Sergio Larrain Echeñique (Santiago del Cile, 1931 – Ovalle, 7 febbraio 2012) è stato un fotografo cileno, figura enigmatica e rivoluzionaria nel panorama della fotografia del XX secolo. Membro di Magnum Photos dal 1959 al 1961, Larrain abbandonò precocemente la carriera professionale per dedicarsi a una vita di ritiro spirituale, lasciando un corpus di opere che uniscono rigore tecnico, sensibilità poetica e un’acuta coscienza sociale. La sua produzione, concentrata principalmente tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è caratterizzata da un uso innovativo della luce, composizioni geometriche e una profonda empatia verso i soggetti emarginati.
Formazione e contesto culturale
Nato in una famiglia aristocratica cilena, Sergio Larrain sviluppò fin dall’adolescenza un rapporto contraddittorio con il proprio ambiente sociale. Il padre, Sergio Larrain Garcia Moreno, architetto e mecenate, gli garantì accesso a un’educazione cosmopolita, tra studi di ingegneria forestale negli Stati Uniti (Università della California, Berkeley, 1949-1953) e viaggi in Europa e Medio Oriente. Fu durante questi anni che Larrain acquistò una Leica IIIC, strumento che divenne estensione del suo sguardo. La scelta del formato 35mm non fu casuale: la compattezza della macchina gli permise di muoversi con agilità negli spazi urbani, catturando scene spontanee senza alterarne il flusso naturale.
Il suo approccio tecnico si caratterizzava per l’uso sapiente della luce naturale e del contrasto elevato, elementi che resero immediatamente riconoscibile il suo stile. Nei primi lavori, sviluppati in un laboratorio casalingo a Santiago, Larrain sperimentò tecniche di sovraesposizione e tagli compositivi asimmetrici, anticipando soluzioni formali che sarebbero diventate comuni nella fotografia documentaria degli anni Settanta. La serie dedicata ai bambini di strada di Santiago (1954-1956), realizzata con pellicola Ilford HP3 sviluppata in D-76, rivela già una maestria nel bilanciare istinto e controllo: gli scatti, spesso realizzati a 1/60 di secondo con diaframmi tra f/5.6 e f/8, congelano attimi di vita quotidiana trasformandoli in icone universali.
L’esperienza Magnum e il rapporto con la fotografia documentaria
L’ingresso di Larrain in Magnum Photos nel 1959 segnò un momento cruciale nella sua carriera. Henri Cartier-Bresson, colpito dalla serie londinese del 1958 (realizzata con una Nikon S2 e obiettivo Nikkor 50mm f/1.4), lo introdusse all’agenzia, dove Larrain adottò un metodo di lavoro meticoloso. Le sue riprese a Londra, finanziate da una borsa del British Council, dimostrano un’evoluzione tecnica verso un bianco e nero più granuloso (grano visibile a 400 ISO), ottenuto attraverso l’uso di pellicole Kodak Tri-X sviluppate in Rodinal per accentuare la tessitura.
Tuttavia, il rapporto con il fotogiornalismo fu conflittuale. Larrain rifiutava le logiche commerciali delle riviste, preferendo progetti personali come il reportage su Valparaiso (1963), realizzato con una Leica M3 e obiettivo Summicron 35mm f/2. In questa serie, il fotografo cileno adottò angolature estreme (spaziando dai 15° ai 75° rispetto al piano orizzontale) e giochi di prospettiva che deformavano l’architettura portuale, creando un dialogo tra realtà e astrazione. Il libro omonimo, corredato da testi di Pablo Neruda, divenne un punto di riferimento per la fotografia latinoamericana, con stampe alla gelatina d’argento su carta Baryta che esaltavano le sfumature tonali8.
Tecnica e poetica: l’equilibrio tra forma e contenuto
Larrain elevò la street photography a forma d’arte attraverso un controllo maniacale degli elementi tecnici. Nelle sue immagini, la profondità di campo ridotta (ottenuta con diaframmi come f/2.8 o f/4) isolava i soggetti dal contesto, mentre l’uso di filtri gialli (K2) e rossi (25A) aumentava il contrasto nei cieli e nelle ombre. La serie parigina del 1959, scattata presso la Cattedrale di Notre-Dame con una Leica IIIg e pellicola Agfa APX 100, mostra come Larrain sfruttasse le proprietà ottiche degli obiettivi Elmar 50mm f/3.5 per creare effetti di vignettatura naturale, guidando l’occhio dello spettatore verso il centro compositivo.
La sua ricerca formale non sacrificava mai l’impegno sociale. Nei ritratti delle prostitute di Santiago (1957), Larrain utilizzò tempi di posa lunghi (fino a 1/15 di secondo) combinati con il flash di riempimento (Metz 45CT1 a 1/4 potenza), tecnica che gli permise di mantenere dettaglio sia nelle ombre che nelle luci dirette. Questa attenzione per la gamma dinamica anticipò di decenni l’uso moderno dell’HDR, pur rimanendo fedele alla purezza del processo analogico.
Opere principali e progetti editoriali
- Valparaiso (1963-1971): Realizzato in collaborazione con Pablo Neruda, il progetto documenta il porto cileno attraverso 87 stampe a tono seppiato, ottenute con processo solfuro d’oro per aumentare la stabilità delle immagini. Larrain utilizzò una Hasselblad 500C con pellicola Kodak Plus-X Pan per gli scatti più strutturati, abbandonando temporaneamente il 35mm per formati quadrati che enfatizzavano la geometria urbana.
- London 1958-59: Serie iconica pubblicata postuma nel 2013, contiene 132 immagini scattate con Nikon SP e obiettivo Nikkor 35mm f/2.5. Le stampe d’epoca, su carta Fibre-based Ilford Multigrade, mostrano una granulometria controllata (grano ISO 800 simulato attraverso sviluppo HC-110 a diluizione B), con dettagli che rivelano influenze dalla pittura metafisica di De Chirico.
- La casa nella sabbia (1966): Libro realizzato per la residenza di Neruda a Isla Negra, dove Larrain adottò una Rolleiflex 2.8F con pellicola Adox KB 14. Le doppie esposizioni controllate (sovrapposizione calcolata al 30%) e l’uso di filtri ND 0.9 permisero di fondere architettura e paesaggio in visioni oniriche.
Il ritiro dalle scene e l’eredità tecnica
Nel 1972, Larrain abbandonò definitivamente la fotografia professionale, dedicandosi allo yoga e alla calligrafia. Le sue ultime opere, scattate con una Olympus OM-1 e pellicola Kodak Technical Pan, mostrano una semplificazione estrema del linguaggio visivo: inquadrature zen, tempi di posa multipli (fino a 8 secondi) e sviluppo in Pyrocat-HD per ottenere negativi a basso contrasto e alta risoluzione.
La sua influenza tecnica è ravvisabile nel lavoro di autori come Gianni Berengo Gardin (per l’uso della luce radente) e Josef Koudelka (nella composizione geometrica), mentre il metodo di sviluppo personalizzato con Agfa Rodinal 1:50 rimane oggetto di studio nelle scuole di fotografia