mercoledì, 29 Ottobre 2025
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Paolo Roversi

Paolo Roversi nacque il 25 settembre 1947 a Ravenna, in Emilia-Romagna, una città che per la sua posizione geografica e la sua tradizione culturale rappresentò un fertile terreno di ispirazione. Fin dalla giovinezza dimostrò un vivo interesse per l’immagine fotografica, unito a un gusto estetico particolarmente sensibile verso la pittura e le arti visive. L’ambiente ravennate, con la sua eredità bizantina, i mosaici e le luci rarefatte della laguna adriatica, avrebbe contribuito a forgiare in lui una particolare sensibilità alla luce e al colore, che diventerà in seguito cifra stilistica del suo lavoro.

La sua passione per la fotografia si consolidò durante l’adolescenza, quando ricevette in regalo la sua prima macchina fotografica, con la quale cominciò a sperimentare in modo autodidatta. Negli anni Sessanta, Roversi si avvicinò alla fotografia di reportage, collaborando con alcuni giornali locali e documentando eventi sociali e culturali. Questa prima fase, seppur distante dalla fotografia di moda che lo renderà celebre, gli permise di apprendere la disciplina tecnica del mestiere, dall’uso della camera oscura fino al controllo delle stampe.

Nel 1970 un incontro decisivo segnò il suo percorso: quello con il fotografo Lawrence Sackmann, parigino di adozione e figura nota nel campo del fotogiornalismo e della moda. Trasferitosi a Parigi nel 1973, Roversi divenne assistente di Sackmann, esperienza che gli permise di acquisire rigore tecnico e un approccio professionale al mondo della fotografia editoriale. Questa formazione in un ambiente così competitivo fu determinante per il giovane fotografo italiano, che trovò nella capitale francese il centro creativo dove dare forma alla propria poetica visiva.

Paolo Roversi non ha mai rinnegato queste origini italiane e la sua sensibilità mediterranea, ma è proprio a Parigi che ha costruito la sua carriera e consolidato il suo nome nel panorama internazionale.

Stile e tecnica fotografica

Uno dei tratti più distintivi della produzione di Paolo Roversi è la sua ricerca sulla luce. Il fotografo ha sviluppato una vera e propria poetica della luminosità, lavorando soprattutto con sorgenti continue e con esposizioni lunghe, che gli consentono di catturare non solo l’immagine esterna del soggetto, ma anche un senso di presenza interiore. Questa scelta tecnica è strettamente connessa alla sua predilezione per l’uso della pellicola Polaroid 8×10, un materiale che gli permette di ottenere immagini caratterizzate da morbidezza tonale e una vibrazione cromatica unica.

La Polaroid di grande formato, introdotta da Roversi negli anni Ottanta, divenne una sorta di marchio di fabbrica. La grana sottile, i tempi di esposizione lunghi e l’immediatezza del risultato conferirono alle sue fotografie un’aura quasi pittorica. Le immagini appaiono sospese, come se appartenessero a un tempo indefinito, con sfocature e dissolvenze che evocano una dimensione onirica. L’aspetto tecnico, in questo caso, si lega a un preciso intento estetico: Roversi non cerca la nitidezza assoluta, ma piuttosto una resa che suggerisca emozione, fragilità e intimità.

Un altro aspetto fondamentale del suo linguaggio è il rapporto con il soggetto. Nelle sue fotografie di moda e nei suoi ritratti, Roversi instaura un dialogo con il modello o la modella, cercando di rivelare non solo l’apparenza, ma anche una dimensione psicologica e spirituale. La posa non è mai statica, bensì parte di un processo di esplorazione reciproca. Questo approccio trova radici nella sua formazione umanistica e nella convinzione che la fotografia non debba limitarsi a rappresentare, ma debba piuttosto svelare.

Roversi ha sempre mantenuto una predilezione per l’uso della pellicola rispetto al digitale, pur non ignorandone le potenzialità. La sua fedeltà ai processi analogici è legata a una concezione artigianale della fotografia: la lentezza del procedimento, la necessità di attendere, l’incertezza del risultato sono, per lui, parte integrante della creazione artistica. Non è un caso che molte sue opere vengano stampate a mano e che lo studio del colore e della luce avvenga direttamente durante la sessione, senza eccessivi interventi in post-produzione.

Il suo stile può essere definito come una fusione tra fotografia e pittura, dove il tempo di esposizione e il controllo della luce diffusa diventano strumenti per creare un’immagine che trascende la pura documentazione. In questo senso, Roversi si colloca nella tradizione di fotografi come Julia Margaret Cameron o Edward Steichen, pur reinterpretandola in chiave contemporanea.

Collaborazioni e carriera internazionale

La carriera internazionale di Paolo Roversi si consolidò a partire dagli anni Ottanta, quando iniziò a collaborare con alcune delle più prestigiose riviste di moda, tra cui Vogue Italia, Vogue Paris, Vanity Fair e i-D. Il suo approccio innovativo, distante dalla fotografia patinata e iper-luminosa che dominava in quegli anni, colpì immediatamente l’attenzione di editori e direttori creativi.

Parallelamente, Roversi iniziò a lavorare con le grandi maison della moda: Yohji Yamamoto, Comme des Garçons, Dior, Armani, Valentino, tra le altre. Le sue campagne pubblicitarie sono ricordate per la loro capacità di trasformare il capo d’abbigliamento in un elemento poetico, parte integrante di una narrazione visiva. Non è mai la mera descrizione dell’abito a dominare, ma piuttosto l’atmosfera che lo avvolge, fatta di ombre, dissolvenze e vibrazioni cromatiche.

Nel corso degli anni, lo studio di Roversi a Parigi è diventato un luogo mitico per la fotografia di moda. Qui il fotografo ha realizzato non solo lavori commerciali, ma anche progetti più personali, spesso pubblicati sotto forma di libri fotografici o esposti in gallerie d’arte. Le sue mostre hanno avuto luogo in istituzioni prestigiose come il Palais de Tokyo di Parigi, la Hayward Gallery di Londra e la Maison Européenne de la Photographie.

Nonostante la sua centralità nella fotografia di moda, Roversi ha sempre mantenuto un approccio autoriale, quasi indipendente dalle logiche del mercato. Questa dualità – tra commissione e ricerca artistica – è uno degli elementi che rendono il suo lavoro così peculiare. Molti critici hanno sottolineato come le sue immagini siano in grado di collocarsi allo stesso tempo nelle pagine di una rivista e nelle sale di un museo, dimostrando la loro ambivalenza tra funzione commerciale e valore estetico.

Le collaborazioni con modelle e modelli hanno spesso dato vita a rapporti di lunga durata. Tra i volti ricorrenti nel suo lavoro vi sono Kate Moss, Natalia Vodianova, Kristen McMenamy, figure che Roversi ha fotografato nel corso di anni, seguendo la loro evoluzione e contribuendo a costruirne l’immaginario pubblico. Anche in questo caso, la continuità e il dialogo hanno giocato un ruolo fondamentale, a dimostrazione di quanto la sua fotografia sia basata sulla relazione e sulla fiducia reciproca.

Le opere principali

Il corpus di opere di Paolo Roversi è vasto e articolato, comprendendo sia campagne pubblicitarie e editoriali, sia progetti più personali. Tra i lavori più significativi si ricordano i volumi fotografici, nei quali il fotografo ha potuto condensare la sua ricerca estetica in forme più autonome rispetto al contesto della moda.

Uno dei libri più celebri è “Nudi” (1999), una raccolta di immagini che esplora il corpo femminile attraverso la lente della Polaroid 8×10. In questo progetto, Roversi porta al limite il suo linguaggio visivo, utilizzando tempi di esposizione lunghi e una luce soffusa che rende le figure quasi evanescenti. L’opera si distingue per la sua delicatezza e per la capacità di trasformare il nudo in un’immagine spirituale, lontana da qualsiasi forma di voyeurismo.

Un altro lavoro di grande rilievo è “Studio” (2008), volume che documenta il processo creativo all’interno del suo atelier parigino. Qui emergono non solo le fotografie finite, ma anche gli strumenti, i fondali, le luci, quasi a voler svelare il dietro le quinte di un rituale artistico. L’opera è una testimonianza preziosa del suo metodo di lavoro e della dimensione intima che caratterizza le sue sessioni fotografiche.

Particolarmente significativo è anche il progetto “Secrets” (1997), nel quale Roversi esplora il tema della rivelazione e del nascondimento, con immagini che giocano sul confine tra visibile e invisibile. Ancora una volta, la luce e la dissolvenza diventano strumenti espressivi per evocare stati interiori.

Tra le collaborazioni editoriali, vanno ricordati i numerosi servizi realizzati per Vogue Italia sotto la direzione di Franca Sozzani, con la quale Roversi sviluppò un rapporto di grande fiducia. Le sue immagini pubblicate su quella rivista contribuirono a definire una nuova estetica nella fotografia di moda degli anni Ottanta e Novanta.

Infine, va menzionato il Calendario Pirelli 2020, interamente realizzato da Roversi, che rappresenta una sorta di sintesi del suo percorso artistico. Intitolato “Looking for Juliet”, il calendario propone una rilettura contemporanea della figura shakespeariana attraverso ritratti di attrici e modelle, interpretate con la consueta delicatezza luministica e con un forte accento sulla dimensione psicologica dei soggetti.

Le opere di Paolo Roversi si distinguono per il loro carattere coerente, capace di mantenere una continuità stilistica pur spaziando tra generi diversi. In ogni immagine si ritrova la stessa attenzione alla luce, la stessa delicatezza del gesto, la stessa ricerca di intimità. È questa coerenza, unita alla sua capacità di reinventarsi, a rendere il fotografo ravennate una figura centrale nella storia della fotografia contemporanea.

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