L’obiettivo Petzval rappresenta una pietra miliare nella storia della tecnologia ottica, con implicazioni tecniche che hanno ridefinito i parametri della fotografia ritrattistica del XIX secolo e oltre. Progettato nel 1840 dal matematico e fisico Joseph Petzval (1807–1891), questo sistema ottico introdusse innovazioni radicali nella velocità di esposizione e nella gestione delle aberrazioni, diventando un modello di riferimento per successive generazioni di obiettivi. La sua architettura, basata su calcoli matematici precisi, sfrutta una combinazione unica di lenti per ottimizzare la luminosità e il controllo della profondità di campo, caratteristiche che lo rendono ancora oggi oggetto di studio e riproduzioni moderne.
Storia e sviluppo dell’obiettivo Petzval
Joseph Petzval, nato nel 1807 a Spišská Belá (nell’attuale Slovacchia), fu una figura poliedrica: matematico, ingegnere e fisico, ma il suo nome è indissolubilmente legato alla rivoluzione della fotografia. Dopo gli studi all’Institutum Geometricum di Budapest e all’Università di Vienna, dove insegnò meccanica e ottica, Petzval concentrò le sue ricerche sulla correzione delle aberrazioni nei sistemi ottici. Nel 1840, presentò un obiettivo a quattro lenti con apertura f/3.6, un salto quantico rispetto alle lenti Daguerre dell’epoca, che richiedevano tempi di esposizione fino a 30 minuti.
La collaborazione con Peter Wilhelm Friedrich von Voigtländer, ottico e imprenditore austriaco, permise la produzione su scala industriale del primo obiettivo Petzval. Tuttavia, il rapporto si incrinò a causa di dispute sui brevetti: Voigtländer spostò la produzione fuori dall’Austria per eludere le restrizioni, vendendo oltre 60.000 unità entro il 1862. Questo conflitto segnò l’inizio di una lunga controversia sulla paternità intellettuale del progetto, che Petzval rivendicò senza mai ottenere un riconoscimento economico proporzionale.
Dal punto di vista tecnico, l’obiettivo originale era costituito da due doppietti acromatici separati da un diaframma, una configurazione che minimizzava l’aberrazione sferica e cromatica assiale. La lunghezza focale di 160 mm e l’apertura massima di f/3.6 lo resero ideale per i ritratti, riducendo i tempi di posa a meno di un minuto. La curvatura di campo Petzval, un effetto ottico che produce una nitidezza centrale estrema e una sfocatura progressiva verso i bordi, divenne un tratto distintivo, sfruttato artisticamente anche nelle versioni contemporanee.
Principi ottici e architettura dell’obiettivo
L’obiettivo Petzval si basa su un design a quattro elementi divisi in due gruppi: un doppietto anteriore positivo e un doppietto posteriore negativo, separati da uno spazio d’aria che funge da diaframma. Questa disposizione sfrutta il principio della somma di Petzval, una formula matematica che descrive la curvatura del campo immagine in funzione della potenza ottica delle superfici delle lenti. La relazione è espressa come:
dove R è il raggio di curvatura del campo, ni l’indice di rifrazione e fi la lunghezza focale di ciascuna lente. Nel progetto originale, Petzval bilanciò le superfici positive e negative per ottenere un campo piatto, ma le limitazioni tecnologiche dell’epoca imposero un compromesso, risultante nella caratteristica curvatura.
Il doppietto anteriore, composto da una lente crown e una flint, corregge l’aberrazione cromatica longitudinale, mentre il doppietto posteriore riduce l’astigmatismo e il coma. L’uso di vetri ottici con alti indici di rifrazione (come il vetro Schott sviluppato successivamente) avrebbe migliorato ulteriormente le prestazioni, ma ai tempi di Petzval erano disponibili solo materiali con dispersioni elevate, limitando la correzione cromatica.
Un aspetto critico è il piano focale curvo: l’immagine proiettata dall’obiettivo forma una superficie sferica anziché piatta, il che richiederebbe un sensore o una pellicola ugualmente curvi per una nitidezza uniforme. Poiché i sensori moderni sono piatti, ciò implica che solo la zona centrale risulta perfettamente a fuoco, mentre i bordi mostrano una progressiva sfocatura. Questo effetto, inizialmente considerato un difetto, è oggi ricercato per il suo impatto estetico nei ritratti e nella cinematografia.
Aberrazioni e limitazioni tecniche
Nonostante i vantaggi rivoluzionari, l’obiettivo Petzval presenta aberrazioni intrinseche legate al suo design. La curvatura di campo è la più evidente: come descritto da Petzval nel suo trattato Dioptrische Untersuchungen, la superficie focale non coincide con il piano del sensore, creando una disparità di nitidezza tra centro e bordi Questo fenomeno è quantificato dalla somma di Petzval, che determina il raggio di curvatura del campo in base alla potenza delle lenti.
L’astigmatismo obliquo è un’altra aberrazione significativa: i raggi luminosi provenienti da angoli obliqui rispetto all’asse ottico focalizzano in punti diversi per i piani tangenziale e sagittale, producendo immagini deformate ai bordi. Petzval mitigò parzialmente questo effetto ottimizzando la forma delle lenti, ma le tecniche di lavorazione del XIX secolo non permisero una correzione completa.
Un ulteriore limite è la vignettatura, causata dall’ostruzione fisica della luce ai bordi del campo visivo. Nel design originale, il diaframma posto tra i due doppietti agiva come un apertura di campo, riducendo la luminosità periferica. Nelle versioni moderne, come la Lomography Petzval 85, questo effetto è esasperato da diaframmi a iride intercambiabili, che permettono di modulare la forma della sfocatura.
Applicazioni moderne e adattamenti
Sebbene l’obiettivo Petzval originale sia caduto in disuso con l’avvento di progetti più corretti (come il Tessar di Carl Zeiss), il suo design è stato riproposto in chiave contemporanea da aziende come Lomography. La New Petzval 85 mm f/2.2, disponibile per attacchi Canon EF e Nikon F, mantiene l’architettura a quattro elementi ma introduce materiali moderni come vetri a bassa dispersione e rivestimenti antiriflesso.
Una differenza cruciale rispetto al progetto ottocentesco è la gestione del bokeh: le versioni moderne incorporano un sistema di diaframmi a lamelle intercambiabili (detti “Waterhouse”) che consentono di modellare lo sfocato in forme geometriche (esagonali, stellari)5. Questo adattamento sfrutta la curvatura di campo per creare effetti artistici, trasformando un limite tecnico in una risorsa creativa.
L’uso di leghe di alluminio per la barilatura e di meccanismi di messa a fuoco a cremagliera elicoidale migliora l’ergonomia, mentre il trattamento ottico multistrato riduce i flare e i ghosting, problemi comuni negli obiettivi antichi. Tuttavia, la resa ottica rimane volutamente vicina all’originale, con una nitidezza centrale superiore al 90% MTF a 10 linee/mm e un crollo al 30% ai bordi, caratteristica che riproduce l’effetto “vintage” ricercato dai fotografi.
Considerazioni tecniche per l’utilizzo pratico
L’impiego di un obiettivo Petzval richiede una comprensione approfondita delle sue peculiarità ottiche. La distanza iperfocale, ad esempio, è influenzata dalla curvatura di campo: a differenza degli obiettivi convenzionali, dove la profondità di campo si estende simmetricamente davanti e dietro al piano focale, nel Petzval la zona di nitidezza forma una cupola, rendendo inefficaci le tradizionali scale di profondità.
La calibrazione della messa a fuoco è un altro aspetto critico. Nelle versioni moderne, la regolazione avviene mediante una manopola metallica che sposta l’intero gruppo ottico anteriore, modificando la distanza tra gli elementi5. Questo design, ereditato dagli obiettivi a soffietto, richiede una manutenzione periodica per evitare giochi meccanici che potrebbero disallineare le lenti.
Per sfruttare al meglio il caratteristico bokeh a vortice, è consigliabile utilizzare il diaframma più aperto (f/2.2 nella Lomography) e posizionare il soggetto a una distanza pari a 3-4 volte la lunghezza focale. In queste condizioni, lo sfondo assume una texture rotazionale dovuta alla combinazione di curvatura di campo e astigmatismo, effetto impossibile da replicare con obiettivi a correzione piatta.