Un capitolo cruciale nella storia della fotografia si apre nel 1895 con l’invenzione dei fratelli Lumière: il cinematografo. Questa pietra miliare non solo introduceva la capacità di catturare e riprodurre immagini in sequenza veloce, ma apportava una rilevante innovazione tecnologica nel campo delle pellicole utilizzate, portando alla ribalta il formato 35mm. La rivoluzione portata dal cinema in questo settore specifico ha stabilito il 35mm come lo standard predominante nella fotografia, un’eredità che perdura ancor oggi.
Il 1900 è testimone di ulteriori progressi nell’utilizzo del formato 35mm. I fratelli Lumière danno vita al Photorama, un dispositivo straordinario capace di proiettare immagini a 360°, anticipando l’esperienza immersiva dell’odierno mondo virtuale. Nel frattempo, oltreoceano, l’ingegneria raggiunge nuovi vertici con la realizzazione della più grande macchina fotografica mai costruita. Questo maestoso strumento, creato da J. A. Anderson, pesava ben 225 kg e richiedeva 40 litri di soluzione per lo sviluppo delle foto. Questo straordinario oggetto fu commissionato per un obiettivo singolare ma ambizioso: catturare l’immagine della prestigiosa compagnia ferroviaria americana Alton Limited.
Questi progressi tecnologici segnano un periodo di espansione e innovazione senza precedenti nel campo della fotografia. La convergenza tra fotografia e cinema ha dato vita a nuove opportunità espressive e a una crescita sostanziale delle possibilità narrative visive. L’avvento del formato 35mm come standard è stato uno sviluppo che ha cambiato il corso della fotografia, offrendo un terreno comune per il progresso e l’evoluzione della disciplina
Nel 1900 e nel 1902, due importanti pietre miliari nell’evoluzione della fotografia entrarono in scena, ridefinendo il panorama dell’industria e la pratica fotografica stessa. In quegli anni, due macchine fotografiche divennero protagoniste, lasciando un’impronta indelebile nella storia della disciplina.
La Kodak rivoluzionò il concetto di accessibilità alla fotografia introducendo la Brownie, una macchina fotografica entry-level che aprì le porte della fotografia a un pubblico più ampio. Questo dispositivo pionieristico, venduto a soli 1 dollaro e 15 centesimi, rese possibile per chiunque catturare momenti preziosi con un semplice clic. La Brownie si affermò come un’innovazione epocale, ridisegnando il rapporto tra le persone e la fotografia, spianando la strada all’uso diffuso e accessibile dei mezzi fotografici.
Nello stesso periodo, Zeiss fece il suo ingresso nel panorama con la Graflex, una reflex monobiettivo che si guadagnò rapidamente la fama di strumento preferito dai giornalisti americani. La Graflex si distinse per la sua affidabilità, versatilità e qualità d’immagine, catturando l’attenzione di professionisti e amatori appassionati. La sua presenza costante nelle mani dei giornalisti contribuì a ridefinire il modo in cui venivano catturate e documentate le notizie, stabilendo nuovi standard di qualità e precisione nella fotografia documentaristica.
Entrambe queste macchine fotografiche segnarono un punto di svolta nel settore, aprendo nuove opportunità creative e influenzando direttamente il modo in cui le persone si rapportavano alla fotografia. La Brownie rendeva l’arte fotografica accessibile a tutti, mentre la Graflex definì nuovi parametri di eccellenza nell’ambito giornalistico. Insieme, queste due icone della fotografia contribuirono in modo significativo a plasmare il futuro di questa forma d’arte in costante evoluzione.

Prima di arrivare ad un’altra data fondamentale, facciamo un piccolo salto in avanti al 1905: Gilbert Hovey Grosvenor, giovane editore del National Geographic, decise di inserire ben undici fotografie nella rivista, che fino a quel momento era stata solo testuale. Era la prima volta che accadeva qualcosa del genere.
Prima di arrivare ad una data fondamentale per la fotografia, saltiamo un attimo avanti al 1905. Quest’anno segnò una tappa significativa che ha conferito un’impronta indelebile al panorama dell’editoria fotografica. In quell’anno, Gilbert Hovey Grosvenor, un editore dall’aspirazione audace, all’interno del contesto del rinomato National Geographic, intraprese una mossa innovativa che avrebbe ridefinito radicalmente l’approccio alla presentazione visiva dei contenuti editoriali.
Precedentemente caratterizzata principalmente da una prevalenza di contenuti testuali, la rivista National Geographic subì un’evoluzione sostanziale grazie all’intraprendenza di Grosvenor. Questi decise di introdurre ben undici fotografie all’interno di un singolo numero della rivista, una scelta che avrebbe segnato una pietra miliare nell’ambito dell’editoria e dell’uso delle immagini come strumento narrativo.
L’audacia di Grosvenor nell’incorporare un numero considerevole di immagini all’interno della rivista sottolineò il potere comunicativo delle immagini stesse, capaci di catturare l’attenzione dell’osservatore e di trasmettere messaggi immediati ed empatici. Questo cambiamento paradigmatico non solo conferì alla rivista una nuova estetica visiva, ma inaugurò altresì un nuovo paradigma di narrazione che fonde in modo sinergico testo e immagini per offrire un’esperienza più coinvolgente e pregnante per il lettore.
L’innovazione di Grosvenor non soltanto catalizzò un cambiamento profondo nel settore dell’editoria, ma pose le basi per un nuovo standard di presentazione visiva dei contenuti. Questa pionieristica iniziativa non solo elevò la fotografia a una posizione di centralità nella comunicazione visiva, ma anticipò altresì il futuro dell’editoria fotografica, fungendo da fonte di ispirazione per altri editori e riviste nell’adottare un approccio analogo. L’anno 1905 riveste pertanto un ruolo centrale nella storia dell’editoria fotografica, un momento in cui l’immagine fotografica ha guadagnato un ruolo di primaria rilevanza accanto al testo, ridefinendo il modus operandi della narrazione e dell’interazione con il pubblico.
Arriviamo al 1904: la data della seconda rivoluzione fotografica. Furono i celeberrimi fratelli Auguste e Louis Lumière (che non inventarono solo il cinematografo!) ad inventare l’autocromo.
Il principio su cui si basava l’autocromia era quello della sintesi additiva spaziale, poiché i colori che apparivano sulla lastra autocroma erano ottenuti grazie a un mosaico di piccolissimi filtri costituiti da granelli di fecola di patate colorati in verde, blu-violetto e arancione. Questi granelli venivano stesi su un supporto di vetro in uno strato sottilissimo, in modo che non si sovrapponessero, ma risultassero giustapposti. Gli interstizi venivano poi riempiti con nerofumo. Sullo strato di granelli di fecola veniva poi stesa un’emulsione fotografica in bianco e nero. La lastra veniva esposta dal lato del supporto e sviluppata. Poiché l’immagine così ottenuta era un negativo a colori complementari, la lastra veniva poi sottoposta a un procedimento d’inversione, in modo da ottenere un’immagine positiva. L’inversione veniva generalmente ottenuta dapprima eliminando le zone esposte dell’emulsione (quelle che dopo lo sviluppo apparivano nere), poi riesponendo la lastra, stavolta dal lato dell’emulsione, in modo da impressionare l’emulsione rimasta, e infine sviluppando di nuovo. L’immagine ottenuta, osservata da vicino, appariva come un quadro puntillista in cui i colori erano ottenuti per sintesi additiva spaziale dai tre primari verde, blu-violetto e arancione. (fonte: Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Autocromia).
Un autocromo consisteva in una lastra di vetro rivestita con minuscoli granuli di fecola di patate tinti in ciascuno dei tre colori primari e spolverati con una polvere nera fine per riempire gli interstizi che avrebbero permesso il passaggio della luce; il vetro veniva poi rivestito con uno strato di emulsione pancromatica al bromuro d’argento. Il risultato è stato una trasparenza positiva la cui migliore sensibilità cromatica e relativa facilità di lavorazione hanno avuto un immediato successo nonostante il costo elevato, le lunghe esposizioni e il fatto che il risultato finale doveva essere visto da un osservatore. Fino agli anni ’30, l’unica vera concorrenza per l’Autocromo era rappresentata dalle lastre prodotte dalla ditta francese Louis Dufay a partire dal 1908 circa e dalla tedesca Agfa Company a partire dal 1916, per le quali le tinte venivano versate e arrotolate su di esse, invece di essere regolate o spolverate. Nonostante questi miglioramenti, le ricerche per trovare un processo cromatico alternativo continuarono, poiché tutti questi materiali producevano colori che si pensava non fossero abbastanza naturali, i coloranti all’anilina erano instabili (un problema che continua a tormentare la fotografia a colori), e i metodi per ottenere stampe da lucidi erano oltremodo complicati.
L’autocromia, nonostante il complicato processo di sviluppo e il costo particolarmente elevato, ebbe un successo enorme (fu usato per la realizzazione di scatti a colori durante la Prima guerra mondiale).
Durante questo periodo storico, molti scienziati continuarono a lavorare sulle teorie di Ducos du Hauron, in particolare facendo esperimenti con processi di sottrazione del colore, che consistevano nel partire dalla luce bianca (in cui sono presenti tutti i colori spettrali) e nel rimuovere o assorbire quei colori non presenti nel soggetto da fotografare. Quando tre negativi di separazione prelevati da luce arancione, verde e viola venivano dipinti come positivi su fogli bicromato-gelatina dei loro colori complementari – ciano (verde blu), magenta, giallo – e disposti a registro, ogni colore assorbiva il proprio complemento. Tutti e tre insieme producevano un’immagine a pieno colore che Ducos du Hauron ha chiamato eliocromo. I vantaggi della sottrazione includevano l’assenza di filtri nella realizzazione delle esposizioni, permettendo così alla luce di raggiungere la lastra (con conseguente riduzione del tempo di esposizione), e una maggiore comodità nella visione. Né linee né granuli ad arco erano visibili nel risultato finale, e tutta la luce veniva assorbita dove le primarie si sovrapponevano, in modo che il supporto su cui erano stampate le immagini rimaneva inalterato: la carta bianca rimaneva bianca. Gli esperimenti basati su questo processo hanno richiesto la progettazione di apparecchiature per realizzare tre negativi a colori (uno alla volta o con più dorsi sulla macchina fotografica) e migliori metodi di sovrapposizione dei tre positivi complementari. Molto importanti i contributi di Frederic E. lves, che aveva inventato una macchina fotografica e un visore Kromskop nel 1895 e che aveva prodotto una macchina fotografica Tripak che fu commercializzata nel 1914 come Micro Universal.
Nel panorama dell’evoluzione tecnologica nel campo delle comunicazioni visive, l’anno 1907 sancisce un importante traguardo con l’introduzione di un innovativo sistema: il fax, una sigla che rappresenta l’abbreviazione di “fototelegrafia”. Questo progresso fu realizzato per merito dell’ingegnoso francese Edouard Belin, il quale gettò le basi per un nuovo modo di trasmettere immagini a distanza, aprendo le porte a un potenziale rivoluzionario nell’ambito delle comunicazioni visive.
L’idea di Belin consisteva nell’elaborazione dell’immagine tramite un processo di analisi e sintesi, che permise di trasmettere l’immagine stessa attraverso un meccanismo basato su impulsi elettrici. Questo sistema innovativo costituiva una forma primordiale di fax, in cui le immagini potevano essere trasmesse da un luogo all’altro tramite segnali elettrici e quindi ricostruite a destinazione. La fototelegrafia di Belin presentava un notevole progresso rispetto ai metodi precedenti, offrendo una soluzione più efficiente e accurata per la trasmissione delle immagini.
il 1908 si presenta come un altro anno cruciale, segnato dall’invenzione del processo Dufaycolor da parte del fotografo francese Louis Dufay. Questo processo rivoluzionario aprì nuove strade per la fotografia a colori, offrendo un metodo più accessibile ed efficiente per catturare e riprodurre immagini cromatiche.
Il Dufaycolor fu un’evoluzione del processo introdotto precedentemente dai fratelli Lumière, ma si distinse per la sua capacità di semplificare notevolmente il procedimento e rendere i materiali più accessibili. Basato sulla stessa premessa della sovrapposizione di tre strati di immagine catturati attraverso filtri colorati, il Dufaycolor semplificò il processo di sviluppo, riducendo i passaggi complessi e i costi associati. Questa semplificazione fu fondamentale per estendere l’uso della fotografia a colori a un pubblico più vasto, compresi gli appassionati e gli amatori.
La capacità di catturare immagini a colori stava diventando sempre più preziosa per le industrie creative, dalla pubblicità alla stampa, e il Dufaycolor fornì un mezzo per esprimere la vitalità e la ricchezza dei colori nel mondo visivo. Mentre il processo Dufaycolor non sostituì immediatamente il bianco e nero, rappresentò un passo importante verso la democratizzazione della fotografia a colori e aprì nuove possibilità artistiche e creative.
Va detto che, costantemente nei primi anni del XX secolo, sono stati apportati miglioramenti alle attrezzature fotografiche in risposta alle nuove richieste di diversi tipi di immagini per la pubblicità, la documentazione e il fotogiornalismo. Due macchine fotografiche a piastra flessibile, che incorporano caratteristiche delle macchine precedenti, furono introdotte intorno al 1910: la Linhof, progettata da Valentin Linhof in Germania, e la Speed Graphic, brevettata da William Folmer della Folmer and Schwing Division della Eastman Kodak Company di New York. Entrambe rimasero relativamente immutate nel design fino agli anni ’50. La gamma di movimenti di salita e discesa e di entrata e uscita di queste fotocamere, che potevano essere utilizzate con o senza treppiedi, è diventata parte integrante delle moderne fotocamere da studio e da passeggio.
Il 1912 rappresenta un’importante pietra miliare nella storia della fotografia grazie all’invenzione dell’otturatore Compur, ideato dal brillante ingegnere tedesco Friedrich Deckel. Questo innovativo dispositivo rivoluzionò l’industria fotografica, fornendo una soluzione tecnica che avrebbe avuto un impatto duraturo sulle macchine fotografiche prodotte per diverse decadi.
L’otturatore Compur introdusse un’importante evoluzione nel controllo dell’esposizione fotografica. Prima della sua invenzione, gli otturatori erano spesso rudimentali e soggetti a imprecisioni, rendendo difficile ottenere esposizioni accurate e controllate. Il Compur, al contrario, offriva un meccanismo sofisticato che consentiva ai fotografi di gestire con precisione il tempo di apertura dell’otturatore. Questo risultava in immagini più nitide e ben esposte, dando ai fotografi maggiore controllo sulla resa finale delle loro fotografie.
Un aspetto cruciale dell’otturatore Compur era la sua versatilità. Questo dispositivo poteva essere integrato in una vasta gamma di macchine fotografiche, diventando uno standard dell’industria per decenni successivi. La sua popolarità non era dovuta solo alle sue prestazioni affidabili, ma anche alla sua capacità di adattarsi a diversi tipi di fotografia, dal ritratto alla fotografia d’azione. Questa versatilità ha reso il Compur una scelta preferita tra i fotografi professionisti e amatoriali di tutto il mondo.
L’innovazione del Compur ha avuto un impatto profondo sulla pratica della fotografia, contribuendo a elevare la qualità tecnica delle immagini e consentendo ai fotografi di sperimentare con nuove tecniche creative. L’introduzione di un otturatore più preciso ha reso possibile la cattura di momenti fugaci e movimenti veloci con maggiore precisione, aprendo nuove possibilità espressive. Questo dispositivo ha influenzato profondamente la progettazione delle macchine fotografiche per molti anni, diventando un elemento fondamentale nel kit di ogni fotografo.
L’eredità dell’otturatore Compur perdura ancora oggi, poiché la sua evoluzione ha gettato le basi per le tecnologie ottiche moderne e la ricerca continua di dispositivi che consentano il massimo controllo dell’esposizione. L’ingegnosità e l’innovazione di Friedrich Deckel hanno dato vita a un dispositivo che ha plasmato il percorso della fotografia e ha contribuito a definire la sua evoluzione nel corso del XX secolo.
Nel panorama dinamico dell’anno 1912, emerse un’ulteriore serie di sviluppi tecnologici che avrebbero lasciato un’impronta indelebile nella storia della fotografia. Questi progressi contribuirono a ridefinire il modo in cui le persone si avvicinavano alla fotografia, aprendo nuove opportunità creative e semplificando l’esperienza fotografica.
Un notevole punto di svolta di quell’anno fu l’introduzione sul mercato di due icone fotografiche: la Speed Graphic e la Kodak Vest Pocket. Questi due modelli hanno contribuito in modo significativo a plasmare il panorama della fotografia, ciascuno a suo modo distintivo.
La Speed Graphic, ampiamente acclamata come la macchina fotografica dei fotoreporter americani fino agli anni Cinquanta, ha lasciato un’impronta indelebile nella fotografia documentaristica e giornalistica. La sua versatilità e la possibilità di scattare immagini nitide in rapida successione la resero uno strumento indispensabile per catturare momenti decisivi e raccontare storie attraverso l’obiettivo. La Speed Graphic ha consentito ai fotografi di essere pronti a catturare l’azione in qualsiasi momento, rendendola uno strumento iconico nel mondo del giornalismo visivo.
D’altra parte, la Kodak Vest Pocket ha rivoluzionato l’approccio alla fotografia per il grande pubblico. La caratteristica più notevole di questa macchina era la sua natura compatta e portatile. Grazie all’innovativo sistema di soffietto rigido, la preparazione alla fotografia divenne più veloce ed efficiente. Il modello Vest Pocket si distinse anche per l’uso dei rulli di formato 127, che consentirono di ottenere immagini di alta qualità in un formato compatto di 4,5×6 cm. Questo rendeva la fotografia accessibile a un pubblico più ampio, contribuendo a democratizzare l’arte fotografica e consentendo a più persone di esplorare il mondo della creazione visiva.
Entrambe queste macchine fotografiche hanno dimostrato come l’innovazione tecnologica potesse influenzare profondamente la pratica e l’accessibilità della fotografia. La Speed Graphic ha fornito strumenti potenti per narrare storie visive complesse, mentre la Kodak Vest Pocket ha aperto nuove strade per la fotografia personale e quotidiana
Il 1913 vide la reale standardizzazione del 35mm, ad opera dell’ingegnere Oskar Barnack (un dipendente di una piccola azienda fotografica tedesca di nome Leica). Questi lavorò su un modello tascabile di macchina fotografica compatibile con il formato della pellicola cinematografica (35mm per l’appunto), molto più piccolo dei modelli fino a questo punto in vendita. Al fine di ottenere un buon compromesso tra dimensione finale dell’immagine e quella dell’apparecchio, dovette però scartare il formato cinematografico dove le pellicole erano 18x24mm (troppo strette), adottando un più consono 24x36m (in pratica raddoppiò il lato corto e ribaltò la pellicola). In questo modo ottenne due risultati: mantenne simile il formato (passò da 4:3 a 2:3) ma ottenne il doppio dello spazio in larghezza, più che sufficiente per fotografie. Peccato che la Prima Guerra Mondiale non permise alla Leica di sfruttare immediatamente l’invenzione, rimandata di ben undici anni.
Nel 1914, un altro tassello significativo si unì alla storia della fotografia con l’innovazione della Kodak nel campo delle pellicole a colori. Questa mossa strategica avrebbe avuto conseguenze di vasta portata, dando inizio a una nuova era nell’evoluzione della fotografia a colori e lanciando le basi per uno dei marchi più iconici dell’industria fotografica: Kodachrome.
L’introduzione di questa nuova pellicola a colori rappresentò un passo audace nell’ambito della fotografia. Tuttavia, il vero successo e la risonanza di Kodachrome non furono apprezzati fino al 1935, quando il nome stesso fu coniato e la pellicola fu messa in commercio. Questa mossa rappresentò un vero punto di svolta, aprendo nuove possibilità per i fotografi di catturare il mondo in tutta la sua vivace gamma cromatica.
Kodachrome si distinse per la sua resa cromatica nitida e vibrante, che catturava con precisione la ricchezza dei dettagli e dei colori. Questa pellicola divenne rapidamente popolare tra i fotografi professionisti e amatoriali che desideravano catturare paesaggi, ritratti e momenti speciali con una qualità cromatica straordinaria.
La durata di Kodachrome nel mercato fotografico è stata senza precedenti. Per ben settantacinque anni, questa pellicola è stata un elemento chiave nella produzione di immagini a colori, guadagnando una reputazione leggendaria per la sua fedeltà cromatica. Tuttavia, con l’avvento della fotografia digitale che ha rivoluzionato il mondo delle immagini, l’era dell’analogico ha iniziato a scivolare in secondo piano. Nel 2010, Kodachrome è stata ufficialmente ritirata dalla produzione, segnando la fine di un’epoca e lasciando un’eredità di immagini iconiche che hanno catturato la storia e la cultura di oltre mezzo secolo
Durante gli anni tumultuosi della Prima Guerra Mondiale, l’industria fotografica vide una relativa pausa nell’innovazione a causa delle sfide globali e delle priorità concentrate su altri fronti. Tuttavia, proprio in quel periodo, alcune fondamentali pietre miliari furono poste, che avrebbero plasmato il futuro del panorama fotografico e avrebbero dato vita ad alcune delle aziende più influenti nell’industria, un’eredità che avrebbe continuato a risuonare attraverso i decenni successivi.
È nel clima di incertezza e cambiamento che tre aziende giapponesi emersero come protagonisti chiave nel mercato della fotografia. Nel 1917, la Nippon Kogaku K.K., che poi avrebbe preso il nome più familiare di Nikon, iniziò il suo percorso di crescita, andando a costruire una reputazione per l’innovazione e l’eccellenza nell’ottica fotografica. Nel 1918, sia la Olympus che la Panasonic fecero la loro entrata sulla scena, gettando le basi per la loro futura leadership nell’industria fotografica e oltre.
Nel frattempo, anche l’Italia non rimase indietro nell’evoluzione dell’industria fotografica. Nel 1920, nacque la Ferrania, all’epoca con il nome di “Film“. Questo nome avrebbe conquistato presto fama internazionale, diventando sinonimo di pellicole fotografiche di alta qualità. L’azienda italiana avrebbe lasciato un segno duraturo nella storia della fotografia, producendo pellicole che avrebbero catturato momenti preziosi e ispirato la creatività di generazioni di fotografi.
Anche in Germania, comunque, il mondo della fotografia non rimase a guardare. Carl Zeiss fuse sotto un solo nome (Zeiss Ikon, 1919) parecchie piccole realtà locali (destinate al fallimento a causa della perdita del conflitto mondiale da parte della Germania) e nacque (1920) la Franke & Hidecke (che successivamente cambiò nome in Rollei), che immise sul mercato la Rolleiflex biottica (nel 1929) e che ebbe un vasto successo sia in campo amatoriale che professionale. La Rolleiflex utilizzava una pellicola medio formato 6×6. Riassumendo, la moderna fotocamera reflex a doppia lente si è evoluta da un apparato sviluppato nel XIX secolo in cui l’immagine ricevuta nella lente superiore veniva riflessa da uno specchio su un vetro smerigliato nella parte superiore della fotocamera per facilitare la messa a fuoco. A partire dal 1889 furono introdotti diversi modelli, ma fu solo con la comparsa della Rolleiflex che questo tipo di macchina fotografica ottenne un ampio consenso da parte del pubblico e aprì la strada a ciò che oggi conosciamo tutti.
Il notevole progresso del ventesimo secolo nel campo delle attrezzature professionali è stata l’invenzione di una macchina fotografica a pellicola da 35mm in rotolo. La b, introdotta nel 1925 (e basata su un modello del 1913 ideato da Oskar Harnack della Leitz Company per l’utilizzo di pellicole cinematografiche avanzate), divenne il primo strumento fotografico di successo commerciale ad offrire esposizione istantanea, avanzamento veloce della pellicola e un alto livello di definizione dell’immagine in diverse condizioni di luce. La precedente Ermanox, una piccola fotocamera a piastra con un obiettivo eccezionalmente veloce, aveva dato buoni risultati in situazioni di scarsa illuminazione, ma la Leica era più adatta per effettuare esposizioni ripetute senza attirare l’attenzione del soggetto.
Questa fotocamera e gli altri strumenti con pellicola da 35mm che seguirono trasformarono il fotogiornalismo. Le immagini che producevano erano abbastanza nitide da poter essere ingrandite e i molteplici scatti potevano essere disposti in sequenze. Alla fine, le fotocamere 35mm hanno ispirato nuovi standard estetici anche nell’espressione fotografica personale. I miglioramenti successivi hanno incluso l’uso di motori che fanno avanzare la pellicola in modo automatico e che preparano l’otturatore per l’esposizione successiva. Le fotocamere a pellicola utilizzate dai professionisti erano dotate di controlli sia manuali che elettronici per la messa a fuoco, il flash e l’avanzamento della pellicola, e potevano leggere le valutazioni ASA da un codice a barre sulla pellicola. I misuratori di luce incorporati misuravano la luce sia da vari punti che dal centro, oppure confrontavano la luce ricevuta da migliaia di immagini di prova.
Sempre nel 1925, si ebbe anche lo sviluppo di grande servizio sia per i fotografi dilettanti che per i professionisti: illuminazione tramite flash elettrico. Il magnesio, sotto forma di filo, nastro o polvere, era stato acceso con diversi metodi a partire dal 1860, ma la maggior parte di questi metodi divenne obsoleta dopo l’introduzione nel 1925 del flash, inventato in Germania dal Dr. Paul Vierkotter. L’incapsulamento del filo di magnesio nel vetro rendeva l’illuminazione artificiale più sicura e priva di fumo, e produceva meno contrasto. Le lampade a lamina apparvero nel 1929: come le lampadine a filo, erano attivate da batterie e alla fine potevano essere attivate automaticamente dal meccanismo di esposizione della fotocamera. Dopo la Seconda guerra mondiale, la sincronizzazione del flash è diventata una caratteristica integrata in quasi tutte le fotocamere, con la comparsa di piccoli cubi usa e getta. Dopo il 1950, lo sviluppo dei circuiti stampati e dei transistor ha reso possibili anche unità più leggere, senza parlare della possibilità di riutilizzare lo stesso flash più e più volte (gli attuali flash per intenderci).
Gli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale furono caratterizzati da una crescente rivalità tra i produttori tedeschi, che avrebbero contribuito in modo significativo alla rivoluzione nell’ambito delle macchine fotografiche. Nel 1929, un’importante tappa venne raggiunta con l’introduzione della prima macchina fotografica Rollei, nota come Rolleiflex. Questo evento segnò l’inizio di un nuovo capitolo nella storia della fotografia, poiché la Rolleiflex si affermò come una delle fotocamere reflex a medio formato più iconiche e influenti mai create. Con il suo design innovativo a doppia lente, la Rolleiflex offriva una prospettiva unica e una qualità d’immagine superiore, catturando l’immaginazione dei fotografi di tutto il mondo.
Nel 1932, la scena fotografica vide un’altra significativa svolta con il lancio della Contax I da parte di Zeiss. Questa macchina fotografica, con il suo design elegante e le caratteristiche avanzate, contribuì a stabilire nuovi standard di eccellenza nell’industria. La Contax I divenne nota per la sua straordinaria qualità ottica e la sua affidabilità, guadagnando rapidamente una reputazione di rilievo tra i fotografi professionisti e gli appassionati. Questa introduzione segnò l’inizio di una serie di fotocamere Contax altamente apprezzate che avrebbero continuato a definire la fotografia di precisione tedesca per decenni a venire.
Il 1932 viene anche ricordato per (purtroppo) altro. In quell’anno si verificò un evento che avrebbe scosso il mondo della fotografia: il suicidio di George Eastman, il fondatore della Eastman Kodak Company.
George Eastman era una figura di grande rilevanza nella storia della fotografia. Era stato lui a introdurre il concetto di fotografia accessibile a tutti con la sua creazione della prima fotocamera Kodak e la promozione della fotografia come un’attività accessibile e piacevole per il pubblico. La sua visione di rendere la fotografia alla portata di tutti aveva rivoluzionato il modo in cui le persone catturavano e condividevano momenti preziosi.
La sua decisione di porre fine alla propria vita nel 1932 fu un evento profondamente sconvolgente per l’industria fotografica e per tutti coloro che condividevano la sua passione per la fotografia. Il suo messaggio d’addio, “ai miei amici: il mio lavoro è compiuto. Perché attendere?“, rifletteva la sua profonda dedizione al progresso e all’innovazione. Tuttavia, lasciava anche spazio a domande sulla sua decisione e sul significato dietro quelle parole.
La morte di George Eastman segnò la fine di un’era, ma il suo impatto e il suo lascito avrebbero continuato a vivere attraverso l’eredità della Kodak e l’evoluzione dell’industria fotografica nel corso dei decenni successivi. Il suo contributo alla democratizzazione della fotografia e alla promozione dell’arte visiva rimane un elemento chiave nella storia della fotografia moderna.
Nel 1928, fece la sua comparsa una figura che avrebbe dato un contributo significativo a questa industria: la Minolta. Fondata in Giappone, la Minolta si affermò come un’azienda leader nell’innovazione e nella produzione di attrezzature fotografiche di alta qualità. La sua presenza avrebbe avuto un ruolo rilevante nell’evoluzione tecnologica e nella competizione all’interno del settore fotografico.
Tuttavia, il vero banco di prova per l’industria fotografica giapponese avvenne nel 1932. In quell’anno, la Nippon Jogaku, azienda fondata proprio nel 1932, fece il suo ingresso sul mercato con i primi obiettivi Nikkor. Questa fu una pietra miliare per il Giappone, poiché segnò l’inizio di una tradizione di eccellenza nella produzione di ottiche fotografiche. I primi obiettivi Nikkor stabilirono un nuovo standard per la qualità delle lenti, dimostrando al mondo che il Giappone aveva una forza innovativa da offrire nel campo della fotografia. La Nikkor avrebbe continuato a crescere in popolarità e riconoscimento, diventando uno dei marchi di ottiche fotografiche più rispettati al mondo.
Il 1933 segnò l’introduzione di una delle pellicole più celebri e influenti di tutti i tempi: la Kodachrome. Questa innovazione epocale venne sviluppata da due musicisti americani di nome Leopold Mannes e Leopold Godowsky. La loro invenzione avrebbe avuto un impatto rivoluzionario sulla fotografia a colori e avrebbe aperto nuove possibilità creative per i fotografi di tutto il mondo.
Mannes e Godowsky erano conosciuti per la loro passione sia per la musica che per la scienza. La loro ricerca e sperimentazione sulla fotografia a colori portarono alla creazione della pellicola Kodachrome, che sarebbe diventata un pilastro nel mondo della fotografia a colori. La pellicola Kodachrome fu un risultato diretto della loro ricerca per produrre immagini a colori di alta qualità con una precisione cromatica senza precedenti.
L’innovazione principale di Kodachrome risiedeva nella sua capacità di catturare i colori direttamente sulla pellicola stessa, a differenza delle pellicole a colori precedenti che richiedevano un processo di sviluppo complesso e delicato. Questo processo coinvolgeva una serie di strati fotosensibili che reagivano alla luce in diverse lunghezze d’onda, creando un risultato visivo sorprendentemente accurato e vivido.
La Kodachrome conquistò rapidamente il cuore dei fotografi e del pubblico, poiché consentiva di preservare momenti della vita quotidiana con colori realistici e vibranti. Questa pellicola sarebbe diventata una scelta popolare per la fotografia amatoriale e professionale, contribuendo a gettare le basi per l’era delle immagini a colori nella fotografia.
Un altro anno cruciale fu il 1934, che vide la nascita di un’azienda destinata a diventare una delle icone del settore: la Precision Optical Instruments Laboratory. Fondata in Giappone dall’audace imprenditore Tashima Kazuo, questa azienda avrebbe aperto la strada a nuove frontiere nella tecnologia fotografica.
Con il prezioso contributo di Nikon, la Precision Optical Instruments Laboratory si mise all’opera per realizzare un ambizioso prototipo di fotocamera che avrebbe rivoluzionato il mondo della fotografia: la Hansa Kwanon. Questa fotocamera, basata sul formato 35mm, presentava una caratteristica innovativa: un sistema di telemetro. Il telemetro, un dispositivo ottico che permetteva di misurare la distanza tra la fotocamera e il soggetto, rappresentava un passo avanti significativo nella precisione delle riprese.
Nel 1935, l’anno successivo al completamento del prototipo, fu registrato il marchio Canon. Questo segnò l’inizio ufficiale della storia di Canon come produttore di apparecchi fotografici e ottici. Il nome “Canon” fu scelto con un significato simbolico: la parola deriva dal termine giapponese “Kwanon,” un riferimento alla dea buddista della misericordia. Questa scelta rifletteva l’aspirazione dell’azienda a portare un’innovazione compassionevole e di alta qualità nel mondo della fotografia.
L’entrata di Canon nel mercato delle fotocamere con telemetro avrebbe segnato l’inizio di una lunga e illustre carriera nell’industria fotografica. Nel corso degli anni, Canon avrebbe continuato a sviluppare tecnologie all’avanguardia e a introdurre prodotti innovativi che avrebbero ridefinito gli standard di qualità e performance nel settore.
Nel 1934, oltre che per la Canon, va ricordato anche per l’invenzione ad opera di Edwin H. Land che realizzò un foglio polarizzante, un prodotto alla base della ditta che fonderà nel 1937 chiamata con lo stesso nome di questo foglio: Polaroid. Si tratta di una pellicola di nitrocellulosa (una sorta di plastica, ovviamente trasparente) su cui erano affogati dei cristalli di solfato di iodio chinino. Questi cristalli, aghiformi, sono orientati parallelamente tramite l’uso di un campo magnetico. Il film ottenuto è quindi dicroico: assorbe la luce polarizzata perpendicolare alla direzione d’allineamento dei cristalli. Nascono quindi le lenti polarizzate e qualche anno dopo (intorno al 1948) verrà prodotta anche la prima macchina fotografica Polaroid (dove la pellicola era anche in grado di auto svilupparsi). A proposito, nel 1934 vide i natali anche la giapponese Fuji.

Nel 1936, come accennato precedentemente, venne commercializzata la pellicola a colori Kodachrome sia a 16 che 36mm. Stesso anno ma azienda diversa: Agfa lanciò l’Agfacolor. Ma il 1936 è famoso per un altro oggetto commercializzato a Dresda dalla Ihagee: la Kine-Exakta è la prima macchina Reflex della storia, con mirino a pozzetto (anche se dopo la caduta del muro di Berlino si scoprì come in Russia esisteva già dal 1934 la Sport, una macchina fotografica Reflex che non arrivò mai nei paesi occidentali). Nello stesso anno venne fondata la Ricoh.
L’anno 1937 rappresenta un capitolo importante nella storia della fotografia italiana, con la nascita a Milano dell’ICAF, poi conosciuta con il nome di Bencini. Questa azienda avrebbe contribuito in modo significativo al panorama fotografico nazionale e internazionale, producendo apparecchi fotografici di qualità che sarebbero diventati strumenti essenziali per gli appassionati e i professionisti del settore.
Nel 1938, la nota azienda motociclistica italiana Ducati fece il suo ingresso nel mondo della fotografia producendo una delle prime macchine fotografiche commerciali con ottiche intercambiabili. Questo rappresentava un passo avanti nella flessibilità creativa per i fotografi, poiché potevano adattare l’obiettivo alle diverse situazioni di scatto. La caratteristica di questo dispositivo, dal formato ridotto di 18x24mm, mostrava una combinazione di tecnologia e design che avrebbe aperto nuove opportunità creative.
Nello stesso anno, nel 1938, fu lanciata sul mercato la Kodak SiperSix-20, che introdusse un’innovazione significativa: l’esposizione automatica. Questo sviluppo tecnologico avrebbe semplificato notevolmente il processo di scatto, consentendo ai fotografi di ottenere immagini ben esposte con maggiore facilità. La Kodak SiperSix-20 rappresentò quindi un passo avanti nell’accessibilità e nell’usabilità della fotografia, aprendo le porte a un pubblico più ampio e consentendo a chiunque di catturare momenti preziosi senza la necessità di competenze tecniche avanzate.
Il 1938 fu testimone della fondazione di un’azienda che avrebbe avuto un impatto significativo in molti settori, tra cui la fotografia: la Samsung. Questo nome sarebbe diventato noto in tutto il mondo grazie alla sua vasta gamma di prodotti e innovazioni, tra cui anche fotocamere digitali e telefoni cellulari dotati di avanzate capacità fotografiche.
Nel giro di due anni, nel 1940, la Mamiya fece la sua comparsa, portando con sé una reputazione di qualità e affidabilità nel mondo della fotografia. L’azienda si sarebbe specializzata nella produzione di fotocamere medio formato e avrebbe continuato a essere un punto di riferimento per i fotografi professionisti e amatoriali alla ricerca di strumenti di alta qualità.
Una storia interessante e un po’ insolita è quella della Hasselblad, fondata nel 1941 in Svezia. Inizialmente, l’azienda non aveva nulla a che fare con la fotografia, poiché era una società di commercio. Tuttavia, durante la Seconda guerra mondiale, si aprì una nuova strada per la Hasselblad. L’aeronautica svedese aveva bisogno di effettuare riprese aeree per scopi di intelligence e aveva bisogno di strumenti di alta qualità per farlo. La Hasselblad colse l’opportunità e si lanciò nel mondo della fotografia, sviluppando apparecchiature di alta precisione e qualità che avrebbero col tempo conquistato il cuore dei fotografi professionisti.
Nel 1942, Kodak fece un passo significativo nel mondo della fotografia introducendo il suo negativo a colori chiamato Kodacolor. Questa mossa segnò un momento di grande rilevanza nell’evoluzione della fotografia a colori, anche se fu preceduta di un anno dalle offerte simili di aziende concorrenti come Agfa e Ansco.
Il lancio del negativo a colori Kodacolor rappresentò un passo avanti nell’accessibilità alla fotografia a colori per il grande pubblico. Prima di questa innovazione, la fotografia a colori era spesso un processo complesso e costoso, riservato principalmente a professionisti o a coloro che avevano accesso a strumenti e risorse specifiche. Tuttavia, l’introduzione di Kodacolor ha reso la fotografia a colori più accessibile al pubblico in generale, aprendo le porte a una nuova era di espressione visiva.
Nel 1946, un momento di trasformazione importante si è verificato nel panorama fotografico quando la Nippon Kogaku ha deciso di cambiare il proprio nome, diventando Nikon. Questo cambiamento di denominazione ha rappresentato una pietra miliare per l’azienda e ha gettato le basi per la sua futura espansione e il suo riconoscimento globale come uno dei principali produttori di attrezzature fotografiche.
Nel medesimo anno, il 1946, furono gettate le fondamenta per il futuro dell’industria tecnologica quando vennero fondate due aziende che avrebbero avuto un impatto duraturo: Sony e Casio. Entrambe le aziende si sono affermate come leader nel settore dell’elettronica di consumo, introducendo una vasta gamma di prodotti innovativi, tra cui anche fotocamere digitali e altre soluzioni fotografiche avanzate. L’ingresso di Sony e Casio nel panorama fotografico ha contribuito a ridefinire il modo in cui le persone catturano, condividono e interagiscono con le immagini.
Nel 1947, l’agenzia fotografica Magnum Photos fu fondata da un gruppo di fotografi rinomati, tra cui Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger. Questa agenzia, che ha continuato a essere un pilastro nella fotografia documentaristica e di reportage, ha permesso ai fotografi di mantenere un controllo più diretto sulle proprie opere, oltre a contribuire alla definizione dei canoni dell’arte fotografica moderna. L’istituzione di Magnum Photos ha dato voce a fotografi di talento e ha contribuito a portare l’attenzione su questioni globali e sociali attraverso potenti immagini visive.
Curiosità: Un episodio affascinante e storicamente significativo nel mondo della fotografia è legato alla prima fotografia scattata dallo spazio. Questo straordinario evento ha avuto luogo il 24 ottobre 1946, quando il razzo V-2 #13 è stato lanciato. Questa missione, oltre a rappresentare un passo avanti nella ricerca spaziale, ha fornito un’opportunità unica per catturare l’immagine della Terra dal punto di vista extraterrestre.
La fotografia stessa è un’istantanea affascinante del nostro pianeta, immortalata in bianco e nero. Questa immagine unica e pionieristica è stata catturata da un’altitudine di circa 65 chilometri, consentendo ai telespettatori di vedere la Terra da una prospettiva che fino ad allora era rimasta inaccessibile all’occhio umano. La vista spettacolare, anche se monocromatica, ha rivelato una visione unica e affascinante della curvatura della Terra, delle nuvole e delle caratteristiche geografiche.
La macchina fotografica responsabile per catturare questo momento storico era una fotocamera da 35 mm. Questo particolare modello scattava un fotogramma ogni secondo e mezzo, catturando progressivamente l’ascesa del razzo attraverso l’atmosfera terrestre. Questo dettaglio tecnico rende ancora più straordinaria la creazione di questa immagine, poiché è stata catturata in movimento e con un timing preciso, catturando la bellezza e la maestosità del nostro pianeta dalla prospettiva dello spazio.
L’immagine non solo ha segnato un momento di pionierismo nella fotografia e nell’esplorazione spaziale, ma ha anche aperto la porta a nuove sfide creative e possibilità artistiche. Da allora, la fotografia spaziale è diventata un genere in sé, con astronauti e veicoli spaziali che catturano e condividono immagini straordinarie dell’universo che ci circonda.
Nel 1948 la Fuji presentò il proprio modello di pellicola negativa a colori, un anno prima dell’italiana Ferraniacolor. Nello stesso anno, come anticipato poco sopra, venne prodotta la prima Polaroid Modello 95 (la prima macchina fotografia a sviluppo immediato, realizzata sul brevetto di Edwin Land, presentato la prima volta nel 1947 alla Optical Society of America). Sempre nel 1948 Victor Hasselblad presentò quella che probabilmente è stata la fotocamera reflex medio formato più famosa del mondo: la Hasselblad 1600F. Ed ancora, a Dresda, vide la luce un’altra pietra miliare della fotografia: la prima macchina fotografica con innesto a vite per gli obiettivi, la Praktireflex (ad opera della ditta Praktica).
Sempre nel 1948, l’industria fotografica italiana presentò un contributo significativo attraverso la creazione della prima e unica macchina reflex prodotta nel paese. Questo importante sviluppo fu materializzato nella forma della Rectaflex, una fotocamera reflex che avrebbe segnato una svolta nello scenario della fotografia reflex.
La Rectaflex rappresentava un passo audace nell’innovazione e nell’ingegneria fotografica. Questa macchina fotografica a pellicola da 35 mm era dotata di caratteristiche all’avanguardia per l’epoca, tra cui un mirino a pentaprisma che migliorava notevolmente la precisione e la chiarezza della composizione. L’otturatore integrato consentiva agli utenti di controllare con maggiore precisione il tempo di esposizione, aprendo la strada a una maggiore flessibilità creativa.
Uno degli aspetti distintivi della Rectaflex era il suo innesto a vite, che costituiva un passo avanti nell’intercambiabilità delle ottiche. Questo dettaglio tecnico non solo offriva agli fotografi una vasta gamma di opzioni creative attraverso l’uso di obiettivi diversi, ma sottolineava anche l’attenzione all’ergonomia e alla praticità nella progettazione della macchina.
Nonostante il notevole progresso rappresentato dalla Rectaflex, purtroppo non ricevette l’attenzione che meritava nel momento stesso in cui venne presentata. Questo fatto potrebbe essere attribuito a vari fattori, tra cui la competizione internazionale e le sfide connesse alla visibilità e alla commercializzazione nell’ambiente fotografico dell’epoca.
Il 1949 si rivelò un anno di grande rilevanza nell’evoluzione della fotografia, con diverse innovazioni che lasciarono un segno indelebile nell’industria. In particolare, la casa produttrice giapponese Nikon presentò un notevole contributo al panorama fotografico con il lancio della sua reflex a telemetro, la Nikon I. Questo modello rappresentò un passo significativo verso l’affermazione di Nikon come leader nell’ambito delle fotocamere a telemetro e avrebbe gettato le basi per futuri successi nella produzione di fotocamere reflex avanzate.
La Nikon I segnò una svolta nel design delle fotocamere reflex, introducendo l’innovativo sistema a telemetro. Questa tecnologia permetteva ai fotografi di ottenere una messa a fuoco precisa ed efficiente, migliorando notevolmente la qualità delle immagini catturate. L’adozione di un sistema a telemetro rappresentava un significativo passo in avanti nella progettazione delle fotocamere, aprendo nuove possibilità creative per gli utenti e stabilendo un nuovo standard nel settore.
Nello stesso anno, il nome Carl Zeiss fece onore alla tradizione di eccellenza con il lancio della Contax S. Questa fotocamera rappresentava una vera e propria pietra miliare grazie all’innesto a vite per gli obiettivi e al pentaprisma, caratteristiche che avrebbero contribuito a plasmare il futuro delle fotocamere reflex. L’innesto a vite rappresentava un notevole miglioramento nell’intercambiabilità degli obiettivi, permettendo ai fotografi di scegliere tra una vasta gamma di ottiche per adattarsi alle diverse situazioni di scatto.
La Contax S di Zeiss ebbe un impatto significativo sull’industria, attirando l’attenzione e il plauso di fotografi e appassionati di tutto il mondo. Questo modello divenne rapidamente un punto di riferimento per l’innovazione e il design avanzato, influenzando le generazioni future di fotocamere reflex.
Parallelamente a questi sviluppi significativi, il panorama fotografico si arricchì ulteriormente con la fondazione di altre due importanti aziende giapponesi: Yashica e Sanyo. Queste nuove realtà avrebbero contribuito a plasmare il futuro della fotografia, introducendo nuove tecnologie e concetti innovativi che avrebbero influenzato l’evoluzione dell’industria.