La Debrie Sept rappresenta uno dei tentativi più audaci ed emblematici di integrare fotografia e cinematografia in un unico dispositivo portatile, realizzato negli anni Venti da una delle più rinomate case ottiche francesi: André Debrie, erede della Pathé Frères e produttore di cineprese professionali fin dalla prima decade del Novecento. Presentata al pubblico per la prima volta nel 1922, la Sept fu concepita come un apparecchio “totale”, capace di realizzare fotografie singole su pellicola cinematografica da 35mm e allo stesso tempo girare brevi sequenze cinematografiche — da cui il nome “Sept”, in riferimento alla possibilità di scattare fino a sette fotografie statiche per ogni rullo o, secondo altre fonti, per sottolineare le “sette funzioni” combinate nella macchina.
L’idea alla base della Debrie Sept era straordinariamente moderna: un dispositivo tascabile che unisse portabilità, versatilità e tecnologia cinematografica. Il progetto tecnico fu guidato da un team interno alla casa Debrie, sotto la supervisione diretta di André Debrie stesso, che intravedeva nel prodotto un ponte tra il mondo professionale del cinema e quello emergente della fotografia amatoriale dinamica.
La Debrie Sept si inseriva in un momento storico in cui la distinzione tra fotografia e cinematografia era ancora netta, anche per motivi tecnici: la pellicola cinematografica da 35mm non era perforata lateralmente allo stesso modo nei sistemi fotografici, e le ottiche per cinema non erano ottimizzate per l’uso statico. Superare questi limiti in un unico apparecchio richiedeva una ingegnerizzazione complessa e una miniaturizzazione meccanica avanzata, che la casa Debrie riuscì a realizzare con risultati sorprendenti.
Struttura meccanica e funzionamento tecnico
Dal punto di vista tecnico, la Debrie Sept era costruita attorno a un corpo in alluminio pressofuso, con rivestimento esterno in vernice nera martellata o in finitura brunita, a seconda delle serie. Le sue dimensioni compatte – circa 15 x 8 x 5 cm – ne facevano uno strumento facilmente trasportabile, pur mantenendo un livello di robustezza strutturale idoneo per l’uso sul campo.
L’obiettivo principale era un Debrie f/3.5 da 20 mm, intercambiabile, montato su un’elica elicoidale a messa a fuoco manuale. Alcune versioni più rare offrivano ottiche alternative con focali diverse, comprese tra 25 e 50 mm, sempre con attacco a vite e possibilità di regolazione della distanza in scala metrica.
La parte cinematografica del dispositivo funzionava mediante un motore a molla caricato manualmente tramite una leva laterale. Questo meccanismo permetteva di girare circa 5-6 metri di pellicola 35mm per volta, equivalenti a circa 15-20 secondi di ripresa continua alla velocità standard di 16 fotogrammi al secondo, che era all’epoca il frame rate cinematografico più diffuso. La trascinazione della pellicola avveniva tramite un sistema a croce di Malta miniaturizzato, azionato dalla molla centrale e dotato di meccanismo di arresto automatico.
Per la funzione fotografica, il medesimo percorso della pellicola veniva utilizzato in modalità manuale. L’otturatore, di tipo a tendina orizzontale a scorrimento, poteva essere attivato tramite un pulsante laterale separato, e garantiva tempi di esposizione compresi tra 1/30 e 1/200 di secondo, oltre alla posa B. Il mirino ottico era un galileiano semplice, montato superiormente in asse con l’obiettivo. Un indicatore meccanico a lancetta sul fianco sinistro del corpo macchina consentiva di monitorare la quantità residua di pellicola disponibile, un accorgimento raramente visto nei dispositivi portatili coevi.
Uno dei tratti più distintivi della Debrie Sept era la possibilità di estrarre il caricatore a pellicola e sostituirlo rapidamente, caratteristica che anticipava l’idea di magazine intercambiabili, molto diffusa nel mondo professionale della cinematografia a partire dagli anni Trenta.
La pellicola utilizzata era 35mm perforata standard, la stessa impiegata nelle cineprese Debrie Parvo, ma modificata internamente per ricevere anche singoli scatti statici. Questo ibrido d’uso imponeva una gestione attenta del rullo e richiedeva una fase di sviluppo specializzata, in quanto i fotogrammi fotografici venivano esposti in verticale, in posizione alternata rispetto a quelli cinematografici.
La Debrie Sept si rivolse a una nicchia di mercato composta da professionisti itineranti, appassionati di tecnologia, fotogiornalisti e documentaristi, per i quali la possibilità di unire foto e cinema in un unico strumento rappresentava un vantaggio strategico. In particolare, fu adottata da esploratori, tecnici di spedizioni scientifiche, e operatori coloniali francesi attivi in Africa e in Asia. Alcuni esemplari compaiono nelle dotazioni di missioni etnografiche dell’Institut d’Ethnologie di Parigi, che impiegò il dispositivo per documentare in parallelo immagini fisse e sequenze in movimento.
In campo civile, la Debrie Sept fu inizialmente accolta con entusiasmo dalla stampa specializzata francese, che ne lodò la qualità costruttiva e l’ingegno meccanico. Tuttavia, il dispositivo restava costoso e complesso da utilizzare, specialmente per gli utenti non esperti nella gestione della pellicola cinematografica. Il caricamento della pellicola richiedeva precisione, e l’operatore doveva alternare manualmente le modalità foto-cine con attenzione ai tempi e ai contatori meccanici.
Nonostante queste difficoltà, la Debrie Sept riuscì a creare attorno a sé una aura di oggetto tecnico d’élite, quasi da laboratorio portatile. Veniva commercializzata attraverso canali specializzati, tra cui le boutique parigine di fotografia professionale e gli agenti della Pathé, che garantivano anche l’assistenza per lo sviluppo delle pellicole. L’azienda pubblicò un manuale illustrato dettagliatissimo, con schemi meccanici e tabelle di esposizione per fotografia in esterni e interni, che testimonia l’alto grado di consapevolezza tecnica richiesto all’operatore.
Dal punto di vista della diffusione internazionale, l’apparecchio ebbe una circolazione limitata fuori dalla Francia, anche a causa del sistema di pellicola utilizzato e della mancanza di un network globale per l’assistenza. Tuttavia, alcuni esemplari furono venduti anche in Italia, Germania e Regno Unito, principalmente attraverso fiere e mostre internazionali del settore.
Fine della produzione
La produzione della Debrie Sept continuò fino alla fine degli anni Venti, quando le esigenze del mercato iniziarono a orientarsi verso apparecchi più specifici e meno ibridi. L’affermazione delle fotocamere Leica a pellicola 35mm per uso fotografico puro, e delle cineprese portatili dedicate come la Ciné-Kodak Model B, rese la soluzione integrata della Debrie meno interessante dal punto di vista commerciale.
L’azienda Debrie, forte della sua esperienza nella cinematografia professionale, scelse di rifocalizzarsi su prodotti per l’industria del cinema, lasciando la Sept come episodio sperimentale, pur riconosciuto per la sua audacia. L’eredità della Sept rimase viva nei dispositivi futuri, soprattutto nel concetto di portabilità cinematografica e ibridazione funzionale, che sarà ripreso, in forme diverse, nei decenni successivi.
Oggi, la Debrie Sept è considerata una pietra miliare nel design delle macchine fotografiche multifunzione. I pochi esemplari ancora esistenti si trovano in musei del cinema (tra cui il Cinémathèque Française e il Museo Nazionale del Cinema di Torino) o in collezioni private. Il livello di dettaglio meccanico, la qualità costruttiva e la singolarità del progetto la rendono una delle più affascinanti espressioni della convergenza tra fotografia e cinema nei primi decenni del Novecento.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
Attraverso il mio sito, offro una panoramica completa delle tappe fondamentali della fotografia, dai primi esperimenti ottocenteschi alle tecnologie digitali contemporanee. La mia missione è educare e ispirare, sottolineando l’importanza della fotografia come linguaggio universale.
Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.