La nascita del tripletto Cooke risale al 1893 presso i laboratori di Thomas Cooke & Sons a York, Inghilterra, dove l’ingegnere H. Dennis Taylor brevettò la sua idea di un ottica a tre elementi capace di correggere simultaneamente le principali aberrazioni delle lenti sferiche. Taylor concepì una disposizione simmetrica in cui due elementi esterni, in vetro a bassa dispersività, accompagnano un elemento centrale realizzato in vetro con elevata dispersione cromatica. Tale schema risulta di grande efficacia nel compensare le aberrazioni cromatiche di primo e secondo ordine, oltre a intervenire sulla curvatura di campo e sull’aberrazione sferica.
L’embriologia del progetto del tripletto Cooke si inserisce in un contesto in cui la fotografia stava vivendo una rapida evoluzione tecnica. Le prime lenti di grande formato soffrivano di distorsioni significative e di forte aberrazione cromatica alle estremità del fotogramma. Il modello ideato da Taylor, grazie alla combinazione di un doppietto anastigmato – ovvero due elementi cementati con poteri diottrici opposti – e di una lente singola, permise di ottenere un’ottima nitidezza su ampio campo visivo, con una qualità dell’immagine sorprendentemente elevata per l’epoca.
Alla base del brevetto vi era la volontà di semplificare il più possibile il numero di elementi ottici, ridurre il costo di produzione e aumentare la trasmissione luminosa complessiva, minimizzando il numero di superfici rifrangenti. In questo modo si otteneva non solo un risparmio in peso e dimensioni, ma anche una diminuzione delle riflessioni interne che avrebbero potuto degradare il contrasto. Il tripletto Cooke si impose molto rapidamente sul mercato, trovando applicazioni in apparecchi fotografici da ritratto, in obiettivi per stampa e proiezione, fino agli ingranditori per sviluppo in camera oscura.
La forza innovativa del progetto risiede nella semplicità del design e nella capacità di adottare vetri diversi, adattando lo schema a lunghezze focali che variano da pochi centimetri fino a diverse decine di centimetri. Questo lo rese un punto di riferimento per numerosi produttori nel corso del XX secolo, che spesso realizzarono versioni derivate con miglioramenti specifici, come rivestimenti antiriflesso multicouche o vetri a bassa dispersione avanzata.
Thomas Cooke & Sons, rinomata officina di ottica fin dal 1837, trovò nel tripletto Cooke un successo commerciale che consolidò la propria posizione nel mercato globale. L’obiettivo fu adottato non solo per apparecchi fotografici, ma anche per sistemi di proiezione cinematografica e strumenti scientifici. Il tripletto Cooke venne così diffuso in ambito industriale e accademico, elevando lo standard qualitativo delle immagini e ponendo le basi per ulteriori evoluzioni ottiche.
Principio ottico e struttura elementare
Il tripletto Cooke si compone di tre elementi ottici disposti secondo uno schema simmetrico: il primo e il terzo elemento presentano curvature simili, condizione che garantisce la minimizzazione della distorsione geometrica, mentre il secondo, centrale, possiede spessori e raggi di curvatura distinti per bilanciare la correzione cromatica. L’elemento centrale, spesso più sottile, è realizzato in vetro flint ad alto indice di rifrazione, mentre gli elementi esterni sono in vetro crown a bassa dispersione. Questa combinazione crea un doppietto acromatico all’interno del quale le lunghezze d’onda divergenti vengono ricomposte, riducendo l’aberrazione cromatica laterale e mantenendo un elevato livello di nitidezza dal centro all’estremità del campo.
Dalla prospettiva ingegneristica, la configurazione ottica si basa su equazioni di refrazione e sulla distribuzione dei poteri diottrici (D) degli elementi. La somma dei poteri diottrici dei due elementi crown è bilanciata da quello del vetro flint in modo che l’energia cromatica complessiva resti minima. Le curvature delle superfici vengono calcolate in funzione della lunghezza focale desiderata (f), utilizzando relazioni di tipo Gauss e ottimizzate con metodi numerici. L’approccio di Taylor prevedeva un compromesso fra campo corretto – ovvero l’angolo entro cui l’immagine appare nitida –, luminosità (apertura massima F/), e complessità del profilo delle lenti.
Normativamente, le superfici vengono indicate come S1, S2, S3, S4, S5 e S6: S1 e S6 rappresentano le facce esterne dei due elementi crown, S2 e S5 le facce interne di questi elementi, e S3 e S4 rispettivamente la faccia di entrata e di uscita dell’elemento flint centrale. La distanza aria (thickness) tra gli elementi può variare leggermente, ma solitamente si mantiene minima per ridurre le aberrazioni di rifrangenza all’interfaccia.
Dal punto di vista della costruzione, ogni lente viene sagomata mediante torni ottici di precisione, in grado di raggiungere tolleranze di curvatura entro ±0,005 mm. Successivamente, le superfici vengono sottoposte a lucidatura ultrafine fino a ottenere una rugosità inferiore a 1 nm Ra, condizione indispensabile per applicare efficaci rivestimenti antiriflesso e per garantire una trasmissione luminosa superiore al 99% per superficie. La corretta centratura degli elementi è ottenuta mediante pinze di centraggio, che mantengono l’allineamento entro un decimo di grado, evitando l’introduzione di astigmatismo o tilt di campo.
Funzionamento e correzione delle aberrazioni
Il tripletto Cooke eccelle nel correggere una gamma completa di aberrazioni ottiche grazie alla sinergia fra il doppietto crown–flint e l’elemento singolo. L’aberrazione sferica viene mitigata scegliendo curvature delle superfici in modo che i raggi periferici vengano focalizzati in prossimità del piano focale ottimale, riducendo l’effetto di “cuore di gauss” tipico delle singole lenti. La presenza del doppietto controlla anche l’aberrazione cromatica assiale, mantenendo i diversi colori focalizzati a minime distanze tra loro, mentre l’aberrazione cromatica laterale viene ridotta grazie all’azione correttiva del vetro flint.
Il design simmetrico aiuta a contenere la distorsione a barilotto e a cuscinetto: i poteri diottrici degli elementi esterni sono bilanciati, generando un campo relativamente privo di deformazioni geometriche. In parallelo, la curvatura di campo è controllata mediante l’angolazione delle superfici interne del doppietto, ottenendo un piano focale sufficientemente piatto da garantire nitidezza uniforme su formati fino al grande formato.
Una particolare attenzione viene riservata all’illuminazione periferica (vignetting). La separazione minima tra elementi limita l’ombreggiatura periferica, mentre un sistema di paraluce metallico, avvitato sulla parte frontale, offre protezione dalle luci parassite e migliora il contrasto. Nei modelli più avanzati si utilizzano rivestimenti multicouche a bassa riflessione (AR coating), che riducono le riflessioni interne e aumentano la trasmissione luminosa complessiva fino a oltre il 98% per l’intero obiettivo.
L’apertura del diaframma, posta tra il primo e il secondo elemento del tripletto nel progetto originale, ha un ruolo cruciale nel controllare la profondità di campo e la nitidezza complessiva. Diaframmi a lamelle multiple (5–8 lamelle) offrono un’apertura circolare avvicinandosi a strutture di difrazione più regolari, e consentono di modulare la nitidezza senza introdurre difetti di diffrazione eccessivi. Spesso, l’apertura minima è calibrata in modo da massimizzare il contrasto e la resa dei dettagli sulla pellicola o sul sensore, mantenendo al contempo un adeguato smorzamento delle aberrazioni periferiche.
Materiali e tecniche di fabbricazione
La realizzazione di un tripletto Cooke richiede l’utilizzo di vetri ottici di elevata qualità, variabili in funzione delle esigenze di dispersione e di trasmissione. Il vetro crown impiegato per gli elementi esterni presenta un indice di rifrazione di circa n = 1,516 a λ = 587,6 nm (riga d’Elio), mentre il vetro flint per l’elemento centrale può arrivare a n = 1,620–1,640. I produttori moderni offrono versioni con vetri ED (Extra-low Dispersion) che permettono di ridurre ulteriormente l’aberrazione cromatica, pur mantenendo lo schema originale a tre elementi.
Ogni singolo vetro viene fornito in barre o dischi grezzi, tagliati mediante seghe a filo diamantato e poi sagomati con torni CNC per approssimare la sagoma. La fase successiva, di rettifica, impiega mole diamantate per avvicinarsi alle curvature finali con tolleranze di ±0,01 mm. Il processo di lucidatura utilizza paste a base di ossido di cerio o di allumina, con macchine planetarie a vibrazione controllata che garantiscono rugosità superficiale < 1 nm Ra.
La centratura, fase critica per il buon funzionamento dell’ottica, viene effettuata manualmente con strumenti di misura ottica diretta, come intersezioni di reticoli proiettati nel fascio di luce, oppure con sistemi di autocollimazione laser. Gli elementi vengono fissati in un montaggio provvisorio, testati per aberrazione residua e poi bloccati in posizione definitiva con resine UV-curing, in grado di garantire stabilità dimensionale anche in presenza di sbalzi termici.
Per la realizzazione dei rivestimenti antiriflesso, le lenti passano in camere a vuoto dove, tramite evaporazione termica o sputtering, vengono depositati strati di ossidi metallici alternati (ossido di silicio, ossido di zirconio, ossido di titanio) con spessore calibrato a qualche decina di nanometri. Questa stratificazione interferenziale riduce drasticamente le riflessioni superficiali, migliorando resa luminosa e contrasto complessivo.
Il supporto meccanico prevede un barilotto in ottone tornito o in alluminio pressofuso, lavorato con macchine a controllo numerico per ottenere filettature di precisione e sedi di centraggio con tolleranze inferiori a ±0,02 mm. I componenti meccanici (ghiere di messa a fuoco, supporti diaframma, paraluce) sono spesso anodizzati o rivestiti in PVD per aumentare la resistenza all’usura e all’ossidazione.
Varianti e evoluzioni del design
Il successo del tripletto Cooke diede impulso a numerose varianti e adattamenti. Alcuni costruttori, ad esempio, aumentarono la lunghezza del barilotto tra il doppietto e l’elemento singolo per ottenete un migliore controllo della curvatura di campo, mentre altri sperimentarono vetri a indice variabile per affinare ulteriormente la correzione cromatica. Negli anni Venti e Trenta, versioni cinematografiche del tripletto furono adottate nei primi proiettori 35 mm, ricavando in miniatura uno schema che coniugava compattezza e luminosità.
Con l’avvento del grande formato digitale, si è assistito a un revival del tripletto Cooke in obiettivi per fotocamere a medio e grande formato, dove la ricchezza di dettagli e la resa cromatica sono elementi cruciali. Alcuni laboratori specializzati hanno riportato in produzione edizioni limitate con rivestimenti multicouche di ultima generazione, capaci di ottimizzare la trasmissione su tutto lo spettro visibile e in UV/IR.
L’introduzione di vetri a indice ultra-alto e di lenti a superficie libera ha permesso di mantenere inalterato lo schema a tre elementi, migliorando la correzione delle aberrazioni senza aggiungere complessità. Queste tecnologie moderne consentono di ridurre gli spessori della lente centrale, diminuendo i riflessi interni e aumentando la luminosità complessiva fino a F/1.8 pur restando su uno schema di base simile a quello del 1893.
Numerosi ottici contemporanei propongono “retrofocus triplet” ispirati al Cooke, in cui la distanza dal piano focale è estesa grazie a un elemento intermedio aggiuntivo, pur mantenendo la semplicità del design. In applicazioni scientifiche, la robustezza e la prevedibilità del tripletto ne hanno favorito l’impiego in cappe micro- e telescopiche, dove vengono utilizzati come obiettivi di collimazione o come lenti di proiezione.
Applicazioni nelle fotocamere storiche e moderne
La versatilità del tripletto Cooke lo rese uno degli obiettivi più diffusi in apparecchi di rango professionale e amatoriale. Nelle fotocamere di grande formato dell’inizio Novecento, il tripletto era spesso l’unica lente offerta in kit per chi iniziava a muovere i primi passi nella fotografia di paesaggio, grazie al rapporto qualità–prezzo particolarmente favorevole e alla semplicità di manutenzione. Con il progredire della tecnica, molti costruttori di medio formato adottarono il tripletto Cooke come lente base per servizi di architettura e documentazione industriale, merito della sua resa su pellicole a grana fine e della capacità di mantenere bassi livelli di distorsione.
Con l’avvento del digitale, l’impiego del tripletto si è talvolta ridotto per lasciare spazio a obiettivi asferici più complessi, ma alcune case di nicchia hanno continuato a proporlo per chi cerca un’immagine “vintage” con tonalità morbide e vignettatura controllata. Gli utenti delle fotocamere mirrorless full-frame possono oggi montare triplette Cooke classiche mediante adattatori, sfruttando la resa caratteristica di quest’ottica su sensori ad alta risoluzione.
In campo cinematografico, il tripletto trovò larga adozione nei primi proiettori e cineprese 16 mm e Super 8, grazie alla sua compattezza e alla buona luminosità. Alcuni produttori di obiettivi cine continuano a offrire versioni “Cooke style” per rig cinematografici, dove la riproduzione tonale e la resa delle alte luci sono ancora criteri fondamentali.
Nel contesto scientifico e medico, il tripletto Cooke viene impiegato come lente di proiezione in microscopi didattici e in apparecchiature di analisi delle lastre radiografiche, dove l’elevata trasmissione luminosa e la bassa distorsione sono requisiti imprescindibili.
Montaggio e integrazione nel sistema ottico
L’integrazione del tripletto Cooke in un sistema ottico più ampio richiede attenzione sia alla distanza flange-sensor sia all’allineamento meccanico. La lunghezza retrofocale deve essere calibrata sul corpo macchina per garantire un corretto piano focale e una messa a fuoco a infinito precisa. In genere, le fotocamere di grande e medio formato impiegano otturatori a tendina esterni, mentre nelle fotocamere compatte l’obiettivo viene montato su otturatori centralizzati con meccanismi sincronizzati al flash.
Il barilotto esterno, spesso in metallo tornito, deve prevedere sedi di centraggio per le lenti e guarnizioni leggere per mantenere l’allineamento in presenza di vibrazioni o sbalzi termici. L’assemblaggio avviene in ambienti con controllo di umidità e temperatura, per evitare dilatazioni che possano compromettere la centratura. Un dispositivo di verifica finale, basato su stelle reticolari e target di MTF (Modulation Transfer Function), consente di valutare le prestazioni reali del montaggio e di correggere eventuali tilt o decentramenti.
Talvolta, per ridurre ulteriormente la vignettatura, si ricorre a distanziali in ottone o in alluminio tornito con precisione di ±0,01 mm, aggiunti tra l’elemento frontale e il paraluce. L’uso di anelli adattatori con flange calibrate permette di montare il tripletto su sistemi digitali mirrorless, pur mantenendo la corretta distanza di lavoro.
Manutenzione e taratura del tripletto Cooke
Il mantenimento delle performance di un tripletto Cooke richiede una pulizia periodica delle superfici ottiche, preferibilmente eseguita con aria secca e pennelli a setole morbide, seguita da tamponi in microfibra e solventi a bassa evaporazione per rimuovere grassi e polvere. I rivestimenti multicouche richiedono cure delicate per non compromettere lo strato antiriflesso.
Ogni due anni è consigliato eseguire una verifica di centratura utilizzando un banco ottico con sorgente collimata. Eventuali decentramenti possono essere corretti mediante microregolazioni meccaniche del barilotto o attraverso l’uso di spessori calibrati. In caso di danneggiamento delle guarnizioni o di infiltrazioni di umidità, il tripletto deve essere disassemblato da tecnici specializzati, che procederanno alla sostituzione delle guarnizioni e alla riaffilatura delle bordature.
La taratura del diaframma, soprattutto su modelli antichi, può richiedere la sostituzione delle molle e la regolazione del gioco delle lamelle. Un’apertura non uniforme introduce variazioni di nitidezza e vignettatura non desiderate. L’uso di un apposito misuratore di diaframmi a decade permette di verificare la correttezza del taglio e di ripristinare la sequenza degli stop.
Anche la calibrazione della messa a fuoco va controllata: usando un target ad angolo retto e misurando la distanza reale tra target e fotocamera, si verifica la coincidenza con le indicazioni della ghiera. Piccole differenze possono essere eliminate regolando la posizione del gruppo ottico centrale all’interno del barilotto.