Un teleobiettivo è un obiettivo fotografico caratterizzato da una lunghezza focale significativamente maggiore rispetto alla diagonale del formato del fotogramma, risultando in un angolo di campo ridotto. La sua funzione principale è ingrandire il soggetto, isolandolo dal contesto circostante. A differenza di un comune obiettivo a fuoco lungo, un teleobiettivo utilizza uno schema ottico specifico – il gruppo teleobiettivo – che permette di accorciare la lunghezza fisica dell’obiettivo rispetto alla sua lunghezza focale effettiva. Questo viene ottenuto mediante una combinazione di lenti convergenti e divergenti: il gruppo anteriore (convergente) focalizza la luce verso un punto, mentre il gruppo posteriore (divergente) estende il percorso luminoso, simulando una focale più lunga in uno spazio fisico ridotto.
Il concetto di telefotografia fu teorizzato per la prima volta da Johann Zahn nel 1685, ma trovò applicazione pratica solo nel 1891 con il brevetto di Thomas Rudolphus Dallmeyer, che introdusse il Dallmeyer Telephoto Lens. La formula ottica base prevedeva un doppietto acromatico anteriore positivo e un singolo elemento posteriore negativo, riducendo del 30% la lunghezza complessiva rispetto a un obiettivo tradizionale. Questo schema, noto come teleobiettivo invertito, rimane alla base dei progetti moderni, sebbene con ottimizzazioni avanzate per correggere aberrazioni come l’astigmatismo e la curvatura di campo.
Un parametro critico nei teleobiettivi è il rapporto di compressione, calcolato come il rapporto tra la lunghezza focale e la lunghezza fisica dell’obiettivo. Nei modelli professionali, questo valore può raggiungere 1.5:1, consentendo focali di 600 mm in corpi di soli 400 mm. Tuttavia, maggiore è il rapporto, più complessa diventa la correzione delle aberrazioni cromatiche longitudinali, risolte attraverso l’uso di lenti a bassa dispersione (ED, UD, Fluorite) e rivestimenti multistrato.
Sviluppo storico del teleobiettivo
La storia del teleobiettivo è intrecciata con l’evoluzione della fotografia stessa. Nel 1840, Joseph Petzval progettò il primo obiettivo matematicamente calcolato per ritratti, il Petzval Portrait Lens, con un’apertura di f/3.6. Sebbene non fosse un teleobiettivo in senso stretto, il suo schema a quattro lenti dimostrò l’importanza del calcolo scientifico nella correzione delle aberrazioni.
Il vero salto tecnologico avvenne nel 1891 con il brevetto di Thomas Dallmeyer, che introdusse il concetto di gruppo teleobiettivo. Il suo obiettivo da 30 pollici (762 mm) per fotocamere a lastre 8×10″ utilizzava un doppietto anteriore in crown glass e un singolo elemento posteriore in flint glass, riducendo del 40% la lunghezza fisica. Questo design fu perfezionato nel 1901 da Carl Zeiss con il Tele-Tessar 1:8/30 cm, il primo teleobiettivo commerciale per fotocamere portatili.
Negli anni ’20, l’avvento della pellicola 35 mm rivoluzionò il mercato. Nel 1923, Leitz (poi Leica) lanciò il Elmar 135 mm f/4.5, basato su uno schema Tessar modificato. Tuttavia, il modello che definì lo standard fu lo Zeiss Sonnar 180 mm f/2.8 del 1931, con sette elementi in tre gruppi e una correzione cromatica senza precedenti. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i teleobiettivi trovarono impiego nella fotografia aerea, spingendo aziende come Nikon e Canon a sviluppare ottiche come il Nikkor-Q 200 mm f/4 (1946) e il Canon Serenar 200 mm f/3.5 (1951).
L’era moderna iniziò nel 1960 con il Nikkor 300 mm f/2.8 Non-AI, il primo teleobiettivo a incorporare lenti in fluorite sintetica, riducendo del 50% il peso rispetto ai modelli in vetro ottico tradizionale. Nel 1976, Olympus introdusse il Zuiko 180 mm f/2, utilizzando un design a teleobiettivo inverso con gruppo posteriore mobile per la messa a fuoco interna, una soluzione oggi universale.
Schemi ottici e correzione delle aberrazioni
Gli schemi ottici dei teleobiettivi si dividono in tre categorie principali: teleobiettivo classico, teleobiettivo invertito, e catadiottrico.
Lo schema classico, esemplificato dal Zeiss Tele-Tessar, prevede un gruppo anteriore positivo e un gruppo posteriore negativo. Questo design, sebbene compatto, soffre di coma e astigmatismo ai bordi dell’immagine. Per mitigare questi effetti, nel 1952 Angénieux introdusse il Retrofocus Type R1 135 mm f/2.5, che invertiva la posizione dei gruppi: l’elemento divergente anteriore permetteva una distanza posteriore più lunga, facilitando l’integrazione con gli specchi delle reflex.
I catadiottrici (o obiettivi a specchio), come il Nikon Mirror-Nikkor 1000 mm f/11 del 1970, utilizzano una combinazione di lenti e specchi sferici per raggiungere focali estreme in corpi compatti. Tuttavia, la presenza dello specchio secondario ostruisce il percorso luminoso, creando effetti di bokeh ad anello e limitando l’apertura massima a circa f/8.
La correzione delle aberrazioni nei teleobiettivi richiede soluzioni avanzate. L’aberrazione sferica viene controllata mediante l’uso di lenti asferiche, mentre la cromatica longitudinale è mitigata da elementi in fluorite o vetri ED. Nel Canon EF 400 mm f/2.8L IS III, ad esempio, due elementi in fluorite e tre lenti a ultra-bassa dispersione (UD) riducono le frange colorate al di sotto del 0.01% anche a piena apertura.
Modelli storici e loro impatto tecnico
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Carl Zeiss Jena Magnar 80cm f/10 (1906): Considerato il primo teleobiettivo della storia, era progettato per fotocamere a lastre 9×12 cm. Con un peso di 12 kg e una lunghezza di 85 cm, utilizzava uno schema a quattro elementi in due gruppi, con correzione dell’astigmatismo mediante curvatura di campo controllata.
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Dallmeyer Triple Achromatic 300 mm f/18 (1861): Progettato per ritratti in studio, combinava tre lenti acromatiche in due gruppi, separati da un diaframma a iride. La sua apertura fissa f/18 garantiva una profondità di campo sufficiente per pose lunghe.
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Leitz Telyt 400 mm f/6.8 (1935): Basato su uno schema teleobiettivo invertito, era famoso per la sua compattezza (35 cm di lunghezza) e il sistema di messa a fuoco elicoidale.
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Nikon Nikkor 600 mm f/5.6 (1972): Introdusse l’uso di lenti in fluorite sintetica, riducendo il peso del 40% rispetto ai vetri tradizionali.
Tecniche costruttive e materiali moderni
I teleobiettivi contemporanei utilizzano leghe di magnesio e carbonio per gli alloggiamenti, combinati a elementi ottici in fluorite sintetica e vetro a dispersione ultra-bassa (UD). Nel Sony FE 600 mm f/4 GM OSS, ad esempio, tre elementi in fluorite e due lenti XA (eXtreme Aspherical) riducono il peso a 3.04 kg, mantenendo un diametro frontale di 163 mm.
La messa a fuoco interna (IF) è uno standard, con motori ultrasonici (USM) o a onde viaggianti (XD) che spostano gruppi ottici centrali invece dell’intero barilotto. Questo migliora il bilanciamento e riduce l’ingresso di polvere. Nei modelli premium come il Canon RF 1200 mm f/8L IS, un sistema di stabilizzazione ibrida combina sensori giroscopici e algoritmi di predizione del movimento, permettendo scatti a mano libera fino a 5 stop più lenti.
Applicazioni pratiche e considerazioni tecniche
In fotografia naturalistica, teleobiettivi come il Sigma 150-600 mm f/5-6.3 DG OS HSM permettono di catturare dettagli a distanze di sicurezza, mentre in astrofotografia, modelli come il Samyang 135 mm f/2 sono apprezzati per la correzione della coma stellare. Nel ritratto, il Nikon Z 85 mm f/1.2 S sfrutta la compressione prospettica per isolare il soggetto con bokeh cremoso.
Un parametro spesso trascurato è il carico termico: teleobiettivi con elementi in fluorite possono subire variazioni di messa a fuoco fino a 0.05 mm per ogni grado Celsius, richiedendo sistemi di compensazione attiva nei corpi mirrorless.