’incontro drammatico tra tecnologia e natura, aprendo la strada a successive evoluzioni che, con l’avvento della fotografia subacquea, avrebbero cambiato radicalmente il campo.
L’era pionieristica delle riprese subacquee (1900–1945)
Con l’inizio del XX secolo, la fotografia dei relitti si spostò progressivamente dall’ambito terrestre a quello subacqueo. Le prime sperimentazioni furono condotte già a fine Ottocento dal biologo francese Louis Boutan, che riuscì a ottenere fotografie subacquee utilizzando camere in casse stagne e fonti luminose a magnesio. Tuttavia, queste immagini erano rudimentali e più orientate alla ricerca scientifica che alla documentazione dei relitti.
Le difficoltà principali riguardavano la tenuta stagna delle apparecchiature e la scarsissima luminosità negli ambienti sommersi. L’acqua assorbe rapidamente la luce, in particolare le lunghezze d’onda del rosso e dell’arancione, lasciando predominanti i toni blu e verdi. Le emulsioni fotografiche dell’epoca, poco sensibili, costringevano a esposizioni lunghissime, praticamente incompatibili con le riprese a mano libera. Inoltre, la pressione esercitata dall’acqua sulle custodie improvvisate costituiva un rischio costante di infiltrazioni.
Nonostante questi ostacoli, tra le due guerre mondiali furono compiuti passi importanti. Negli anni Trenta, le spedizioni oceanografiche iniziarono a includere fotografi specializzati, incaricati di documentare non solo la fauna marina ma anche i relitti di navi affondate. L’uso di apparecchiature elettriche subacquee, come lampade ad arco e flash a polvere di magnesio racchiusi in contenitori stanchi, permise di migliorare la visibilità. Restava comunque necessario operare a profondità limitate, di solito non superiori ai 20–30 metri, per garantire sufficiente luce naturale di supporto.
Parallelamente, la fotografia di relitti emersi continuava ad avere un ruolo importante, soprattutto come cronaca di guerra. Durante la Prima guerra mondiale, molti fotografi militari documentarono le navi affondate nei porti o distrutte dai bombardamenti. Le immagini servivano come testimonianze storiche e come materiale propagandistico. Lo stesso accadde nella Seconda guerra mondiale, quando i relitti di navi da battaglia, sommergibili e mercantili furono fotografati sia da terra che dal cielo, con le nuove tecniche di ricognizione aerea. Le fotografie aeree dei relitti, scattate con macchine ad alta risoluzione montate su velivoli da ricognizione, consentivano di valutare danni e di pianificare operazioni navali.
È in questo periodo che la fotografia dei relitti cominciò a essere percepita non più soltanto come cronaca, ma come una disciplina connessa alla ricerca. Archeologi, storici e ingegneri navali iniziarono a interessarsi a queste immagini come fonti di informazione preziosa. Anche se la fotografia subacquea era ancora agli albori, già si intuiva il potenziale che avrebbe avuto nello studio dei relitti sommersi.
Così, tra il 1900 e il 1945, la fotografia dei relitti visse una fase pionieristica in cui si alternavano pratiche tradizionali (documentazione di navi arenate o distrutte in superficie) e innovazioni sperimentali (prime riprese subacquee). Questa duplicità avrebbe costituito le fondamenta per la stagione successiva, in cui la fotografia subacquea sarebbe diventata un vero e proprio strumento di ricerca e di esplorazione.
La fotografia subacquea dopo la Seconda guerra mondiale (1945–1980)
Il dopoguerra rappresenta la vera nascita della fotografia subacquea dei relitti come pratica sistematica. La diffusione degli autorespiratori a circuito aperto (scuba), messi a punto da Cousteau e Gagnan negli anni Quaranta, rese possibile esplorare i fondali con relativa autonomia. Parallelamente, la produzione di custodie stagne affidabili per fotocamere di medio e piccolo formato consentì ai fotografi di operare in immersione senza temere infiltrazioni.
Un passo decisivo fu l’introduzione, negli anni Sessanta, della serie Nikonos, sviluppata da Nikon in collaborazione con Cousteau. Queste fotocamere, progettate per essere impermeabili e utilizzabili direttamente in immersione senza custodia, segnarono l’inizio di una nuova era. Grazie a ottiche dedicate, con angoli di campo adatti a lavorare sott’acqua e a ridurre la distorsione causata dall’acqua, la qualità delle immagini migliorò sensibilmente.
Dal punto di vista operativo, la fotografia dei relitti si sviluppò lungo due direttrici principali. La prima era quella della documentazione archeologica, legata all’esplorazione dei relitti storici. In Mediterraneo, Adriatico e Mar Nero, le spedizioni di archeologia subacquea iniziarono a impiegare sistematicamente la fotografia per catalogare relitti di navi romane e medievali. Le immagini servivano a documentare le condizioni dei siti prima degli scavi e a supportare la pubblicazione scientifica. In questo contesto, l’attenzione era posta sulla nitidezza, sulla scala e sulla fedeltà cromatica, più che sull’impatto estetico.
La seconda direttrice era quella della fotografia ricreativa e divulgativa. Con la diffusione della subacquea sportiva, molti appassionati iniziarono a fotografare relitti celebri, come i sommergibili tedeschi nel Mare del Nord o le flotte affondate nel Pacifico. Riviste specializzate in immersioni pubblicavano reportage illustrati che contribuirono a costruire l’immaginario dei relitti come “cattedrali sommerse”. L’uso della pellicola a colori, in particolare Kodachrome ed Ektachrome, rese possibile catturare i contrasti tra le strutture arrugginite e la vita marina che vi proliferava.
Dal punto di vista tecnico, restavano però numerose sfide. L’assorbimento della luce rossa costringeva i fotografi a usare flash elettronici subacquei, spesso ingombranti e di difficile gestione. Le bolle prodotte dall’autorespiratore rischiavano di comparire nelle immagini, obbligando a sviluppare tecniche di posizionamento e di controllo del respiro. Inoltre, la profondità di campo ridotta imponeva diaframmi chiusi, a loro volta difficili da gestire in condizioni di scarsa luce.
Nonostante le difficoltà, il periodo 1945–1980 consolidò la fotografia dei relitti come disciplina autonoma, riconosciuta sia in ambito scientifico che ricreativo. L’immagine del relitto sommerso divenne un simbolo della nuova frontiera della fotografia subacquea, testimoniando la capacità della fotografia di penetrare in un mondo fino ad allora invisibile.
L’era digitale e l’archeologia dei relitti (1980–oggi)
L’avvento della fotografia digitale trasformò radicalmente la documentazione dei relitti navali. A partire dagli anni Ottanta, i primi sensori digitali furono sperimentati in ambito scientifico, ma fu negli anni Novanta e Duemila che le fotocamere digitali compatte e reflex subacquee divennero accessibili a un pubblico più vasto.
La possibilità di verificare subito lo scatto eliminò uno dei limiti più grandi della pellicola: l’incertezza sui risultati fino allo sviluppo. Inoltre, i sensori digitali a elevata sensibilità ISO permisero di lavorare in condizioni di scarsa luminosità, riducendo la dipendenza da flash potenti. L’introduzione di luci LED subacquee fornì ulteriori vantaggi, con una resa cromatica più stabile e una maggiore durata rispetto alle vecchie lampade a scarica.
In questo periodo si sviluppò anche la fotogrammetria subacquea. Utilizzando serie di fotografie digitali scattate con sovrapposizione di campo, i ricercatori possono ricostruire in 3D i relitti sommersi con un dettaglio millimetrico. Questi modelli vengono poi utilizzati per lo studio, la conservazione e la divulgazione museale. Un esempio emblematico è il lavoro condotto sul Titanic a partire dagli anni Novanta, con immagini ad altissima risoluzione integrate a rilievi sonar per creare mappe tridimensionali complete del sito.
Parallelamente, la fotografia dei relitti è diventata una componente fondamentale del turismo subacqueo e delle comunità online di fotografi. Forum, social network e riviste digitali hanno moltiplicato la diffusione delle immagini, trasformando i relitti in icone visive della subacquea ricreativa. Alcuni relitti celebri, come quelli della laguna di Truk (Micronesia) o del Mar Rosso, sono oggi mete privilegiate di fotografi subacquei di tutto il mondo.
Dal punto di vista tecnico, le innovazioni degli ultimi decenni hanno reso possibile risultati prima impensabili. Il focus stacking consente di ottenere immagini nitide su tutta la profondità di campo, mentre i sensori full frame garantiscono una gamma dinamica elevata. L’uso di droni subacquei e ROV equipaggiati con fotocamere ad alta risoluzione permette di documentare relitti a profondità proibitive per i subacquei, ampliando enormemente il campo di studio.
L’era digitale ha quindi portato la fotografia dei relitti a un livello di maturità senza precedenti, combinando valore estetico, documentario e scientifico. Oggi essa rappresenta una delle espressioni più avanzate della fotografia subacquea, capace di unire passione esplorativa e rigore tecnico.
Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
Attraverso il mio sito, offro una panoramica completa delle tappe fondamentali della fotografia, dai primi esperimenti ottocenteschi alle tecnologie digitali contemporanee. La mia missione è educare e ispirare, sottolineando l’importanza della fotografia come linguaggio universale.
Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.


