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La macchina fotograficaFotocamere termiche (infrarossi)

Fotocamere termiche (infrarossi)

Una fotocamera termica è un sistema d’imaging che rileva e misura la radiazione infrarossa emessa dagli oggetti in funzione della loro temperatura e la trasforma in una mappa visiva—un’immagine termica—in cui le differenze di irradianza (o radiance) vengono codificate in livelli di grigio o in palette pseudocolor. A differenza delle fotocamere nel visibile, che dipendono dalla luce riflessa tra 0,4 e 0,7 μm, le termocamere operano nelle cosiddette finestre atmosferiche del medio infrarosso (MWIR, ~3–5 μm) e del lungo infrarosso (LWIR, ~8–14 μm), bande in cui l’atmosfera è relativamente trasparente e la radiazione termica emessa a temperature ambienti risulta misurabile con buon rapporto segnale/rumore. Nella regione SWIR (0,9–1,7/2,5 μm) l’imaging è spesso “di riflessione” e non direttamente termico, mentre in MWIR/LWIR si parla propriamente di termografia, poiché la radiazione osservata è emessa dall’oggetto secondo le leggi della radiazione di corpo nero (Planck, Stefan‑Boltzmann, Wien) modulate dall’emissività reale del materiale. Questo discrimine spiega perché le termocamere “vedano” al buio e attraverso fumo sottile, nebbia, polvere: il segnale non dipende dall’illuminazione esterna, ma dall’energia termica in uscita dal soggetto.

La misura radiometrica nelle termocamere è radicata nella legge di Planck, che lega spettro di radianza e temperatura; da qui derivano i concetti di temperatura di brillanza (brightness temperature) e la conversione da radiance misurata a temperatura apparente, mediata da emissività, trasmittanza del mezzo e risposta spettrale della camera. Strumenti didattici e calcolatori (accademici e metrologici) mostrano come, a 10 μm (pieno LWIR), una superficie a ~300 K domini l’emissione nella banda 8–14 μm: è la base fisica del “vedere il calore” tipica delle termocamere operanti in LWIR.

Perché sono importanti? Sul piano operativo consentono ispezioni non distruttive e misure senza contatto in edilizia (dispersioni termiche, umidità), manutenzione elettrica e meccanica (surriscaldamenti, attriti, squilibri), antincendio (ricerca persone, punti caldi dietro fumo), sicurezza e sorveglianza (rilevazione intrusi in totale oscurità), ricerca e sviluppo (combustione, balistica, materiali), clinica e veterinaria (pattern vascolari e infiammatori), fino alla navigazione e ai sistemi avionici. La maturità tecnologica si riflette in standard (es. NFPA 1801 per termocamere antincendio) e in metriche consolidate—NETD (Noise Equivalent Temperature Difference) e MTF—che quantificano sensibilità termica e risoluzione spaziale.

Sul piano sensoriale, i sistemi si dividono in non raffreddati (microbolometri VOx o a‑Si, operanti tipicamente in LWIR) e raffreddati (rivelatori fotonici InSb, HgCdTe/MCT, QWIP o T2SL, spesso in MWIR e LWIR), con differenze sostanziali in sensibilità, dinamica, costo e manutenzione. Gli obiettivi termici impiegano materiali IR‑trasparenti come Germanio o vetri calcogenuri, ottimizzati per 3–5 o 8–12 μm, con coating antiriflesso dedicati.

In definitiva, una fotocamera termica è un sensore energetico più che una “macchina fotografica” tradizionale: misura la radiazione in bande IR selezionate, la linearizza e calibra in unità radiometriche per consegnare all’operatore temperature affidabili o immagini qualitative utili alla diagnosi. L’importanza risiede nell’unire fisica del calore e imaging per prendere decisioni rapide senza contatto, in contesti dove la luce è assente o ingannevole.

Origini storiche

La storia delle fotocamere termiche inizia prima della fotografia: nel 1800 William Herschel scopre la radiazione infrarossa misurando un innalzamento di temperatura appena oltre il rosso dello spettro disperso da un prisma. Quella dimostrazione—l’esistenza di “raggi oscuri”—semina l’intera disciplina dell’IR. Nei decenni seguenti nascono rivelatori termici come il bolometro di Samuel Langley (fine XIX secolo), capaci di misurare minime variazioni di potenza radiativa. Sono tasselli fondativi di un percorso che, attraverso l’elettrotecnica e le antenate camere oscure, condurrà agli scanner IR e ai sistemi d’arma.

Tra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo compaiono i primi sistemi IR militari: sensori per anti‑aerei e mirini notturni, inizialmente attivi (con illuminatori IR) e poi passivi con rivelatori sempre più sensibili. Dopo la Seconda guerra mondiale, lo slancio bellico traina lo sviluppo di rivelatori fotoni‑sensibili (es. PbS per lo SWIR, poi InSb e HgCdTe/MCT per MWIR/LWIR), e il concetto di FLIR (Forward‑Looking InfraRed) prende forma nella Guerra fredda: sistemi puntati nella direzione di moto che vedono bersagli per differenze termiche a distanza.

Sul fronte industriale, la svedese AGA/Agema introduce negli anni ’60 i primi termovision commerciali “real‑time”, portando l’IR fuori dai soli laboratori. Negli anni ’70–’80 emergono i primi array di rivelatori (antenati delle FPA moderne), ma è fra anni ’90 e 2000 che accade la rivoluzione: i microbolometri non raffreddati (VOx, a‑Si) spingono i costi verso il basso e liberano dagli ingombranti Dewar di azoto liquido, mentre l’integrazione elettronica ROIC/CMOS rende possibili camere palmari e moduli core per droni, automotive e smartphone. Parallelamente, attori come FLIR Systems (fondata nel 1978, poi Teledyne FLIR dal 2021) consolidano il mercato acquisendo storici marchi (Agema nel 1998, Inframetrics nel 1999) e catalizzando la transizione da scanner a FPA.

Nel frattempo, la ricerca sviluppa tecnologie raffreddate ad alte prestazioni: InSb (MWIR) a 77 K e MCT/HgCdTe a bandgap variabile per coprire 3–5 e 8–12 μm con QE elevata, QWIP su GaAs/AlGaAs e più tardi le superreticoli tipo‑II (T2SL) su InAs/GaSb. L’avvento dei micro‑Stirling chiude il cerchio portando il raffreddamento criogenico in moduli compatti e affidabili. Ma la vera espansione di mercato arriva con la disponibilità di microbolometri LWIR sempre più sensibili (NETD < 30–50 mK), piccoli pitch (17–12 μm) e prezzi decrescenti. Oggi, le fotocamere termiche sono capillari, e gli standard di settore—NFPA 1801 per il fuoco, linee guida NIST/DHS per prestazioni e test—ne certificano la maturità.

Dati di base storici obbligatori: William Herschel (n. 1738, m. 1822) scoprì l’IR nel 1800; FLIR Systems nacque nel 1978 e dal 2021 è parte di Teledyne; Agema affonda le sue radici in AGA (anni ’60) con i primi Thermovision commerciali; i microbolometri VOx si affermano su larga scala dagli anni ’90 in poi.

Evoluzione tecnologica

Dal punto di vista tecnologico, le fotocamere termiche si dividono in due famiglie di rivelatori:

1) Non raffreddati (LWIR)microbolometri in VOx o a‑Si. Ogni pixel è un termistore micro‑sospeso che cambia resistenza con piccolissimi aumenti di temperatura dovuti all’assorbimento IR. Vantaggi: costo, robustezza, assenza di criogenia, basso consumo. Limiti: sensibilità inferiore ai fotonici, risposta più lenta, deriva termica. Oggi, NETD tipici < 50 mK sono comuni; con VOx ottimizzati e ROIC a basso rumore si scende a 20–30 mK in moduli di fascia alta, mentre a‑Si mostra spesso rumore 1/f maggiore e NETD leggermente superiori. I core industriali (es. FLIR Boson/Lepton) sono VOx e operano in LWIR 8–14 μm.

2) Raffreddati (MWIR/LWIR)fotonici (es. InSb per 3–5 μm, MCT/HgCdTe per 3–5/8–12 μm, QWIP e T2SL per LWIR/VLWIR). Richiedono Dewar e criogenia (azoto liquido o micro‑Stirling ~77–150 K), in cambio offrono NETD molto bassi (anche < 10 mK), tempi di risposta rapidi (μs–ms), frame rate elevati e filtri spettrali stretti (es. OGI per gas in MWIR). Sono la scelta per telemetria a lungo raggio, tracciamento veloce, ipervelocità, spettroscopia, astronomia.

Sul piano ottico, l’assenza di silice trasparente in LWIR impone materiali come Germanio (trasmissione ~2–16 μm, usatissimo in 8–12 μm), ZnSe, ZnS o chalcogenide glass; gli indici elevati (n≈4 per Ge) richiedono antiriflesso multistrato per ottenere trasmissione utile e ridurre riflessioni e ghosting. Il Germanio copre l’intera banda 8–14 μm termica, ma soffre di thermal runaway (trasmittanza che cala all’aumentare della temperatura), aspetto da considerare nella progettazione di front‑element soggetti a calore radiante.

Radiometria e calibrazione. Trasformare DN in temperatura richiede calibrazione radiometrica: curve multi‑punto con blackbody noti, compensazione di emissività e trasmittanza, e NUC (Non‑Uniformity Correction) per allineare offset e gain pixel‑per‑pixel. Le termocamere non raffreddate effettuano NUC periodiche usando un otturatore interno (flag) ad alta emissività che chiude il cammino ottico e fornisce un riferimento piatto; questo “click” aumenta l’uniformità e stabilizza la deriva del FPA. Sono diffuse anche tecniche che trattano il flag interno come “blackbody equivalente”, riducendo l’errore al variare della temperatura del sensore.

Metriche di prestazione. La NETD (Noise Equivalent Temperature Difference) quantifica la minima differenza di temperatura distinguibile sopra il rumore: più è bassa, meglio è (scene a basso contrasto termico, meteo avverso). La MTF descrive la risoluzione spaziale del sistema. La comunità utilizza definizioni e procedure talora non uniformi; lavori metrologici recenti evidenziano come diversi laboratori possano misurare NETD/FPN con differenze anche del 50%, richiamando l’attenzione su metodi, allestimenti e condizioni di prova.

Bande spettrali e scelta applicativa. In estrema sintesi operativa, LWIR (8–14 μm) è eccellente per ambiente e corpi a temperatura ambiente, vede bene attraverso fumo/polvere e domina i sistemi non raffreddati; MWIR (3–5 μm) eccelle per target caldi (processi, motori, fiamme), raggio lungo con sensori raffreddati e consente discriminazioni spettrali (es. gas). SWIR è imaging di riflessione (InGaAs), utile di notte con luminanza stellare e per ispezioni di materiali.

Caratteristiche principali

Emissione termica e fisica della misura. Tutti i corpi a T > 0 K emettono radiazione secondo Planck; la potenza totale cresce come T⁴ (Stefan‑Boltzmann) e il picco si sposta a lunghezze d’onda più corte all’aumentare di T (Wien). A 300 K il picco cade intorno a 9–10 μm, nel cuore dell’LWIR: ecco perché i microbolometri in 8–14 μm “vedono” con grande efficacia oggetti a temperatura ambiente. Il valore che la camera ricava è però una temperatura apparente: dipende dall’emissività (ε), dalla riflessione dell’ambiente (componenti riflesse dal soggetto) e dalla trasmittanza dell’atmosfera nel percorso. Concettualmente, la camera risolve il problema inverso radiance→temperatura applicando la sua curva di calibrazione e correggendo per ε e τ; per materiali lucidi a bassa emissività (metalli lucidati), la temperatura vera può essere molto più alta della temperatura apparente misurata, a meno di impostare correttamente ε e schermare riflessi.

Sensibilità (NETD) e risoluzione. La NETD si esprime in mK ed è funzione di rivelatore, ottica (f/numero, trasmittanza), banda spettrale, tempo d’integrazione e rumore del ROIC. Una NETD di < 50 mK consente di distinguere minime differenze di temperatura su grandi superfici; valori < 30 mK migliorano la leggibilità in condizioni low‑contrast (nebbia, pioggia fredda, superfici quasi isoterme). La MTF compone contributi di ottica, pixel pitch e post‑processing; pitch più piccoli (12–17 μm) aumentano la risoluzione a parità di ottica, ma richiedono ottiche migliori e possono penalizzare SNR se l’apertura non cresce di pari passo. Le differenze di definizione e misura (2‑point, 3D‑noise, SiTF) spiegano perché NETD “di targa” non sempre sia direttamente confrontabile tra marchi.

Ottiche e materiali. Le lenti termiche impiegano Germanio (Ge), ZnSe, ZnS e vetri calcogenuri con coating spettrali 3–5 o 8–12 μm. Il Germanio offre ampia trasmissione e durezza (utile su front‑element esposti), ma il suo alto indice (n~4) implica riflettanze elevate senza AR multistrato; inoltre l’assorbimento cresce con temperatura (attenzione a frontali caldi).

Calibrazione, NUC e stabilità. Le termocamere non raffreddate mostrano deriva legata a temperatura del die e del gruppo ottico. Le NUC (o FFC) automatiche—il famoso “click” dell’otturatore—congelano il frame, chiudono il cammino ottico con una piastrina a ε~1 e aggiornano gain/offset per ogni pixel. Tecniche avanzate trattano l’immagine del flag come un blackbody equivalente visto “attraverso l’obiettivo”, migliorando la radiometria quando il FPA non è termo‑stabilizzato. Nei sistemi scientifici, si usano blackbody esterni e calibrazione multipunto; la letteratura propone anche modelli polinomiali per DN→T alternativi alla forma “Planck‑like”.

Bande operative: pro e contro. LWIR è meno sensibile a scattering e vapore acqueo rispetto a bande più corte, lavora bene su corpi freddi/ambienti e “vede” oltre fumo/umidità leggera; MWIR offre contrasto maggiore su target caldi, consente frame rate elevati e filtri per compiti specifici (es. Optical Gas Imaging per metano). La scelta dipende da target, distanza, ambiente, budget e vincoli di massa/potenza.

Utilizzi e impatto nella fotografia

Nel soccorso antincendio, le termocamere sono diventate strumento primario per ricerca e salvataggio in condizioni di fumo, per orientamento in interni, per individuare focolai nascosti e monitorare la propagazione; lo standard NFPA 1801 (2021) definisce interfaccia comune (pulsante verde, Basic Mode con white‑hot), durabilità, resistenza termica, autonomia minima (≥ 120 min) e prestazioni d’immagine per allineare formazione e sicurezza operativa in tutti i corpi. Studi NIST e DHS hanno lavorato a metriche riproducibili e dataset realistici per collegare qualità percepita e test da laboratorio. L’impatto è sia tecnico (maggiore efficacia) sia organizzativo (standardizzazione e interoperabilità).

In edilizia e diagnosi energetica, la termografia evidenzia ponti termici, dispersioni, infiltrazioni d’aria, umidità (per differenze di raffreddamento/evaporazione), impianti radianti e guasti elettrici (sovratemperature su morsetti, carichi squilibrati). Linee guida operative (setup, emissività, finestre IR, condizioni meteo) e buone pratiche di reporting hanno reso la termografia parte integrante delle verifiche e dei collaudi, con strumenti portatili e droni. La sensibilità (NETD) incide sulla capacità di scovare anomalie deboli—com’è il caso di infiltrazioni d’aria nel range di pochi decimi di grado.

Nell’industria la termocamera è un sensore di manutenzione predittiva: in quadri MT/BT individua caldi anomali prima della rottura; in meccanica misura attriti, allineamenti e bilanciature osservando pattern termici; in processo (vetro, ceramica, siderurgia) monitora forni e colate; in ricerca cattura eventi veloci (MWIR raffreddato) come scoppi, combustioni, impatti. Nel petrolchimico, la OGI MWIR identifica fughe di gas con tecniche filtrate su bande di assorbimento caratteristiche. In sicurezza e sorveglianza, l’IR garantisce rilevazione H24 indipendente dalla luce; fusioni sensoriali con radar e visibile potenziano la situational awareness.

Nei trasporti (automotive & rail), i sensori LWIR non raffreddati sono valutati per ADAS notturni, riducendo rischi con rilevazione di pedoni/animali oltre il campo visivo dei fari; in aerospazio e difesa, i sistemi FLIR—cui la stessa categoria deve il nome—servono sorveglianza a lungo raggio, navigazione a bassa quota e puntamento. Il settore consumer/prosumer ha visto moduli core integrati in smartphone o cam action, democratizzando ispezioni di base e applicazioni maker.

L’impatto si misura anche nella normazione: oltre a NFPA, le comunità scientifiche e metrologiche spingono verso definizioni coerenti di NETD, FPN e modelli 3D‑Noise, per evitare incoerenze fra laboratori e produttori; la standardizzazione accresce comparabilità, fiducia e valore probatorio di misure e report, con riflessi legali e assicurativi.

Curiosità e modelli iconici

Dalla “telecamera” al “sensore”: nel gergo pompieristico USA, la NFPA preferisce “Thermal Imager (TI)” a “TIC/camera”, sottolineando la natura di sensore più che di camera tradizionale; l’interfaccia Basic Mode con white‑hot, scala colore e pulsante verde è stata standardizzata per ridurre errori in stress.

Le pietre miliari industriali: la linea Agema/AGA Thermovision degli anni ’60 portò il “real‑time” commerciale; negli anni ’90 la “triade” FLIR+Agema+Inframetrics riplasmò il mercato, e nel 2003 l’acquisizione di Indigo Systems portò in casa FLIR know‑how chiave su detettori, core e camere scientifiche. Oggi Teledyne FLIR eredita un archivio di innovazioni che va dal primo scanner commerciale (1965) alla prima camera non raffreddata Agema (1997).

LWIR vs MWIR: un dualismo complementare. La diatriba “meglio LWIR o MWIR?” ha una risposta ingegneristica: dipende dal caso d’uso. LWIR (uncooled) domina sorveglianza ampia a corto/medio raggio, edilizia e firefighting, robusto a meteo variabile; MWIR (cooled) primeggia con target caldi, portate lunghe in condizioni secche, e quando servono framerate altissimi o gas‑imaging selettivo. In molti scenari “mission‑critical” emergono sistemi dual‑band MWIR+LWIR.

Il materiale “nero” dell’IR: il Germanio è il “vetro” per eccellenza del termico: trasparente in 8–12 μm, opaco nel visibile (lente nera), duro e coattabile con AR o diamond‑like per frontali resistenti; esistono però alternative in vetri calcogenuri a minor costo e peso, specie su ottiche f/1.0–f/1.2 per massimizzare il flusso su FPA piccoli.

Dalla fisica al pulsante “click”: quel “click” improvviso e l’immagine che si congela per un attimo? È la NUC: la camera abbassa il flag ad alta emissività, “vede se stessa” come sorgente uniforme, aggiorna offset/gain e torna operativa. Alcuni modelli permettono NUC manuale (utile prima di uno scatto critico o dopo grandi salti termici), altri solo automatica; l’assenza di NUC porta a rumore a pattern fisso e drift misurabile.

Fonti

Curiosità Fotografiche

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