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Hassan Hajjaj

Hassan Hajjaj (nato nel 1961 a Larache, in Marocco) è un artista visivo e fotografo contemporaneo le cui opere rappresentano una sintesi tra cultura pop, moda, identità nordafricana e linguaggi globali della fotografia. Trasferitosi a Londra durante l’adolescenza, Hajjaj ha sviluppato un linguaggio ibrido, sospeso tra la fotografia di moda, la pubblicità e la tradizione artigianale marocchina, diventando uno dei protagonisti della fotografia contemporanea internazionale. La sua produzione unisce tecnica fotografica, scenografia e design in un universo visivo riconoscibile per l’uso di colori saturi, cornici decorative e citazioni della cultura di massa reinterpretate attraverso una prospettiva africana e diasporica.

L’artista vive e lavora tra Londra e Marrakech, e la sua opera si muove costantemente tra due mondi estetici: quello del Marocco vernacolare, con i suoi souk, i tessuti, le insegne e gli oggetti quotidiani, e quello urbano e multiculturale della Londra postcoloniale. La fotografia di Hajjaj è dunque un linguaggio di attraversamento, una riflessione visiva sui processi di ibridazione culturale e auto-rappresentazione, in cui la posa, il costume e l’allestimento scenico diventano strumenti di costruzione identitaria.

Fotografia e identità diasporica

Le prime sperimentazioni fotografiche di Hassan Hajjaj nascono negli anni Ottanta, in un periodo di grande fermento artistico londinese, influenzato dal punk, dalla street culture e dal nascente linguaggio della fotografia di moda indipendente. L’artista, autodidatta, si forma inizialmente come designer e decoratore, ma scopre progressivamente nella fotografia il mezzo ideale per sintetizzare il suo immaginario visivo.

Le sue prime immagini utilizzano materiali poveri e quotidiani — stoffe, teli plastificati, insegne, lattine, copertoni — come elementi scenografici, fondendo artigianato e composizione fotografica. Da subito, Hajjaj mostra un interesse per la messa in scena fotografica, un approccio che lo distingue dalla fotografia documentaria tradizionale. Invece di catturare la realtà, egli la costruisce teatralmente, mettendo in dialogo il linguaggio della moda occidentale con quello della cultura urbana marocchina.

Un esempio emblematico di questa poetica è la serie “Kesh Angels” (iniziata nel 2010), in cui giovani donne di Marrakech posano su motociclette vestite con djellaba colorate, occhiali da sole di marca e accessori pop, in un mix di moda, femminilità e ironia. Le immagini, scattate con fotocamere medio formato digitali ad alta risoluzione, sono caratterizzate da colori ipersaturi e inquadrature simmetriche, con una cura meticolosa nella disposizione degli elementi scenici. Ogni dettaglio — dalle bottiglie di Coca-Cola usate come decorazione, alle cornici realizzate con lattine riciclate — diventa parte integrante della composizione.

Tecnicamente, la fotografia di Hajjaj si distingue per l’uso calibrato della luce diffusa, che elimina le ombre dure e restituisce ai soggetti una superficie luminosa e uniforme. L’artista utilizza spesso luci continue a temperatura neutra, combinandole con pannelli riflettenti per ottenere un effetto visivo paragonabile alla luce pubblicitaria, ma privo della freddezza tipica del fashion mainstream. Questo uso della luce conferisce alle sue immagini una dimensione tattile e cromatica intensa, dove i colori non solo definiscono i contorni, ma costruiscono l’emozione stessa dell’immagine.

Il legame tra identità e tecnica emerge chiaramente nel suo approccio alla post-produzione digitale: Hajjaj evita eccessivi ritocchi o filtri estetizzanti, mantenendo visibile la testura dei tessuti e la fisicità dei volti. Questo equilibrio tra artificio scenico e realismo percettivo produce una tensione visiva che è cifra distintiva della sua poetica.

La fotografia diasporica di Hajjaj non è mai mera rappresentazione folklorica: è una critica visiva agli stereotipi coloniali, un ribaltamento del modo in cui l’Africa e il Medio Oriente sono stati rappresentati nella fotografia occidentale. L’artista sostituisce lo sguardo etnografico con uno sguardo auto-rappresentativo, trasformando i suoi soggetti in protagonisti glamour della propria storia.

Estetica pop e costruzione scenica

Il linguaggio visivo di Hassan Hajjaj nasce da una fusione di culture visive: la pubblicità occidentale, la grafica araba, la pittura su cartellone, la fotografia di moda e la cultura hip-hop. In questo senso, la sua fotografia si colloca in una dimensione interdisciplinare, dove ogni elemento visivo — colore, pattern, tipografia — diventa segno di appartenenza e resistenza.

Nelle sue composizioni, l’artista costruisce set fotografici come veri e propri teatri visivi. Ogni immagine è il risultato di una progettazione complessa, che include la selezione dei materiali, la disposizione degli oggetti, la scelta dei costumi e la definizione della cornice. Spesso, le cornici delle sue fotografie sono composte da oggetti trovati o materiali di consumo: lattine di Fanta, capsule di bottiglie, pacchetti di sigarette marocchine, barattoli di tè o di vernice. Queste cornici non sono semplici ornamenti, ma parte integrante dell’opera, poiché racchiudono il soggetto in un universo iconografico che riflette la circolazione globale delle merci e delle immagini.

L’estetica di Hajjaj si fonda su una tecnica fotografica mista, che unisce fotografia digitale, stampa su alluminio o tela e interventi pittorici o grafici. La scelta dei materiali di stampa è coerente con la volontà di creare immagini durature, ma anche visivamente tattili: l’alluminio amplifica la saturazione dei colori e conferisce brillantezza, mentre la tela restituisce una sensazione più pittorica e calda.

Dal punto di vista tecnico, l’artista predilige ottiche a corta focale (24–35 mm) per accentuare la profondità di campo e mantenere la vicinanza fisica tra soggetto e osservatore. Questo effetto immersivo è accentuato da un uso calibrato del colore complementare: il rosso e il verde, il giallo e il viola, dialogano per creare una vibrazione cromatica controllata, frutto di un attento bilanciamento dei canali RGB durante la fase di editing.

L’influenza della fotografia pubblicitaria e della grafica pop si riflette anche nella costruzione del soggetto. Hajjaj spesso invita amici, artisti o figure della comunità marocchina di Londra a posare per lui, trasformandoli in icone pop. L’atteggiamento dei modelli, le pose forti e frontali, la presenza dello sguardo diretto in camera: tutto concorre a produrre un effetto di empowerment visivo, in cui i protagonisti non sono oggetti estetici ma soggetti politici.

Le sue fotografie non sono mai improvvisate: l’artista impiega un approccio da direttore di scena, stabilendo in anticipo la composizione geometrica e la palette cromatica. Ogni immagine nasce da un progetto preciso, spesso disegnato su carta prima dello scatto. La gestione digitale del colore e la stampa su supporto metallico sono parti integranti del processo artistico, e non semplici fasi successive.

Opere principali e linguaggi ibridi

Tra le opere più note di Hassan Hajjaj, oltre alla già citata serie “Kesh Angels”, si trovano “My Rock Stars” (2012), “Dakini Dazzle” (2015) e “La Salle de Gym des Femmes Arabes” (2018). Ciascun progetto esplora una diversa declinazione del rapporto tra fotografia, cultura popolare e rappresentazione identitaria.

“My Rock Stars” è una serie di ritratti fotografici e video installativi che raffigurano musicisti, performer e creativi provenienti da contesti culturali differenti, spesso appartenenti alla diaspora africana e araba. Gli scatti sono caratterizzati da una composizione frontale, quasi iconica, e da cornici costruite con materiali di recupero. L’opera è pensata come un’ode visiva all’energia culturale meticcia, e la fotografia assume qui una funzione di archivio contemporaneo delle culture diasporiche.

Con “Dakini Dazzle”, Hajjaj esplora l’immaginario femminile in chiave mistica e simbolica, mescolando riferimenti alla moda marocchina, al design contemporaneo e alla spiritualità orientale. Le fotografie di questa serie utilizzano colori fluo e pattern geometrici derivati dalle decorazioni dei tappeti tradizionali, ma reinterpretati attraverso una sensibilità digitale. Dal punto di vista tecnico, la serie introduce l’uso della stampa UV su plexiglass, un supporto che permette di ottenere una superficie lucida e riflettente, enfatizzando la dimensione estetica del pop.

Nelle mostre personali, Hajjaj concepisce l’allestimento come installazione immersiva: le pareti sono rivestite con tessuti marocchini, tappeti, neon e stampe serigrafiche. L’obiettivo è proiettare lo spettatore dentro la fotografia, rendendolo parte integrante dello spazio visivo. In questo senso, l’artista trasforma la fotografia da immagine bidimensionale a spazio esperienziale, unendo tecniche di illuminazione ambientale e sound design.

Negli ultimi anni, Hajjaj ha lavorato anche con video ad alta definizione e ritratti in movimento, sperimentando con la fotografia ibrida e interattiva. Le sue opere, pur restando fedeli al linguaggio statico del ritratto, incorporano elementi di movimento e suono, espandendo la nozione stessa di fotografia. Questa evoluzione riflette la sua attenzione per le nuove tecnologie visive, ma sempre declinate attraverso un’estetica artigianale e cromaticamente controllata.

Le opere di Hassan Hajjaj sono esposte in istituzioni come il Victoria and Albert Museum di Londra, il Brooklyn Museum, il Los Angeles County Museum of Art (LACMA), il Smithsonian National Museum of African Art e il Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León (MUSAC).

Fonti

Curiosità Fotografiche

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