Nata a Alicante (Spagna) nel 1975, Cristina de Middel è una fotografa e artista visiva di rilevanza internazionale, attiva nel campo della storia della fotografia e della sperimentazione visiva. Di nazionalità spagnola-belga — dato che la sua famiglia ha origini belga-spagnole — ha studiato e lavorato in diversi paesi prima di stabilire la sua base creativa tra America Latina e Europa. Dopo una formazione accademica che l’ha portata a conseguire un master in fotografia e in belle arti (tra cui l’Università dell’Oklahoma e la Universitat Politècnica de Valencia) e un percorso in fotogiornalismo, ha operato come fotogiornalista freelance e per ONG per circa dieci anni.
Durante quel decennio iniziale, de Middel ha lavorato per testate spagnole locali e per organizzazioni quali la Croce Rossa e Medici senza Frontiere, coprendo situazioni di crisi in regioni quali Siria, Haiti e Bangladesh. Successivamente, ha scelto di spostare il proprio lavoro verso ricerche visive che mescolassero il documentario e il concettuale, interrogando la “verità nella fotografia” e il modo in cui le immagini costruiscono narrazioni.
Nel corso della sua carriera artistica ha realizzato una serie di progetti innovativi che hanno attirato l’attenzione della comunità fotografica internazionale. Tra questi, il progetto “The Afronauts” (2012) è probabilmente il più noto: una reinterpretazione visiva di un programma spaziale dello Zambia degli anni 60, ha ribaltato l’idea tradizionale del reportage fotografico per fondere finzione e realtà in modo provocatorio.
Nel 2017 è entrata nella prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos come membro associato, diventando nel 2022 membro effettivo e prima donna di nazionalità spagnola ad assumerne la presidenza. La sua opera è esposta in numerose istituzioni museali e raccolte private in tutto il mondo.
Dal punto di vista geografico e operativo, de Middel ha vissuto e lavorato in diverse località: dalla Spagna alla Francia durante l’infanzia, fino a Uruapan (Messico) e attualmente con base tra Messico e Brasile. Questa mobilità è parte integrante del suo approccio visivo: il sentirsi “altro” rispetto al paesaggio originario ha alimentato la sua ricerca sull’identità, la migrazione visiva e la percezione della verità.
Nel suo sviluppo professionale emergono alcune parole-chiave: narrativa visiva, fotografia documentaria, verità nella fotografia, mezzo ibrido tra documentario e finzione, e sperimentazione del linguaggio fotografico. Questi elementi formano la struttura concettuale attraverso cui de Middel ha costruito la propria identità nel contesto internazionale.
La biografia professionale di Cristina de Middel si colloca dunque all’intersezione tra reportage e ricerca artistica, con un forte interesse per l’uso della fotografia come mezzo per mettere in discussione gli stereotipi visivi, i codici del documentario e la distinzione tra realtà e rappresentazione. La sua provenienza da un contesto di fotogiornalismo le ha offerto competenze solide nella costruzione dell’immagine in situazioni reali, ma la sua evoluzione l’ha portata a riformulare il concetto stesso di fotografia come documento.
Dal punto di vista tecnico, il suo percorso accademico comincia con studi in belle arti e prosegue con una formazione specifica in fotogiornalismo, fornendo una base teorica e pratica che poi ha saputo trasformare e sovvertire attraverso progetti personali. La scelta di autopubblicarsi in alcuni casi (come nel progetto The Afronauts) riflette un’attitudine indipendente e sperimentale, in parte critica rispetto all’industria fotografica tradizionale e al ruolo dei media.
Nel complesso, questa biografia sintetizza la crescita di un’autrice che ha attraversato il passaggio da operatrice di fotogiornalismo tradizionale a figura centrale della fotografia contemporanea, contribuendo attivamente al dibattito sul ruolo della fotografia, sulla costruzione delle immagini e sul rapporto tra rappresentazione visiva e verità storica.
Carriera e percorso professionale
Il percorso professionale di Cristina de Middel è segnato da una trasformazione radicale che parte dal fotogiornalismo classico per approdare a una pratica visiva ibrida, che mescola documentario, fiction e riflessione critica sul mezzo fotografico. Per circa dieci anni, la fotografa ha collocato il proprio lavoro all’interno del reportage, collaborando con testate giornalistiche spagnole e svolgendo incarichi per ONG in contesti di conflitto o emergenza umanitaria. Questo periodo gli ha fornito un terreno operativo concreto: la verifica delle fonti, la copertura di eventi dal vivo, l’urgenza di raccontare la realtà. Tuttavia, nel tempo, de Middel ha cominciato a interrogarsi sulla natura stessa della fotografia come testimone del reale.
In particolare, de Middel ha affermato in interviste che dopo anni di lavoro sul campo è venuta a mancare l’illusione che la fotografia potesse cambiare il mondo semplicemente documentando la realtà. Ha così deciso di «cambiare la fotografia per poter forse cambiare il mondo». Questa svolta concettuale segna il passaggio verso un approccio in cui la fotografia documentaria tradizionale cede il posto a un linguaggio che mette in crisi la distinzione tra reale e rappresentato.
Un momento cruciale della carriera è la realizzazione di The Afronauts nel 2012, progetto che ha definito il suo profilo internazionale. L’idea prende spunto da un programma spaziale zambiano degli anni sessanta, effettivamente esistito in modo embrionale, ma privo di documentazione visiva significativa: de Middel ha ricreato visivamente quella storia attraverso immagini costruite, costumi artigianali e scenografie minimaliste, facendo leva sul contrasto tra l’idea di Africa negli stereotipi occidentali e la dimensione surreale della «corsa allo spazio». Questo progetto ha avuto un forte impatto critico e mediatico, contribuendo a ridefinire il suo linguaggio visivo e a consolidare la sua reputazione come autrice che «gioca con la verità nella fotografia».
Nel contesto della sua carriera va inoltre considerata la sua adesione all’agenzia Magnum Photos. Dal 2017 de Middel è diventata assocciata dell’agenzia, per poi assumere nel 2022 la presidenza. Questo dato testimonia la sua integrazione nel circuito storico della fotografia e, al tempo stesso, la sua capacità di ridefinire quel circuito dall’interno.
Parallelamente ai grandi progetti, de Middel ha realizzato incarichi commerciali e collaborazioni con marchi e istituzioni, ma sempre con la volontà di mantenere un alto grado di autonomia artistica. Il suo lavoro attraversa molte aree geografiche — Europa, Africa, America Latina — e molte tematiche: dallo spazio al sesso, dalla migrazione all’identità postcoloniale. In ogni caso, permane una firma concettuale riconoscibile: l’uso di costruzione visiva, ricerca degli archetipi, e una forte riflessione sul medium fotografico e il suo rapporto con la verità.
Dal punto di vista stilistico, de Middel utilizza un linguaggio visivo che alterna il reportage all’installazione fotografica, la pubblicazione indipendente al libro d’artista. L’autopubblicazione — come nel caso di The Afronauts — è per lei un modo per mantenere il controllo sul progetto visivo e sulla sua distribuzione: la fotografia, in quel contesto, diviene anche editoria d’artista.
In termini di insegnamento e diffusione, de Middel ha partecipato come relatrice a conferenze e workshop, in cui ha condiviso la propria visione critica della fotografia: non più solo come strumento di documentazione, ma come mezzo capace di ridefinire storie, proporre nuove narrazioni, mettere in discussione i codici del rappresentabile.
Un altro elemento importante del suo percorso è la sua posizione geografica e culturale: vivere e lavorare tra Messico e Brasile (pur mantenendo legami con la Spagna) le consente di operare in territori di frontiera visiva, dove le pratiche fotografiche tradizionali sono messe in discussione da nuove urgenze. Come lei stessa ha osservato, l’essere «non nel proprio paese» contribuisce a una maggiore consapevolezza visiva e critica.
Nel complesso, la carriera di Cristina de Middel evidenzia una traiettoria che parte dal reportage classico e approda a un’operazione di ridefinizione del linguaggio fotografico, con un forte senso di autonomia e sperimentazione. Questo la colloca tra le figure di riferimento della fotografia contemporanea che interrogano la verità visiva e l’identità del medium.
Le Opere principali
Ecco una panoramica dettagliata delle opere principali di Cristina de Middel, in cui si articola la sua trasformazione poetica, visiva e concettuale:
The Afronauts (2012)
– Questo progetto costituisce una delle opere-chiave della sua produzione. La fotografa ha ripreso la storia poco nota del programma spaziale dello Zambia degli anni sessanta, ricostruendola visivamente attraverso scenografie, costumi e ambientazioni che mescolano realtà storica e finzione visiva.
– Nell’uso della fotografia come narrazione costruita, The Afronauts mette in crisi le aspettative dello spettatore rispetto al documentario: l’immagine appare realistica, ma è chiaramente una ricostruzione, e ciò apre una riflessione sul concetto di verità nella fotografia.
– Il progetto è stato autopubblicato e ha ricevuto riconoscimenti internazionali (ad esempio la nomination al Deutsche Börse Photography Prize nel 2013).Gentlemen’s Club (inizio 2015 e successive estensioni)
– Iniziato a Rio de Janeiro e successivamente ampliato a città in diversi continenti, questo progetto affronta il tema della prostituzione attraverso la lente poco esplorata del cliente maschile: de Middel ritrae clienti di sex-work in ambienti spesso transnazionali e culturalmente eterogenei.
– Il lavoro indaga le dinamiche di potere, vergogna, visibilità e anonimato che si sviluppano attorno al servizio sessuale. La fotografa si pone in una posizione di mediazione tra documentazione e riflessione critica, chiedendosi come l’immagine possa dare voce a soggetti invisibili anche nella sfera visiva.
– Questa opera è significativa per il modo in cui estende il suo linguaggio: non più solo la finzione della ricostruzione (come in The Afronauts), ma una documentazione ibrida che richiede la fiducia dei soggetti e la consapevolezza del mezzo fotografico come strumento di rappresentazione e riflessione.Journey to the Center (anno pubblicazione 2024)
– Questo progetto recente affronta il tema della migrazione attraverso una struttura visiva ispirata al romanzo d’avventura di Jules Verne (Journey to the Center of the Earth). De Middel esplora la rotta migratoria attraverso il Messico verso la frontiera degli Stati Uniti, costruendo una narrazione visiva che è allo stesso tempo da viaggio, reportage e riflessione concettuale.
– Il progetto amplifica il suo linguaggio visivo verso una dimensione più ampia di mobilità globale, di visualizzazione di percorsi spesso invisibili e di storie che riducono i soggetti a statistiche. De Middel impiega il mezzo fotografico come strumento di empatia visiva e critica sociale, mantenendo uno stile che pur restando accessibile, è formalmente complesso.This is What Hatred Did (2015)
– In questo libro d’artista, de Middel utilizza un testo di Amos Tutuola (“My Life in the Bush of Ghosts”) per sviluppare una riflessione sul modo in cui l’odio, la paura e la memoria si materializzano nelle immagini.
– Il lavoro approfondisce la sua ossessione per il confine tra documentario e finzione, utilizzando la fotografia come linguaggio per rappresentare la memoria collettiva, il trauma e la soggettività visiva.Party: Quotations from Chairman Mao Tse-tung (2013)
– Pubblicato come libro d’artista, utilizza citazioni di Mao Tse-tung per esplorare la retorica politica, l’iconografia del potere e i codici visuali della propaganda.
– Anche in questo caso si vede come de Middel manipoli il medium fotografico e il contesto editoriale per interrogare gli strumenti visivi della persuasione e della memoria collettiva.
Nel complesso, queste opere principali mostrano un arco di evoluzione che va dalla costruzione visiva che sfida il documentario (The Afronauts), al reportage critico (Gentlemen’s Club, Journey to the Center), fino al libro d’artista sperimentale e concettuale (This is What Hatred Did, Party). La costante è l’uso della fotografia come linguaggio per interrogare e ridefinire la narrativa visiva, la verità fotografica e l’identità culturale.
Le opere citate mostrano anche l’ampiezza geografica e tematica della sua ricerca: da Africa all’America Latina, dal lavoro sulla sessualità al lavoro sulla migrazione, dal libro autoprodotto all’adesione a circuiti istituzionali internazionali. Questo rende Cristina de Middel una figura di riferimento per chiunque studi la storia della fotografia contemporanea, la trasformazione del reportage e l’evoluzione della pubblicazione visiva.
Fonti
Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.


