Ferninando Scianna è nato il 4 luglio 1943 a Bagheria, Sicilia. Attivo a livello internazionale e tutt’oggi in vita, Scianna ha segnato profondamente la storia della fotografia moderna.
Ferdinando Scianna cresce nella Sicilia degli anni Quaranta e Cinquanta, in un ambiente rurale e profondamente legato ai rituali comunitari. La sua fusione culturale tra lo studio delle Lettere e Filosofia all’Università di Palermo e la passione per la fotografia nacque già in gioventù. Quel dialogo tra pensiero critico e immagine visiva contribuì a creare quella sua cifra stilistica che mostra sempre un forte impatto narrativo, quasi letterario. Tanto che, ancora studente, fu notato dallo scrittore Leonardo Sciascia, che coinvolse Scianna per il suo primo volume fotografico, Feste religiose in Sicilia (1965), anticipando il conferimento del Prix Nadar nel 1966.
Questa fotografia di matrice documentaria fu il terreno ideale per affinare la sua capacità di osservazione attiva: Scianna non registrava semplicemente i rituali, ma li rievocava, scegliendo inquadrature frontali, sfruttando chiaroscuri acuti e modulando ombre robuste. La scelta del bianco e nero non era mera convenzione stilistica, ma un mezzo estetico per accentuare la plasticità dei corpi, l’architettura delle processioni, la profondità emotiva dei momenti colti.
Trasferitosi a Milano nel 1966 e poi a Parigi, continuò a sviluppare un approccio rigoroso alla narrazione visiva, imparando a manipolare luce naturale, contro-luce, controluce, fino a controllare l’esposizione anche a ISO ridotti per ottenere grandissima nitidezza nei volti. Il ruolo giornalistico di reporter per L’Europeo, insieme ai contributi per Le Monde diplomatique e La Quinzaine Littéraire, lo proiettarono fin dagli anni Settanta su un piano professionale internazionale, pur senza mai rinunciare a quel forte radicamento nei soggetti siciliani.
Lo stile narrativa e l’influenza di Cartier‑Bresson
Il periodo parigino è stato cruciale, perché fu lì che Scianna incontrò Henri Cartier‑Bresson, che lo avrebbe indicato tra i fotografi più promettenti del suo tempo. Appena entrato in Magnum (1977 come corrispondente, 1989 come membro a pieno titolo), Scianna sembrò fare proprio l’aspetto più nobile della filosofia bressoniana: cogliere lo scatto decisivo, fondendo spontaneità e composizione. Marco critico della fotografia ha notato spesso come i suoi inquadramenti, pur apparentemente semplici, nascondano una preparazione attenta del frame – con piani prospettici studiati, linee geomtriche nel paesaggio, recinzioni architettoniche che guidano l’occhio verso il soggetto. Ne nasce una narrazione visiva dove ogni elemento dello scatto è coautore della vicenda rappresentata.
Bianco e nero resta il fil rouge narrativo: la resa tonale lavora su triplo contrasto (omblene chiara-luce media-nere), accentuando l’intensità espressiva. Questo permette di dare corpo alle emozioni collettive, alle tensioni (religiose, sociali, simboliche) che trapelano dai volti e dai gesti. Scianna, però, approfondisce l’interpretazione di una realtà sospesa tra sacro e profano, dove la vita quotidiana si dispiega sotto il peso delle tradizioni.
Transizione verso la fotografia di moda: Dolce & Gabbana
A metà degli anni Ottanta, il dialogo tra Scianna e la grande moda comincia con la collaborazione con Dolce & Gabbana. Fu un incontro apparentemente inaspettato, ma in realtà perfettamente coerente con la sua estetica: le immagini furono scattate per strada, nelle piazze, nei mercati siciliani, più che in studio. Il soggetto di rottura fu Marpessa Hennink, il cui ritratto emblematico — in cui un bambino la fotografa — restituì perfettamente il contrasto tra quotidianità e teatralità. Il risultato fu una narrazione di moda che si avvicinava alla strada, alla documentazione, alla paesologia visiva.
Dal punto di vista tecnico, Scianna continuò a usare film ad alta definizione e obiettivi f/2–f/4 per ottenere uno sfondo leggermente sfuocato ma non troppo, mantenendo la nitidezza sul soggetto. Il set improvvisato, la disposizione della figura rispetto alla luce del sole e l’uso di riflettori portatili erano supporti tecnici, non protagonisti – lui restava narratore, non scenografo.
Questa svolta consentì a Scianna di ottenere incarichi prestigiosi su riviste come Vogue e Grazia, firmando campagne ancora oggi reputate tra le più iconiche della moda italiana.
Durante il suo percorso ha approfondito significativamente il campo del ritratto. Scianna si è dedicato a ritratti di scrittori e intellettuali (Leonardo Sciascia, Jorge Luis Borges, Manuel Vázquez Montalbán), sviluppando una tecnica rigorosa: luce diffusa, ritocco minimo, uso del bianco e nero salvo per ritratti celebrativi, dove sperimentava con colorimetrie tenui, giocando sui contrasti tonali meno netti per trasformare l’immagine in mezzo pittorico.
Il ritratto traeva sempre forza dalla posture e dall’arco gestuale del soggetto. Scianna, seguendo Bresson, non amava pose artefatte: preferiva quelle naturali, respirate, che denunciavano la psiche del soggetto. L’uso della luce laterale – con softbox o lastre riflettenti – modellava i volti, accentuandone texture, rugosità, dilatazioni emotive. Il controllo strettissimo sull’esposizione garantiva una gamma graduale tra pieni e ombre.
Da un punto di vista tecnico, preferiva strumenti analogici – Nikon F3, Leica M4 – ma non escludeva la sperimentazione digitale per scatti editoriali: la transizione era lenta, calibrata, per mantenere il grana percepita e non appiattire il contrasto.
Le pubblicazioni e i progetti più significativi
Ferdinando Scianna ha firmato più di 70 pubblicazioni, declinate su narrativa visiva e reportage. Alcuni titoli sono fondamentali:
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Feste religiose in Sicilia (1965): il nucleo fondante del suo stile documentaristico, capace di raccontare tradizione e comunità.
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Les Siciliens/La Villa dei Mostri (1977): due volumi che moldano il discorso visuale tra antropologia culturale e architettura fantastica.
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Viaggio a Lourdes (1995): il ritorno alla dimensione sacra, con scatti laici e devoti allo stesso tempo.
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Dormire forse sognare (1997): sperimentazione notturna che gioca sul contrasto luce/buio e sull’interpretazione onirica della veglia.
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Jorge Luis Borges (1999): ritratto-lettera visiva al grande scrittore, in una combinazione di scatti in studio e momenti rubati.
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Niños del Mundo (1999): reportage internazionale sui bambini delle culture, rafforzando il tema del “universale nel particolare”.
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Quelli di Bagheria (2003): ritorno a casa, ricostruzione visiva e narrativa della sua giovinezza, tra memoria e presenza.
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Autoritratto di un fotografo (2011): riflessione e autobiografia a più voci, tra immagine e parola.
Analisi tecnica del suo linguaggio fotografico
Scianna ha sempre integrato la cultura umanistico-filosofica con la tecnica fotografica più rigorosa, sviluppando una grammatica visiva unica:
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Bianco e nero in funzione narrativa: ricerca di alte possibilità espressive attraverso il contrasto e la scala tonale fine.
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Chiaroscuro naturale: la gestione della luce solare come unico oggetto di controllo, spesso arricchita da pannelli riflettenti artigianali.
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Composizione frontale: il soggetto quasi sempre affrontato di petto, in equilibrio simmetrico nel frame, con un’accentuata centralità narrativa.
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Inquadrature decisive: sensazione di attimo catturato, perfetto equilibrio tra programma progettuale e apertura alla vita intorno.
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Strumenti analogici di precisione: Nikon F3, Leica M4, con ottiche fisse 35–50 mm, per garantire nitidezza medio-granulosa e resa precisa dei neri.
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Ritocco minimale: al massimo lievi ritocchi manuali su stampa, per preservare l’immediatezza percepita della fotografia. Il digitale entra solo dove serve precisare la cromia.
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Dimensione letteraria: fotografia come narrazione, ogni immagine guida lo spettatore verso una storia non detta.
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Documentazione etica e poetica: anche quando fotografa la moda, Scianna non rinuncia a un atteggiamento etnografico; la bellezza assume senso solo all’interno del contesto umano.
Principali esposizioni e riconoscimenti
Scianna ha visto riconosciuto il suo valore in numerosi contesti internazionali. Diverse mostre gli hanno dedicato retrospettive, tra le altre:
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Bagheria, Milano, Parigi, Venezia, Forlì, Bergamo (GAMeC), fino alle mostre itineranti tra 2018 e 2022 sul tema “Viaggio, racconto, memoria”.
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Mostre tematiche sull’Italia, sulla spiritualità, sul child reportage, ospitate da istituzioni come la Maison Européenne de la Photographie.
I premi ricevuti includono:
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Prix Nadar per Feste religiose in Sicilia (1966);
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Riconoscimenti per Dormire forse sognare e Niños del Mundo;
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Premi per le campagne moda con Dolce & Gabbana;
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Riconoscimenti dalla Magnum Photos e da associazioni fotografiche internazionali per la sua capacità di coniugare rigore documentario e poetica visiva.
Ferdinando Scianna mantiene nel presente una forte presenza professionale, documentando progetti personali e curando pubblicazioni. Non ha mai smesso di fotografare, riaffermando l’importanza del tempo del fotografo, del silenzio dello scatto, del ritardo tra osservazione e cattura. Dispone di una solida produzione digitale, ma rimane per lo più legato al bianco e nero e alla pellicola, considerandoli più compatibili con la sua visione poetica.
Gli attuali workshop, conferenze e proposte didattiche presentano il suo apporto tecnico: come lavorare la luce in situ, come costruire una narrazione visiva senza scenografia, come rispettare la dignità del soggetto, come mettere insieme documentazione, ironia, drammaticità e simbolismo in una fotografia leggera ma densa.