Steven Meisel nacque a New York il 5 giugno 1954, crescendo in un ambiente urbano che lo mise in contatto fin da giovane con l’arte, la moda e la cultura visiva. Figlio di una famiglia di origine ebraica, sviluppò presto un interesse per il disegno e per la rappresentazione del corpo umano, tanto da iscriversi alla High School of Art and Design e, successivamente, al Parsons School of Design, dove studiò illustrazione di moda. Questo background da illustratore influenzò profondamente il suo approccio fotografico, poiché Meisel continuò a concepire lo scatto non solo come documento tecnico, ma come estensione della pratica del disegno, capace di costruire narrazioni visive complesse.
A differenza di molti colleghi, non intraprese subito la carriera fotografica: lavorò come illustratore per riviste e per case di moda, realizzando figurini che già mostravano una forte attenzione alla posa e alla composizione. Fu in questo periodo che iniziò a utilizzare la fotografia come strumento di supporto al disegno, realizzando scatti di modelle in posa da cui poi traeva le illustrazioni. Questa pratica divenne ben presto centrale, portandolo ad abbandonare progressivamente il disegno per dedicarsi in modo esclusivo alla fotografia di moda.
Meisel è tuttora vivente e attivo nel panorama internazionale. La sua carriera, ormai pluridecennale, lo ha reso uno dei più influenti fotografi di moda al mondo, con collaborazioni storiche per Vogue Italia, Vogue US, W Magazine, oltre a campagne pubblicitarie per marchi come Prada, Valentino, Versace e Louis Vuitton.
Formazione e primi anni
La formazione di Steven Meisel come illustratore costituisce la chiave di lettura essenziale per comprendere la sua estetica fotografica. L’attenzione al disegno anatomico, al drappeggio dei tessuti, alle linee compositive, fu un bagaglio che trasferì direttamente nella fotografia. Quando cominciò a scattare immagini, lo fece con l’occhio di chi conosceva in profondità la costruzione bidimensionale di un’immagine, la distribuzione dei pesi visivi, la dinamica tra figura e sfondo.
Durante i suoi primi lavori come illustratore presso la casa di moda Halston e per riviste come Women’s Wear Daily, Meisel iniziò a essere coinvolto marginalmente nei set fotografici. Questo contatto diretto con i fotografi professionisti lo spinse a sperimentare la macchina fotografica in modo autonomo. I suoi primi scatti erano ancora destinati a fungere da supporto per le illustrazioni, ma ben presto rivelarono una qualità autonoma: la capacità di dirigere le modelle, di evocare atmosfere, di restituire attraverso la fotografia la stessa precisione e intensità che cercava nel disegno.
Un elemento importante della sua formazione fu il rapporto con la città di New York negli anni Settanta. In quel periodo, la metropoli era attraversata da un fermento creativo che mescolava moda, musica, arte contemporanea e sottoculture urbane. Meisel respirò questa atmosfera, entrando in contatto con la scena artistica e con figure come Andy Warhol e Richard Avedon, che gli fornirono modelli di riferimento differenti: il primo per l’attitudine sperimentale, il secondo per la precisione tecnica e l’eleganza formale.
Il passaggio dalla carriera di illustratore a quella di fotografo avvenne in modo graduale ma irreversibile. Dopo aver realizzato alcune serie fotografiche di prova, Meisel iniziò a proporle a riviste indipendenti, attirando rapidamente l’attenzione grazie alla sua capacità di combinare rigore compositivo e sensibilità teatrale. A partire dagli anni Ottanta la sua carriera decollò, portandolo a diventare in breve tempo uno dei fotografi più richiesti a livello internazionale.
Affermazione internazionale e linguaggio fotografico
La vera consacrazione di Steven Meisel arrivò con la sua collaborazione con Vogue Italia, iniziata nel 1988 e durata fino alla morte della storica direttrice Franca Sozzani nel 2016. In questo contesto, Meisel trovò un terreno fertile per sviluppare una fotografia non solo elegante e tecnicamente impeccabile, ma anche concettuale e narrativa. Ogni numero di Vogue Italia divenne, grazie al suo contributo, un laboratorio visivo in cui le campagne di moda si trasformavano in racconti fotografici, spesso caratterizzati da una forte componente critica nei confronti della società contemporanea.
Il linguaggio di Meisel si contraddistinse per la capacità di coniugare raffinatezza tecnica e spirito sperimentale. Lontano dall’estetica snapshot di una Corinne Day o dalla crudezza di un Juergen Teller, Meisel scelse una via di perfezione formale, lavorando con set elaborati, scenografie complesse, illuminazioni di grande precisione. Allo stesso tempo, i suoi editoriali non erano mai semplici esibizioni di abiti: erano costruiti come narrazioni cinematografiche, con trame, personaggi e atmosfere che rimandavano tanto al cinema quanto all’arte contemporanea.
Celebre fu, ad esempio, l’editoriale “Makeover Madness” del 2005, pubblicato su Vogue Italia: una lunga serie di scatti in cui modelle venivano ritratte come pazienti di una clinica di chirurgia estetica, denunciando in modo sottile ma incisivo la pressione sociale verso la perfezione fisica. Qui Meisel mise in campo un approccio teatrale: luci chirurgicamente precise, set che imitavano le sale operatorie, costumi e make-up studiati nei minimi dettagli. L’immagine non era più semplice illustrazione della moda, ma critica sociale in forma estetizzata.
Un altro elemento centrale del suo linguaggio fu la capacità di lanciare nuove modelle. Meisel è considerato il principale responsabile della carriera di figure come Linda Evangelista, Christy Turlington, Naomi Campbell, e soprattutto Madonna, di cui fotografò la celebre copertina di Like a Virgin. La sua abilità stava non solo nel valorizzare la fisicità delle modelle, ma nel costruire attorno a loro un personaggio narrativo, un’identità visiva forte che andava oltre l’abito indossato.
Tecnicamente, Meisel prediligeva un uso magistrale delle luci da studio, con configurazioni complesse che alternavano illuminazioni morbide da ritratto a set di grande teatralità. Il suo bagaglio da illustratore lo portava a studiare le ombre con estrema precisione, trattando ogni servizio come un quadro o una scena teatrale. Lavorava principalmente in medio formato, utilizzando macchine fotografiche come la Hasselblad, che garantivano nitidezza e resa cromatica elevate, ideali per la stampa editoriale di alta qualità.
La sua affermazione internazionale fu legata anche alle campagne pubblicitarie: Prada, Valentino, Versace e Louis Vuitton gli affidarono per anni la costruzione della loro immagine. Ogni campagna firmata Meisel era immediatamente riconoscibile per la coerenza stilistica e per la capacità di evocare mondi narrativi complessi in un’unica immagine.
Opere principali e progetti fotografici
Tra le opere principali di Steven Meisel va menzionato l’editoriale del luglio 2008 per Vogue Italia, noto come “Black Issue”. In quel numero, l’intero magazine fu dedicato esclusivamente a modelle nere, in un atto rivoluzionario che intendeva denunciare la mancanza di diversità etnica nel mondo della moda. Meisel firmò l’intero numero, realizzando decine di scatti in cui dimostrò non solo la sua padronanza tecnica, ma anche la volontà di utilizzare la fotografia di moda come strumento di intervento sociale. Il numero andò sold out in pochissimo tempo e venne ristampato, entrando nella storia dell’editoria.
Un altro progetto centrale fu il già citato “Makeover Madness”, che dimostrò la capacità di Meisel di trasformare la moda in satira visiva. Ancora più radicale fu l’editoriale “State of Emergency” del 2006, che metteva in scena modelle arrestate, perquisite e trattate come sospette terroriste, in un chiaro riferimento alle politiche securitarie post-11 settembre. Le immagini, realizzate con altissima precisione tecnica, provocarono polemiche ma anche ammirazione per la capacità di Meisel di trattare temi politici attraverso il linguaggio glamour della moda.
Sul piano delle campagne pubblicitarie, vanno ricordate quelle per Prada negli anni Novanta, considerate tra le più iconiche del brand, così come le collaborazioni con Dolce & Gabbana, in cui Meisel costruì vere e proprie epopee visive che celebravano l’italianità e il senso di teatralità mediterraneo.
Dal punto di vista espositivo, Meisel ha mantenuto un profilo relativamente discreto: nonostante la sua fama, ha concesso poche interviste e ha partecipato raramente a mostre personali. Questa scelta, coerente con la sua indole riservata, non ha impedito tuttavia che le sue opere venissero esposte in istituzioni prestigiose come il Victoria & Albert Museum di Londra e il Metropolitan Museum of Art di New York.
Il contributo di Steven Meisel non risiede dunque solo nelle singole opere, ma in un corpus complessivo che ha ridefinito il modo stesso di concepire la fotografia di moda come pratica narrativa, critica e profondamente artistica.
Stile fotografico e approccio tecnico
Il tratto distintivo dello stile di Steven Meisel è l’ibridazione tra moda e narrazione cinematografica. Le sue fotografie raramente si limitano a presentare un abito: costruiscono una scena, suggeriscono un contesto, evocano un’atmosfera. Questo approccio lo distingue sia dai fotografi di moda classici, che puntavano sulla celebrazione dell’eleganza, sia dai contemporanei più radicali, che inseguivano l’estetica del documento o dell’imperfezione.
Meisel lavora con un controllo assoluto della scena. I suoi set sono concepiti come palcoscenici teatrali, con scenografie spesso monumentali, una direzione precisa della posa e un’attenzione maniacale alla luce. Le sue fotografie possiedono la precisione di un dipinto rinascimentale e, al tempo stesso, la potenza visiva di una sequenza cinematografica.
Dal punto di vista tecnico, la sua predilezione per il medio formato gli ha consentito di ottenere una definizione e una qualità cromatica superiori, essenziali per l’editoria di alto livello. L’uso della pellicola, anche in epoca digitale, è rimasto a lungo una costante del suo lavoro, conferendo alle immagini una profondità tonale che il digitale faticava a riprodurre. Tuttavia, negli anni Duemila, Meisel ha saputo integrare le tecniche digitali, sfruttandole non come scorciatoia ma come ampliamento delle possibilità creative.
La gestione della luce è probabilmente il suo tratto più caratteristico. Meisel lavora con configurazioni complesse, spesso combinando più fonti luminose per ottenere effetti di grande plasticità. Può passare da una luce morbida e diffusa, che accarezza i lineamenti del volto, a un’illuminazione dura e drammatica, capace di evocare atmosfere cupe e teatrali. La precisione con cui studia le ombre rivela ancora una volta il suo passato da illustratore, abituato a ragionare in termini pittorici.
Un altro aspetto essenziale è la direzione delle modelle. Meisel non si limita a fotografare: costruisce personaggi. Ogni servizio fotografico è una sceneggiatura, e le modelle diventano attrici che interpretano ruoli specifici. Questo approccio richiede un lavoro attento di casting, make-up, costumi, scenografie, che Meisel coordina come un regista. Il risultato sono immagini che, pur appartenendo al mondo della moda, possiedono una densità narrativa che le rende memorabili.
Lo stile di Meisel ha avuto una profonda influenza sull’intera industria della moda, imponendo un modello che non si limita a esibire abiti ma racconta storie, spesso con una componente critica e provocatoria. La sua capacità di spingere i confini della moda verso l’arte e verso il commento sociale ne fa uno dei fotografi più significativi della contemporaneità.
Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.


