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Susan Meiselas

Susan Meiselas, nata il 21 giugno 1948 a Baltimora, Maryland (USA), è una delle figure più influenti nella storia della fotografia documentaria contemporanea. Attualmente vive e lavora a New York ed è Presidente della Magnum Foundation. La sua carriera, iniziata negli anni Settanta, si è sviluppata lungo un arco di oltre cinque decenni, caratterizzati da un approccio profondamente etico e partecipativo alla fotografia documentaria.

Meiselas ha conseguito la laurea in antropologia e educazione visiva presso il Sarah Lawrence College nel 1970 e il Master in Visual Education ad Harvard nel 1971. Durante gli studi collaborò come assistente al montaggio per il documentarista Frederick Wiseman, esperienza che le fornì una base metodologica per la costruzione narrativa delle immagini. Dopo la laurea, insegnò fotografia nelle scuole pubbliche di New York, sviluppando programmi di visual literacy per bambini e adulti. Questo background pedagogico influenzò profondamente il suo modo di intendere la fotografia come strumento di dialogo e conoscenza sociale.

Il suo primo progetto importante fu Carnival Strippers (1972–1975), una serie realizzata durante tre estati nei piccoli carnival show del New England. Meiselas non si limitò a fotografare le donne che si esibivano negli spettacoli di striptease, ma registrò le loro voci, integrando testimonianze audio alle immagini. Questa scelta anticipava un approccio multimediale e collaborativo, raro per l’epoca. Il libro, pubblicato nel 1976, divenne un riferimento per la fotografia femminista e per il fotogiornalismo narrativo.

Nel 1976 Meiselas entrò in Magnum Photos come membro associato e nel 1980 divenne membro effettivo. Da quel momento, la sua carriera si intrecciò con i grandi eventi storici: la rivoluzione sandinista in Nicaragua (1978–1979), la guerra civile in El Salvador, le violazioni dei diritti umani in Cile sotto Pinochet, fino ai progetti di lungo periodo in Kurdistan e alle indagini sulla violenza domestica nel Regno Unito.

Tra i riconoscimenti più prestigiosi: Robert Capa Gold Medal (1979) per il lavoro in Nicaragua, MacArthur Fellowship (1992), Hasselblad Award (1994), Guggenheim Fellowship (2015), Deutsche Börse Photography Prize (2019) e, nel 2025, il titolo di Outstanding Contribution to Photography ai Sony World Photography Awards. Ha ricevuto anche la Centenary Medal della Royal Photographic Society e numerosi dottorati honoris causa.

Oggi Meiselas è considerata una pioniera del fotogiornalismo partecipativo, capace di integrare fotografia, testimonianza orale e archivio storico in progetti che interrogano il rapporto tra immagine, memoria e potere. Le sue opere sono presenti nelle collezioni del MoMA, dell’Art Institute of Chicago, della Library of Congress e in numerosi musei internazionali.

Stile e approccio tecnico

Il linguaggio fotografico di Susan Meiselas si fonda su immersione, relazione e durata. A differenza del fotogiornalismo “mordi e fuggi”, Meiselas lavora su progetti pluriennali, costruendo rapporti di fiducia con le comunità ritratte. Questo approccio si traduce in immagini che non sono semplici documenti, ma frammenti di narrazioni complesse, spesso accompagnate da testi, audio e materiali d’archivio.

Sul piano tecnico, Meiselas ha privilegiato fotocamere Leica a telemetro per la loro discrezione, utilizzando ottiche standard (35 mm e 50 mm) e, in alcuni progetti, grandangolari moderati. Nei reportage in America Centrale, ha impiegato pellicole Kodak Tri-X per il bianco e nero e Kodachrome per il colore, sfruttando la robustezza cromatica in condizioni di luce variabile. La scelta di non usare flash nei contesti sensibili riflette la volontà di mantenere la naturalezza della scena e ridurre l’invasività.

La composizione nelle sue immagini è funzionale alla narrazione: spesso adotta inquadrature ravvicinate per enfatizzare la relazione con il soggetto, alternando campi medi e dettagli per costruire sequenze visive coerenti. Nei progetti come Carnival Strippers, la luce è prevalentemente ambientale, con tempi rapidi per congelare il gesto e diaframmi medi per garantire profondità di campo sufficiente a contestualizzare il soggetto.

Un tratto distintivo è l’uso della fotografia come dispositivo dialogico: Meiselas integra interviste, trascrizioni e materiali storici per ampliare il senso dell’immagine. In Kurdistan: In the Shadow of History (1997), ad esempio, ha curato un archivio visivo di cento anni, combinando fotografie d’epoca, documenti e le proprie immagini per costruire una memoria collettiva.

Negli anni Duemila, Meiselas ha sperimentato installazioni site-specific, come in Nicaragua nel 2004, quando ha collocato murales fotografici nei luoghi originari degli scatti, trasformando la fotografia in atto pubblico. Questa pratica sottolinea la sua concezione della fotografia come processo aperto, non confinato alla pagina o alla parete museale.

Dal punto di vista etico, Meiselas ha sempre riflettuto sul ruolo del fotografo e sulla responsabilità dell’immagine. Nei suoi scritti e interviste, insiste sulla necessità di interrogare la circolazione delle fotografie, il loro uso nei media e il rapporto tra visibilità e vulnerabilità dei soggetti.

Carriera e riconoscimenti

La carriera di Susan Meiselas si articola in fasi tematiche che corrispondono a contesti geografici e sociali differenti.

Anni ’70 – Origini e femminismo visivo
Il progetto Carnival Strippers (1972–1975) segna l’ingresso di Meiselas nel dibattito sulla rappresentazione femminile. In piena stagione del movimento femminista, la fotografa sceglie di raccontare le donne che lavorano negli spettacoli itineranti, evitando giudizi moralistici e restituendo loro voce e agency. Il libro del 1976, corredato da registrazioni audio, è un esempio di fotografia partecipativa ante litteram.

Anni ’80 – Fotogiornalismo di conflitto
Dal 1978 al 1979 Meiselas documenta la rivoluzione sandinista in Nicaragua, realizzando immagini iconiche come il celebre Molotov Man, divenuto simbolo della lotta contro Somoza. Il libro Nicaragua (1981) è considerato un classico del fotogiornalismo. Negli stessi anni lavora in El Salvador, curando il volume collettivo El Salvador: Work of Thirty Photographers (1983), e in Cile, dove edita Chile from Within (1991), dando voce ai fotografi locali sotto la dittatura di Pinochet.

Anni ’90 – Memoria e archivio
Con Kurdistan: In the Shadow of History (1997), Meiselas inaugura una fase di ricerca storica: sei anni di lavoro per costruire un archivio visivo transnazionale, integrato nel sito web akaKurdistan (1998), uno dei primi esperimenti di memoria digitale partecipativa.

Anni 2000 – Intimità e sperimentazione
Progetti come Pandora’s Box (2001), dedicato a un club BDSM di New York, e Encounters with the Dani (2003), sulla popolazione indigena della Papua, esplorano la dialettica tra privacy e rappresentazione. Nel 2008 l’International Center of Photography le dedica la retrospettiva In History, accompagnata da un volume che ripercorre quarant’anni di lavoro.

Anni 2010–2020 – Nuove narrazioni
Meiselas affronta il tema della violenza domestica con A Room of Their Own (2017), frutto di workshop collaborativi con donne rifugiate nel Regno Unito. Nel 2020 pubblica Tar Beach, dedicato alla vita sui tetti di Little Italy, e nel 2022 riprende il progetto Carnival Strippers Revisited, dimostrando la continuità del suo interesse per le microstorie femminili.

Tra i premi più significativi:

  • Robert Capa Gold Medal (1979)
  • Leica Award for Excellence (1982)
  • MacArthur Fellowship (1992)
  • Hasselblad Foundation Prize (1994)
  • Cornell Capa Infinity Award (2005)
  • Deutsche Börse Photography Prize (2019)
  • Outstanding Contribution to Photography (Sony World Photography Awards, 2025)

Le Opere principali

Le opere di Susan Meiselas comprendono libri, serie fotografiche e progetti multimediali. Tra i titoli più rilevanti:

  • Carnival Strippers (1976) – Reportage sui strip show itineranti del New England, con integrazione di audio-interviste.
  • Nicaragua: June 1978–July 1979 (1981) – Documentazione della rivoluzione sandinista, con immagini divenute icone del fotogiornalismo.
  • El Salvador: Work of Thirty Photographers (1983) – Volume collettivo curato da Meiselas.
  • Chile from Within (1991) – Fotografia sotto la dittatura di Pinochet.
  • Kurdistan: In the Shadow of History (1997) – Archivio visivo di cento anni, con contributi storici e testimonianze.
  • Pandora’s Box (2001) – Indagine fotografica su un club BDSM di New York.
  • Encounters with the Dani (2003) – Studio antropologico-visivo sulla Papua.
  • In History (2008) – Retrospettiva pubblicata da Steidl.
  • A Room of Their Own (2017) – Progetto collaborativo con donne rifugiate nel Regno Unito.
  • Tar Beach (2020) – Vita quotidiana sui tetti di Little Italy.
  • Carnival Strippers Revisited (2022) – Rilettura del progetto originario con materiali d’archivio.

Serie iconiche:

  • Prince Street Girls (1975–1992) – Adolescenza e crescita di un gruppo di ragazze a Little Italy.
  • Molotov Man (1979) – Immagine simbolo della rivoluzione nicaraguense.
  • Archives of Abuse (1991–1992) – Installazione sulla violenza domestica.
  • The Life of an Image (2004) – Murales fotografici in Nicaragua.

Fonti 

Curiosità Fotografiche

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