L’Alfred C. Kemper Co., con sede a Chicago, venne fondata nei primi anni Novanta del XIX secolo da Alfred C. Kemper, un imprenditore con sensibilità tecnica e visiva. I documenti datano l’avvio della produzione attorno al 1892–1893, con la realizzazione del celebre modello Kombi, uno straordinario esempio di micro box camera e graphoscope combinato. La kemper combinava in un’unica scatoletta metallica la funzione di fotocamera e di visore per diapositive: un oggetto che rifletteva la capacità di innovazione del suo autore, con aperture fisse, soffietto interno definitivo, meccanismi a molla e parti in ottone lucidato. Sebbene poco documentata, la compagnia riesce a inserirsi nel solco del mercato emergente della fotografia amatoriale, fino a vendere decine di migliaia di unità in pochi anni.
La scelta di produrre fotocamere metalliche compatte, al contrario delle tradizionali apparecchiature in legno, rifletteva l’intento di offrire strumenti robusti, tecnicamente affidabili e riprodotti con precisione. Vengono registrate collaborazioni con Eastman Kodak per realizzare un formato roll-film specifico da 1¼” di larghezza, con immagini rotonde o quadrate da 1⅛” destinate ad una clientela amatoriale entusiasta . La produzione si caratterizza per una solida qualità meccanica, finiture accurate e una mobilità d’uso rara per l’epoca.
Alfred Kemper non limitò il progetto a un’unica fotocamera: progetti successivi, anche se meno noti, prevedevano il miglioramento del meccanismo dell’otturatore, lancio di backs intercambiabili, e offerte di servizi integrati di sviluppo e stampa, che anticipavano modelli che Eastman Kodak avrebbe reso virali qualche anno dopo . La compagnia, attiva fino alla fine del secolo, sviluppò un catalogo minimale ma rivoluzionario, in grado di inserirsi nel mercato di massa con un prodotto attraente, tecnicamente compatto e economicamente competitivo.
La Kombi incarnava una funzione innovativa: una fotocamera sottoforma di box metallico interamente costruito in ottone e lamiera, con un meccanismo a molla per il tempo “Instantaneous” e modalità di posa “Timed” (Bulb). Il diaframma era fisso, calcolato intorno a f/11–f/16 per garantire una profondità di campo estesa adatta alle immagini spontanee, senza controllo dell’esposizione. Il sistema di avanzamento pellicola – realizzato con rotazione manuale – produceva tre scatti per giro, con feedback meccanico (click), permettendo fino a 25 esposizioni per rullo.
Dal punto di vista ottico, la fotocamera montava una lente menisco singola da circa 28–35 mm di focale, trattata come un piccolo menisco per garantire nitidezza discreta nei formati ridotti. La sensazione tecnica risultava solida e precisa: il corpo macchina pesava appena 140 grammi, ma offriva tolleranze di fabbrica eccellenti e finiture stampate/scavate di elevata qualità .
La vera innovazione fu il magazine intercambiabile, montato come back: una soluzione anticipatoria, che separava corpo macchina e supporto pellicola, permettendo di ricaricare un caricatore a parte e reinserirlo con facilità, oltre alla possibilità di ricaricarlo tramite la fabbrica. Questa caratteristica rese la Kombi la prima fotocamera non-Kodak con magazine intercambiabile di massa, un primato che sottomise le capacità tecniche della competizione.
Nei modelli successivi vennero introdotti modifiche marginali, come scocche argentate ossidate e decorazioni scanalate, migliorie lievi al funzionamento della molla e impreziosimento estetico, come evidenziato in aste di modellistica antica.
La Kombi offriva un’esperienza utente semplice, seppure con accortezze tecniche. L’assenza di mirino la rendeva una camera “puntata a vista”, fedele allo stile snapshot primigenio che avrebbe dominato alcuni decenni dopo. L’uso prevedeva due mani: una per tenere il corpo compatto, l’altra per armare il tempo (rotazione molla) e scattare. Una copertura a pulsante permetteva l’accesso alla pellicola per inquadrare su luce intensa.
Il magazine intercambiabile richiedeva un breve training: l’obiettivo era permettere la ricarica senza camera oscura, analogamente a quanto avrebbe fatto Kodak con le Brownie anni dopo. La Kombi raggiungeva così una modalità di consumo facilitata da operare anche sul campo, pur mantenendo finiture metalliche di precisione e scansioni funzionali di uso .
Particolarmente curioso il fatto che una volta sviluppata la pellicola a positivi, la fotocamera potesse funzionare come graphoscope: rimuovendo il disco posteriore, era possibile illuminare il magazine e osservare le immagini attraverso la lente, senza bisogno di proiettori – un uso extra-fotografico che ne moltiplicava le possibilità comunicative, soprattutto in gruppi familiari o contesti dimostrativi .
Quantitativamente la Kombi appariva vantaggiosa: venduta a 3,50 $ (camera), 1,50 $ supl back, pellicole a 0,20 $ – costi nettamente inferiori rispetto ai prodotti Kodak coevi, tanto che veniva definita come opzione “premium ma economica” . Nonostante il caricamento richiedesse una “sleeve” per l’operazione in buio, la semplicità d’uso e la portabilità la resero una scelta efficace per gite e viaggio.
La Kombi fu prodotta tra il 1893 e il 1896, con una produzione stimata tra 50.000 e 200.000 esemplari in pochi anni. Questo dato è coerente con le testimonianze dell’epoca e con le testimonianze della presenza in aste come Christie’s .
La scheda del Science Museum Group documenta la presenza di esemplari originali con dimensioni contenute (45 × 42 × 54 mm) e parti metalliche in ottone nickelato, oltre a dosi raffinate di lavorazione a lastra continua. Si tratta quindi di fotocamere tecnicamente sofisticate, dalle tolleranze elevate e dal design raffinato, anche se concepite per un mercato amatoriale.
Oggi la Kombi è un oggetto raro ma non introvabile: compare regolarmente su eBay o in aste di fotografia antica, con un valore collezionistico variabile tra i 200 e i 600 $, in funzione delle condizioni. Il magazine intercambiabile, i caricaback originali e la scocca decorata rappresentano i fattori determinanti del prezzo.
Numerosi fotografi vintage, come evidenziato su Reddit, si dicono affascinati dal meccanismo – robusto, compatto, nitido – e dalla sensazione tattile, con un peso e dimensioni che lo rendono ancora oggi utilizzabile . La Kombi è riconosciuta anche per la presenza di materiale ebonite in alcune componenti, confermando l’uso di tecnologie di fine Ottocento nella costruzione di strumenti ancora efficac

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
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