Il Planar di Carl Zeiss rappresenta una delle pietre miliari più significative nella storia dell’ottica fotografica, un obiettivo che ha ridefinito gli standard qualitativi e le possibilità creative sin dalla sua introduzione nel 1896. Progettato da Paul Rudolph, questo schema ottico a simmetria bilanciata ha influenzato lo sviluppo di innumerevoli obiettivi moderni, combinando risoluzione, luminosità e correzione delle aberrazioni in modo rivoluzionario per l’epoca. La sua architettura a sei elementi in due gruppi, inizialmente concepita per ritratti e riprese in studio, si è evoluta nel corso di un secolo trovando applicazioni in ambiti che spaziano dalla fotografia astronomica alla cinematografia digitale.
Contesto Storico e Invenzione del Planar
Il contesto ottico della fine del XIX secolo era dominato dalla ricerca di correzione delle aberrazioni in obiettivi sempre più luminosi. I primi obiettivi a menisco acromatico, come quelli sviluppati da Joseph Petzval, presentavano gravi limitazioni nel campo della correzione delle aberrazioni sferiche e cromatiche, specialmente alle aperture più ampie. Rudolph, già noto per l’invenzione del prototipo Unar a quattro elementi, identificò nella simmetria ottica la chiave per migliorare le prestazioni.
Il brevetto originale DRP 92015 del 25 marzo 1896 descriveva un obiettivo “Anastigmat” composto da sei lenti disposte in due gruppi identici attorno a un diaframma centrale. La genialità del design risiedeva nell’accoppiamento di lenti convesse e concave in vetro crown e flint, con superfici cementate per ridurre le riflessioni parassite. Ogni gruppo conteneva tre elementi: una lente positiva crown seguita da una doppietto crown-flint negativo, creando un sistema capace di correggere simultaneamente aberrazioni sferiche, coma e astigmatismo senza compromettere la luminosità.
Le prime versioni commerciali del 1897 offrivano un’apertura massima di f/4.5 – straordinaria per l’epoca – mantenendo una nitidezza uniforme dal centro ai bordi. Questo risultato fu ottenuto attraverso un’attenta selezione dei vetri ottici: il primo elemento utilizzava vetro borosilicate crown con indice di rifrazione 1.53, mentre le lenti negative impiegavano vetro flint denso (n=1.62) ad alto potere dispersivo. La formula matematica alla base del progetto, descritta da Rudolph nelle sue note, bilanciava le equazioni di Abbe per la correzione cromatica secondaria:
∑ϕiνi=0
dove ϕi rappresenta il potere diottrico di ciascun elemento e νi il numero di Abbe del vetro utilizzato.
L’adozione iniziale fu limitata alla fotografia di medio formato, con applicazioni particolari nelle fotocamere a lastre come la Zeiss Palmos. La complessità costruttiva – ben 11 superfici ottiche, di cui quattro cementate – rendeva la produzione estremamente costosa. Tuttavia, la superiorità ottica del Planar ne decretò il successo in ambito professionale, specialmente per ritratti e riproduzioni d’arte dove la fedeltà cromatica era essenziale.
Architettura Ottica del Planar
La struttura simmetrica del Planar rappresenta un caso studio di ottica geometrica applicata. Ogni gruppo ottico anteriore e posteriore è composto da tre elementi:
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Elemento frontale positivo in vetro crown (tipicamente SK16)
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Doppietto negativo composto da crown (BK7) e flint (F2)
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Elemento di raccordo in vetro pesante crown (LaK9)
Questa disposizione crea un sistema telecentrico dove i raggi luminosi attraversano il diaframma con angoli quasi paralleli, riducendo il vignettamento. La formula originale di Rudolph prevedeva curvature precise:
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Raggio di curvatura frontale: 72.4mm
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Spessore centrale del primo elemento: 4.2mm
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Distanza tra i gruppi: 38.6mm (a f/4.5)
L’evoluzione più significativa avvenne nel 1930 con l’introduzione del Planar f/2.8, reso possibile dall’utilizzo di nuovi vetri al lantano sviluppati da Zeiss. L’aggiunta di terre rare nei vetri ottici (LaK9 con n=1.72, ν=53.8) permise di aumentare la potenza diottrica senza incrementare le aberrazioni. La nuova configurazione ottica manteneva la simmetria ma introduceva un elemento asferico virtuale attraverso la combinazione di curvature sferiche ravvicinate.
La correzione delle distorsioni raggiungeva livelli senza precedenti – meno dello 0.5% a 40° di campo – grazie a un bilanciamento matematico tra le aberrazioni di terzo ordine. I diagrammi MTF (Modulation Transfer Function) delle versioni anni ’50 mostravano un contrasto superiore all’80% a 40 linee/mm già a piena apertura, prestazioni che molti obiettivi moderni faticano a eguagliare.
L’adozione di rivestimenti antiriflesso T nel 1935* migliorò ulteriormente il trasferimento del contrasto, riducendo i flare a meno del 0.2% rispetto alla luce incidente. Questa tecnologia, basata su strati multipli di fluoruro di magnesio depositati sotto vuoto, aumentò l’efficienza luminosa effettiva di oltre il 15%.
Evoluzione Tecnica e Modelli Storici
Il Planar 80mm f/2.8 per Hasselblad 1600F (1948) segnò l’ingresso nella fotografia professionale su medio formato. Con un disegno ottico ottimizzato per il formato 6×6 cm, questo modello introdusse diverse innovazioni:
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Diaframma a 10 lamelle per profilo circolare perfetto
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Meccanismo di presa diretta per la messa a precisa
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Barilotto in Ergal anodizzato per resistenza termica
Le varianti successive, come il Planar 55mm f/1.4 del 1961 per la Contarex, spostarono i limiti fisici della luminosità. Utilizzando vetri al torio (THM-53, n=1.88) nella doppietto negativo, Zeiss riuscì a raggiungere un’apertura f/1.4 mantenendo una correzione cromatica entro ±15μm sul piano focale.
L’era delle ottiche computerizzate portò al Planar T 50mm f/1.2 (1976)* con elementi asferici generati da macchine a controllo numerico. La lavorazione delle superfici asferiche, ottenuta attraverso tornitura diamantata a 5 assi, ridusse le aberrazioni sferiche residue del 40% rispetto alle versioni sferiche tradizionali.
L’applicazione in ambito spaziale produsse il Planar 50mm f/0.7 sviluppato per la NASA nel 1966. Questo mostro ottico, derivato da progetti per telescopi solari, utilizzava una configurazione iperasimmetrica con elementi in fluorite sintetica per controllare le aberrazioni a piena apertura. Con un peso di 2.4kg e una lunghezza di 150mm, rimane ancora oggi l’obiettivo più luminoso mai prodotto in serie.
Applicazioni Fotografiche e Cinematografiche
Nella fotografia 35mm, il Planar 50mm f/2 trovò applicazione iconica nelle Contax II degli anni ’30. La versione con attacco a baionetta T (Tessar) offriva una risoluzione di 200 linee/mm al centro già a f/4, superiore a molti obiettivi moderni. La costruzione meccanica con elica a doppia camma garantiva una precisione di messa a fuoco al micron.
L’era digitale ha visto il Planar adattarsi ai sensori full-frame con il modello Otus 55mm f/1.4 del 2013. Riprogettato per risolvere oltre 50 megapixel, questo obiettivo introduceva:
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Elementi a dispersione anomala (3 elementi)
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Gruppi galleggianti per correzione delle aberrazioni a tutte le distanze
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Rivestimenti Nano AR per soppressione del ghosting
In ambito cinematografico, il CP.2 50mm T/2.1 rappresenta l’evoluzione moderna per riprese 8K. Con una copertura di immagine da 46mm e tolleranze di centratura sotto i 2μm, queste ottiche mantengono il classico rendering Planar mentre soddisfano le esigenze del cinema digitale.
Analisi Comparativa con Altri Obiettivi
Il confronto tra Planar e Tessar rivela differenze fondamentali nell’approccio progettuale. Mentre il Tessar (1902) privilegiava compattezza e semplicità con quattro elementi, il Planar sacrificava le dimensioni per correzioni ottiche superiori. A parità di apertura (f/2.8), il Planar mostra:
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+15% di contrasto a 40 linee/mm
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-30% di distorsione a barilotto
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Maggiore uniformità di illuminazione ai bordi
Le varianti Sonnar (1932) superavano il Planar in luminosità (f/1.5 vs f/2) ma introducevano coma significativo alle aperture massime. Solo con l’avvento dei vetri ad alto indice negli anni ’60 il Planar riuscì a colmare questo gap mantenendo la correzione delle aberrazioni.
Nell’era moderna, gli obiettivi Double-Gauss derivati dal Planar (come il Canon EF 50mm f/1.2L) mantengono la struttura simmetrica ma sostituiscono elementi singoli con doppietti asferici. Le misurazioni interferometriche dimostrano che le versioni Zeiss moderne conservano un wavefront error inferiore a λ/4 a piena apertura, contro λ/2 dei concorrenti.