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I processi chimiciIl processo Mordançage (1960 – oggi)

Il processo Mordançage (1960 – oggi)

Tra le tecniche di fotografia analogica del secondo Novecento, il Mordançage occupa una posizione singolare: nasce in Francia negli anni Sessanta dalla ricerca di Jean‑Pierre Sudre (Parigi, 27 settembre 1921 – Aix‑en‑Provence, 6 settembre 1997), stampatore, docente e sperimentatore che decise di rielaborare un antico filone di chimica applicata alla gelatina ai sali d’argento per ottenere effetti di veiling e rilievo impossibili con i normali processi di camera oscura. Il nome stesso scaturisce dal lessico della tintoria: “mordançage” in francese indica l’azione del mordente che “morde” la fibra per fissare le colorazioni, richiamando etimologicamente il latino mordere e sottolineando la natura aggressiva ma controllata della soluzione che porta il procedimento. Su questa base linguistica Sudre codifica una variante fotografica dotata di una propria identità, collegata però a una genealogia ottocentesca di pratiche di bleach‑etch (o etch‑bleach), cioè di sbianca/attacco combinato su supporti gelatinosi e argento metallico.

La genealogia è tracciabile con relativa precisione: nel 1897 il chimico Paul Liesegang descrive per la prima volta un processo di inversione che, tramite una sbianca ossidante e successivi passaggi, permette di trasformare un negativo in positivo intervenendo direttamente sull’emulsione; già l’anno seguente Momme Andresen propone aggiustamenti di formula che contemplano l’uso di perossido di idrogeno e acido cloridrico come alternative ad altri ossidanti. Queste tappe, ben documentate nella letteratura storica, sono la piattaforma teorica su cui Sudre innesta la sua innovazione, sostituendo e calibrando i reagenti per ottenere sollevamenti selettivi dell’emulsione nelle aree più scure della stampa e una peculiare “pelle” dell’immagine.

Dal punto di vista della storia della fotografia, il lavoro di Sudre si colloca nel contesto delle neo‑avanguardie europee e delle ricerche sulla matericità del segno fotografico. Dopo gli esordi professionali come stampatore d’eccellenza nella Parigi del dopoguerra, tra 1958 e gli anni Sessanta progetta una personale “officina di processi” in cui sperimenta dalla solarizzazione al cliché verre con cristallizzazioni su lastra, fino a stabilizzare, appunto, il Mordançage come tecnica in grado di “far respirare” i neri, ottenere micro‑rilievi e pieghe membranose, e di modulare cromaticamente i toni mediante ossidazioni controllate e viraggi. Le schede collezionistiche del Victoria and Albert Museum e i profili monografici di gallerie specializzate ricordano con coerenza questo itinerario: Sudre impiega il Mordançage già dai primi anni Sessanta, integrandolo con stampe senza camera e tonalizzazioni intenzionali, spesso frutto di soluzioni di sviluppo autocostruite. [Jean-Pierr…ollections], [Jean-Pierr…y Web Site]

Il passaggio da prassi di laboratorio a tradizione trasmissibile avviene grazie all’insegnamento: Sudre struttura dipartimenti e cicli didattici in cui il Mordançage è affrontato come strumento linguistico completo. Negli Stati Uniti, dalla fine degli anni Ottanta e soprattutto negli anni Novanta, la tecnica conosce una seconda vita grazie alla fotografa Elizabeth Opalenik (nata 1947), considerata tra le figure che meglio hanno interpretato e raffinato l’effetto di drappeggio delle vele di emulsione sollevata, portandolo da gesto distruttivo a registrazione sospesa e poetica del soggetto. Opalenik — che dichiaratamente si forma alla scuola di Sudre e ne promuove il metodo in workshop internazionali — codifica una pratica di “salvataggio” delle vele, piegandole e ancorandole ai punti di luce per governarne la fragilità e la leggibilità formale.

Collocare il Mordançage nel calendario delle pratiche fotografiche significa allora fissare un punto di nascita nel decennio 1960–1969, con Sudre come ideatore della formulazione e del nome; la sua morte nel 1997 non interrompe l’adozione del processo, che prosegue fino a oggi con una comunità di praticanti, stampatori e docenti attivi tra Europa, Stati Uniti e, più recentemente, anche in Asia e Oceania. Questa continuità è testimoniata da corsi e residenze che mantengono viva la dimensione artigianale del procedimento, e da una bibliografia tecnica in aggiornamento, inclusa la sistematizzazione scientifica dei meccanismi chimici pubblicata nel 2019 su Analytical Chemistry che fornisce finalmente un modello reattivo coerente con gli esiti osservati dagli stampatori per decenni.

Sul piano lessicale, è decisivo sottolineare due concetti: il Mordançage non è una semplice sbianca; è una sbianca‑attacco che riorganizza la fisica della gelatina e l’ossido‑riduzione dell’argento, producendo un “negativo di densità” nelle aree a massima concentrazione di Ag⁰; e, parallelamente, non è un procedimento di “alternativa povera”, ma una procedura intenzionale e ripetibile entro margini di variabilità ampi, dove la mano dell’operatore — tocco, temperatura, tempo, carta, sviluppatore di re‑sviluppo e vincoli d’asciugatura — produce l’opera. Anche in questo aspetto, i documenti storici e museali attribuiscono a Sudre la rifinitura del metodo e la sua trasmissione come linguaggio, non come effetto casuale.

È utile rammentare, per completezza di dati biografici, che Sudre, formatosi tra l’École Nationale de Photographie et de Cinématographie e l’IDHEC, riceve riconoscimenti già negli anni Cinquanta e Sessanta, ed è citato nelle cronologie museali europee e in quella del MoMA tra le presenze significative dell’“esperimento europeo” di quegli anni. La sua vita (1921–1997) definisce l’arco storico in cui il Mordançage si costituisce, ma la storia del genere fotografico legato al Mordançage, nato negli anni Sessanta, prosegue fino a oggi, come indica la presenza del processo in raccolte pubbliche e private e nell’attività didattica continuativa.

Chimica, materiali e protocollo operativo: cosa accade davvero nella gelatina

Il cuore tecnico del Mordançage è una soluzione acida a base di cloruro rameico (CuCl₂), acido acetico glaciale e perossido di idrogeno in acqua deionizzata. La ricetta classica stabilizzata dalla prassi di laboratorio indica 10 g di CuCl₂, 50 mL di acido acetico glaciale e 25 mL di H₂O₂ al 30–35%, completati ad 1 litro con acqua; la stampa è già sviluppata e fissata secondo il processo argentico standard e viene immersa nel bagno di Mordançage fino a che i neri si schiariscono verso un giallo‑paglierino e l’emulsione inizia a sollevarsi nelle aree più dense. Questa fase non è solo ottica: è chimico‑fisica. Il rame(II) e il perossido, in ambiente acido, ossidano l’argento metallico Ag⁰ a Ag⁺, che in presenza di cloruri forma AgCl; contemporaneamente, acido e perossido ammorbidiscono la gelatina e consentono al rame(II) di penetrare e di attaccare selettivamente la matrice colloidale nelle zone scure, allentando l’adesione della pellicola al baritato o al supporto. Gli studi SEM‑EDS e le analisi quantitative pubblicati nel 2019 hanno misurato l’entità dell’ossidazione, chiarito il ruolo della carta e del tempo di bagno, e spiegato la comparsa delle vele come strati superficiali ammorbiditi che si distaccano e possono essere rimossi o salvati prima del re‑sviluppo.

Il meccanismo può essere riassunto in una sequenza di stati: immersione nella soluzione acida con CuCl₂/H₂O₂, sbianca e ammorbidimento; lavaggio in acqua (talora con passaggio in arresto acido molto diluito); re‑sviluppo in un rivelatore PQ o MQ tradizionale — ad esempio un Dektol o un Ilford Multigrade — che riduce parte dell’AgCl nuovamente a argento metallico, ridando neri profondi e lasciando in sospensione le vele; asciugatura e pressatura a caldo per appiattire, se desiderato, la superficie, tenendo conto che il comportamento della gelatina dipende dalle temperature e dall’umidità. A valle, si possono applicare viraggi (selenio, seppia, rame) che modulano i toni e interagiscono con le zone ossidate prodotte dal bagno. Questo decorso — ben noto ai praticanti — ha ricevuto nel 2019 una lettura organica: H₂O₂ e acido acetico tengono la gelatina in uno stato plasticizzato, il cloruro di rame(II) prosegue l’azione ossidante sull’argento e prepara la riduzione selettiva al re‑sviluppo.

La scelta della carta è un fattore cruciale: gli esperimenti quantitativi mostrano che le fibre‑base (FB) e le carte cotone con baritato permettono maggior sollevamento di emulsione e vele più strutturate, mentre le resin‑coated (RC), grazie alla barriera polietilenica, limitano la penetrazione della soluzione e restituiscono un effetto molto più contenuto. In parallelo, l’aumento del tempo in Mordançage e la maggiore concentrazione di H₂O₂ aumentano la pronuncia del fenomeno, compromettendo però la resistenza meccanica delle vele stesse. La ricerca mette in guardia anche sulla temperatura del lavaggio intermedio: acque tiepide (intorno a 24–29 °C) favoriscono il rigonfiamento della gelatina e la manifestazione delle vele, mentre temperature più elevate assottigliano e indeboliscono eccessivamente i lembi d’emulsione.

Sul piano formulativo, il Mordançage di Sudre si distingue dalle precedenti ricette di etch‑bleach per l’uso di acido acetico glaciale anziché acido citrico che alcune varianti coeve adottavano; rimane tuttavia stabile il ruolo del rame(II) e del perossido come coppia ossidante. Le fonti storiche e la manualistica moderna convergono sulla ricetta 10–50–25 come punto di partenza, lasciando all’operatore la possibilità di variare l’acqua per modulare la forza del bagno o introdurre, con cautela, citric acid per allungare il tempo d’azione in ambienti didattici. Anche qui, l’indicazione non è univoca: la molteplicità delle carte e dei rivelatori suggerisce test preliminari con strisce e una valutazione empirica del tempo di primo sollevamento.

Un’osservazione micro‑strutturale illustra perché il Mordançage produce il caratteristico rilievo: la dissoluzione selettiva del nero, trasformato in AgCl e parzialmente rimosso o ridistribuito, genera una inversione di topografia; le alte luci, meno colpite, rimangono “adese”, mentre le ombre si “staccano”, cosicché, dopo il re‑sviluppo, le vele riportano argento metallico in forme filiformi e drappeggi; l’impressione tattile di una calcografia o di una incisione è accentuata dagli ossidi e dalla patina dovuta all’aria durante l’ossidazione differita. Questo doppio binario — reazione di ossido‑riduzione e meccanica colloidale — spiega la unicità non riproducibile dell’immagine: anche ripetendo negativi e parametri, la dinamica locale del rigonfiamento gelatinoso e della rottura/adesione non replica mai alla perfezione la stessa ruga o la stessa piega.

Risulta importante affrontare i temi di sicurezza: CuCl₂ e H₂O₂ al 30–35% sono sostanze corrosive e ossidanti; l’acido acetico glaciale è caustico e fortemente irritante. La prassi di laboratorio prevede guanti, occhiali, aspirazione localizzata o ventilazione forzata, diluizioni a freddo e versamenti lenti dell’acido nell’acqua (mai il contrario). Dal punto di vista archivistico, molte copie storiche di Mordançage sono state lavate e fissate con cura, ma la presenza di rame residuo e di cloruri spinge a raccomandare lavaggi lunghi, uso di Hypo Clearing Agent e asciugature controllate per ridurre il rischio di ossidazioni tardive. I viraggi al selenio — in rivelatori moderni Harman/Ilford — possono contribuire alla stabilità dei neri, come attestano le schede tecniche dei produttori di carta e le esperienze accumulate dai praticanti.

Resta infine la dimensione operativa cruciale: il re‑sviluppo. L’uso di rivelatori PQ ad alta energia favorisce neri profondi e definizione delle trame nelle vele; rivelatori caldi o warmer tone enfatizzano la cremosità delle mezze tinte, specie su carte FB Warmtone. La pressione fisica applicata durante il lavaggio — il “tocco” con polpastrelli o con getti d’acqua sottili — può rimuovere selettivamente emulsionI solubilizzate, disegnando veri segni gestuali che, nel discorso storico del processo, rappresentano una scrittura autoriale tanto quanto lo scatto originario. Gli stampatori esperti considerano così il Mordançage un atto di stampa completo, non un post‑trattamento passivo.

Diffusione internazionale, carte e pratiche contemporanee (1980–oggi): tra didattica, materiali e conservazione

Dopo la stagione fondativa degli anni Sessanta e Settanta, il Mordançage attraversa una fase di trasmissione che lo porta fuori dalla cerchia francese e lo insedia stabilmente nelle scuole e nei centri di fotografia sperimentale nordamericani. Elizabeth Opalenik, allieva e amica di Sudre, lo propone in contesti formativi come i Maine Media Workshops e i Santa Fe Workshops, dedicando laboratori interamente al controllo delle vele e all’uso intenzionale del processo su figure, paesaggi e fotogrammi. La produzione didattica disponibile pubblicamente descrive con chiarezza due elementi: una storia che parte dalla Francia 1960–1997 e una tecnica che, nelle mani di Opalenik e di una generazione di stampatori, privilegia la salvezza delle vele anziché la loro rimozione, trasformando l’algida fotografia di gelatina d’argento in un oggetto fisico poetico e stratificato.

L’ecosistema dei materiali utilizzati nel Mordançage racconta, a sua volta, un pezzo della storia industriale della fotografia. Ilford — marchio fondato nel 1879 da Alfred Hugh Harman — sostiene, con le proprie linee di carte fibra e chimici PQ, gran parte dell’odierna pratica di camera oscura. Dopo le crisi del 2004–2005, l’azienda britannica prosegue la produzione tradizionale in bianco e nero sotto l’insegna di HARMAN technology (dal 2005) mantenendo il brand ILFORD PHOTO per film, carte e chimici argentici. In questo quadro, le carte Multigrade FB Classic e Warmtone sono tra i supporti preferiti per il Mordançage, perché la base baritata e la gelatina più “generosa” rispondono con rigonfiamenti e sollevamenti controllabili, mentre la compattezza delle RC spesso smorza l’effetto. Le schede tecniche testimoniano un’elevata attitudine al viraggio e neri profondi, qualità che ben si sposano con il re‑sviluppo del Mordançage.

Un altro pilastro è Foma Bohemia, nata come Fotochema nel 1921 a Hradec Králové (oggi Repubblica Ceca) e ridenominata Foma Bohemia s.r.o. nel 1995. Il catalogo contemporaneo propone carte FOMABROM Variant e FOMATONE che, per costruzione FB e grammatura, offrono una risposta interessante al Mordançage; la longevità del marchio e la disponibilità di formati e basi diverse contribuiscono a mantenere accessibile la pratica anche fuori dai grandi centri. Questa continuità aziendale lungo oltre un secolo è rilevante perché gran parte dei marchi storici di carte bromuro‑baritato ha cessato la produzione nel passaggio al digitale dei primi Duemila; nel caso di Foma la linea bianco e nero resta il core business, e la documentazione ufficiale conferma la nascita nel 1921 e l’indirizzo produttivo odierno su film, carte e chimici tradizionali.

Nel paesaggio delle carte storiche, il riferimento alla Agfa‑Gevaert e alle sue bromuro‑baritate come Brovira è quasi d’obbligo nella memoria degli stampatori. Brovira, prodotta per decenni nel Novecento, non è più presente nel mercato contemporaneo, e resta nel bagaglio degli sperimentatori come termine di paragone estetico: bianchi freddi, neri secchi, superficie lucida sottile. Nel Mordançage, carte di quel tipo reagivano con rilievi netti e vele nervose; oggi, dove l’originale non è più reperibile se non come stock scaduto, il confronto si sposta sui moderni FB neutral e warmtone con risultati comunque convincenti. Per la ricostruzione storica dei marchi e dei cicli produttivi, la cronologia Ilford/Harman aiuta a collocare la transizione industriale 2004–2005 che ha segnato l’intero comparto.

La diffusione internazionale del Mordançage passa anche dalla letteratura tecnica recente. Testi aggiornati dedicano capitoli specifici, sistematizzano ricette, curve tempo/concentrazione e paper response, e mettono in dialogo la manualistica di laboratorio con il discernimento storico sugli obiettivi linguistici della tecnica. La pubblicazione scientifica del 2019 (Fudala e Jones) ha funzionato da ponte tra prassi e teoria, confermando ciò che i maestri avevano intuito: l’azione sinergica di ossidante e acido sulla gelatina e sull’argento e l’importanza della carta nel determinare la morfologia delle vele. I materiali divulgativi di qualità — da riviste generaliste di scienza a Chembites — hanno reso accessibile a un pubblico più ampio il “come” e il “perché” della vellatura, legittimando definitivamente il Mordançage come caso di studio chimico oltre che come pratica artistica.

Quanto alle pratiche contemporanee, l’orizzonte si è ampliato. Il Mordançage dialoga con negativi digitali calibrati per la stampa a contatto o per ingrandimento; entra in combinazione con fotogrammi e cliché‑verre; si integra con viraggi combinati e con ossidazioni intenzionali assecondando quella componente gestuale che la comunità degli stampatori riconosce come propria. Le scuole e i centri che lo insegnano insistono su un punto: la intenzionalità. La “bellezza del caso” non basta; occorrono test su piccola scala, conoscenza delle carte disponibili, consapevolezza del re‑sviluppo e del lavaggio, perché i residui di rame e cloro non compromettano nel tempo la stabilità. In questo senso, la convergenza fra manuali e schede tecniche dei produttori di carta è netta: lunghe acque, eventuale uso di agenti di clearing e asciugatura controllata.

Nel discorso conservativo, i mordançage pongono sfide specifiche ai musei: le vele possono rompersi per vibrazioni o aderire alle superfici di passpartout se la umidità relativa è alta; le ossidazioni residue possono alterare i toni. Le politiche espositive privilegiano UR 40–50%, temperature stabili e telai con distanziatore generoso; la manipolazione richiede supporti durante l’apertura dei pannelli, affinché nessun contatto diretto impigli le vele. Alcuni conservatori suggeriscono pressature dolci con interposizione di tessuti non tessuti per ripianare settemporaneamente i drappeggi più mobili prima del montaggio; la reversibilità resta una priorità, evitando consolidanti che stravolgerebbero l’estetica dell’opera. Queste attenzioni, sommate a una documentazione accurata dei materiali impiegati in stampa (carta, rivelatori, viraggi), aiutano a prolungare la vita delle opere senza tradirne la natura processuale.

Sul piano critico‑storico, il Mordançage è oggi riconosciuto come genere fotografico autonomo, nato negli anni Sessanta e maturato fino a oggi grazie a una catena ininterrotta di botteghe e workshop. La presenza in collezioni pubbliche e nelle programmazioni didattiche istituzionali ne attesta la vitalità; il dialogo con le tecnologie digitali non ne ha snaturato la manualità radicale, anzi l’ha rilanciata come alternativa tattile al paradigma immateriale, facendo del Mordançage un laboratorio vivente dove stampa, chimica e gesto concorrono a riscrivere ogni volta il confine tra immagine e oggetto.

Chimica del Mordançage: meccanismi, variabili, materiali e controllo di processo

Dal punto di vista chimico, il Mordançage appartiene alla famiglia dei bleach‑etch acidi a base rameica applicati a stampe su carta a gelatina d’argento già sviluppate, arrestate, fissate e lavate. La soluzione mordançante canonica è una miscela acquosa di cloruro rameico (CuCl₂), acido acetico glaciale (CH₃COOH) e perossido di idrogeno (H₂O₂); un tenore di riferimento largamente attestato in ambito didattico e laboratoriale è 10 g di CuCl₂, 50 mL di acido acetico glaciale e 25 mL di H₂O₂ al 30–35% per litro, completando a volume con acqua distillata. Concentrazioni e rapporti sono però variabili, tanto che molti stampatori preferiscono perossido “40 volumi” (ambito cosmetico) o modulano la acidità sostituendo in parte l’acido acetico con acidi deboli come il citrico, ottenendo una cinematica più lenta e un controllo più fine del sollevamento della gelatina.

Il cuore del processo risiede in due fenomeni sinergici: ossidazione dei depositi d’argento metallico (Ag⁰) presenti nelle aree nere della stampa e ammorbidimento/sollevamento della matrice gelatinosa che li ingloba. In ambiente acido e in presenza di Cu²⁺, l’argento metallico viene ossidato a specie Ag⁺, che in un contesto ricco di cloruri tende a precipitare come AgCl; schematicamente, si può rappresentare la tappa primaria come:

Ag⁰ + Cu²⁺ → Ag⁺ + Cu⁺, seguita da Ag⁺ + Cl⁻ → AgCl(s).

La combinazione di acido acetico e perossido di idrogeno esercita un duplice effetto: da un lato aumenta la permeazione del bagno nella fibra e nella gelatina, plasticizzando gli strati superficiali; dall’altro sostiene la reattività ossidativa della fase rameica e favorisce l’indebolimento selettivo delle porzioni più dense di immagine, dove la concentrazione di argento e la dimensione/contiguità dei granuli massimizzano il fenomeno catalitico. È questo indebolimento la premessa allo scollamento: microlamine di gelatina — cariche di argento ossidato e sbiancate a un giallo pallido — si sollevano dal supporto cartaceo generando i veli.

Il bagno mordançante sbianca l’intera stampa, ma attacca meccanicamente soprattutto i neri. Dopo un risciacquo prolungato in acqua corrente, si procede a un ri‑sviluppo in rivelatore metol‑idrochinone o fenidonico (o in rivelatori esauriti deliberatamente ossidati), durante il quale le zone non asportate tornano progressivamente ai toni neri. I veli — sottilissimi, semi‑sollevati e spesso raggrinziti — possono essere rimosso‑asportati o salvati, riposizionati e schiacciati con varie strategie manuali su piani bagnati o sotto pressa, secondo una ritualità di officina che è parte integrante del vocabolario espressivo del Mordançage. Quando il rivelatore è esausto, ossidazioni e viraggi spontanei possono introdurre dominanti cromatiche inattese: bruni, violacei, azzurramenti superficiali. Ulteriori viraggi chimici (selenio, tiourea/solfuri, seppia) sono talvolta impiegati, ma non esiste un canone unico: stabilità, colore e microstruttura del velo dipendono da una miriade di fattori locali.

Le variabili di processo sono numerose e interagenti. La tipologia di carta è spesso decisiva: le fibre‑base a doppia barbiera di cotone presentano nella pratica una propensione maggiore al sollevamento rispetto alle RC (resin‑coated), la cui struttura polimerica limita la diffusione del bagno e il distacco della gelatina. Anche la grammatura, il tipo di sbiancante ottico incorporato, la durezza dell’acqua usata in fase di lavaggio e la storia chimica della stampa (rivelatore, fissaggi, lavaggi precedenti) influenzano cinematica e morfologia della velatura. La temperatura del trattamento (sia del bagno mordançante, sia del pre‑ e post‑lavaggio) modula la plasticità della gelatina: temperature più alte tendono a produrre veli più sottili e continui ma anche più fragili, mentre temperature più basse possono generare bolle spesse a rischio di rottura durante la manipolazione; il bilanciamento viene di norma determinato empiricamente per ciascun accoppiamento carta/soggetto.

La concentrazione del perossido e il suo stato di ossidazione (freschezza) incidono drasticamente sull’effetto di sollevamento. Bagni vecchi perdono la capacità di “sollevare” pur mantenendo un discreto potere di sbiancamento; alcuni stampatori “riattivano” il lotto aggiungendo piccole aliquote di H₂O₂ fresco, altri preferiscono la rimiscela integrale per assicurare ripetibilità. La acidità controlla non solo la velocità della reazione ma il profilo di attacco alla gelatina: acido acetico glaciale in quantità elevate accelera il distacco netto con veli sottili, mentre sostituzioni parziali con acido citrico rallentano e “ammorbidiscono” l’azione, favorendo veli più plastici e drappeggi controllabili.

Un aspetto cruciale riguarda la sicurezza. Il bagno contiene CuCl₂, H₂O₂ concentrato e acido acetico glaciale: si tratta di una miscela corrosiva e ossidante, capace di reagire vigorosamente con metalli, basi e materia organica. Il contatto cutaneo o oculare è pericoloso; sono obbligatori guanti resistenti, occhiali o visiera, camice e ventilazione (cappa o ambiente ben aerato). Il perossido reagisce con metalli e organici generando calore e talvolta gas; l’acido acetico glaciale, pur “organico”, in concentrazione elevata è corrosivo e infiammabile e non va confuso con l’aceto alimentare. Il cloruro rameico è tossico per gli organismi acquatici e non deve essere smaltito in fogna senza conformarsi alle normative locali; i reflui contenenti rame andrebbero raccolti e conferiti come rifiuti pericolosi attraverso i canali autorizzati. Le stampe trattate devono essere lavate a fondo per rimuovere residui di rame e alogenuri d’argento non più stabili, riducendo i rischi di ossidazione nel tempo.

 

  • Fonti e riferimenti

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    • Jean‑Pierre Sudre – Wikipedia (dati biografici). https://en.wikipedia.org/wiki/Jean-Pierre_Sudre [Jean-Pierr…Wikipedia]
    • V&A – Jean‑Pierre Sudre, Mordançage (scheda collezione). https://collections.vam.ac.uk/item/O1433564/-photograph-jean-pierre-sudre/ [Jean-Pierr…ollections]
    • Gitterman Gallery – Jean‑Pierre Sudre (biografia). https://gittermangallery.com/artist/Jean-Pierre_Sudre/biography/ [Jean-Pierr…y Web Site]
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    • Elizabeth Opalenik – Sito ufficiale / About. https://www.elizabethopalenik.com/about [Elizabeth…hic artist]
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    • Darkroom Dave – MG FB range leaflet (informazioni pratiche su FB Classic/Warmtone). https://www.darkroomdave.com/wp-content/uploads/2018/06/MGFB-range-leaflet.pdf [MULTIGRADE…kroom Dave]
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