Carl Sofus Lumholtz (Fåberg, Norvegia, 23 aprile 1851 – Saranac Lake, Stati Uniti, 5 maggio 1922) fu un naturalista, etnografo ed esploratore norvegese, noto per le sue ricerche in Australia, Messico e Borneo, dove combinò osservazione diretta, raccolta di manufatti e fotografia etnografica. La sua opera rappresenta un momento chiave nella storia della documentazione visiva e scientifica delle popolazioni indigene, grazie all’uso sistematico della fotografia come strumento di analisi culturale.
Formazione e primi interessi scientifici
Nato a Fåberg, in Norvegia, nel 1851, Lumholtz si formò inizialmente in ambito teologico presso l’Università di Cristiania (oggi Oslo), ma presto dirottò i suoi interessi verso le scienze naturali. Il suo spirito curioso e l’attenzione per la classificazione dei fenomeni naturali lo avvicinarono agli ambienti internazionali della ricerca antropologica ed etnografica. Negli anni Settanta dell’Ottocento maturò l’idea che lo studio delle popolazioni indigene dovesse essere condotto sul campo, con un approccio diretto e una documentazione che andasse oltre la sola parola scritta.
La sua formazione fu caratterizzata da un’attenzione costante alla precisione tecnica. Apprese le basi della fotografia scientifica e si interessò agli strumenti ottici, convinto che solo attraverso immagini oggettive fosse possibile fornire una rappresentazione accurata delle culture lontane. Questa impostazione metodologica lo distinse da altri esploratori coevi, che spesso si limitavano a descrizioni impressionistiche o a collezionare oggetti senza un vero apparato visivo di supporto.
Il primo grande campo di attività fu l’Australia, dove si recò nel 1880. Qui trascorse diversi anni studiando le popolazioni aborigene, in particolare nel Queensland e nel Territorio del Nord. L’approccio di Lumholtz fu innovativo: non si accontentò di raccogliere oggetti o di descrivere usi e costumi, ma si immerse nella vita quotidiana delle comunità, imparando le lingue locali e partecipando alle attività collettive. Questo gli consentì di produrre non solo resoconti scritti dettagliati, ma anche una vasta documentazione fotografica che testimoniava gesti, posture, ornamenti e contesti abitativi.
Dal punto di vista tecnico, Lumholtz utilizzava apparecchi a lastra fotografica, spesso con emulsioni alla gelatina secca, che garantivano una maggiore praticità nei climi caldi e umidi. La sua attenzione alla qualità delle immagini emerge nei ritratti, realizzati con cura compositiva e spesso accompagnati da note dettagliate sulle condizioni di scatto e sui soggetti ripresi. Queste fotografie non erano intese come illustrazioni artistiche, ma come documenti scientifici da inserire in un corpus comparativo più ampio.
L’esperienza australiana e la fotografia degli aborigeni
Il periodo trascorso in Australia, tra il 1880 e il 1884, rappresenta la prima grande impresa etnografica di Lumholtz. In un’epoca in cui le popolazioni aborigene venivano spesso rappresentate in modo stereotipato o spettacolare, egli cercò di offrire una visione più analitica e sistematica, basata sulla convivenza e sull’osservazione diretta.
Le sue fotografie mostrano uomini, donne e bambini in pose studiate, talvolta in ritratti individuali, talvolta in gruppi familiari. L’uso della fotografia come strumento di classificazione si intrecciava con la volontà di registrare i segni corporei distintivi, come tatuaggi, scarificazioni, ornamenti e acconciature. In molte immagini, i soggetti sono ritratti frontalmente e di profilo, secondo i criteri dell’antropologia fisica, ma emergono anche scatti che documentano attività quotidiane come la caccia, la raccolta di alimenti o la costruzione di rifugi.
Dal punto di vista tecnico, Lumholtz dovette affrontare sfide significative: la luce intensa del continente australiano imponeva un controllo attento dei tempi di esposizione e dell’uso dei diaframmi. Egli riuscì a padroneggiare queste difficoltà, ottenendo immagini nitide e ben contrastate, che ancora oggi costituiscono una delle fonti fotografiche più importanti sulla vita degli aborigeni di fine Ottocento.
Il materiale raccolto in Australia confluirà nella sua prima grande pubblicazione, Among Cannibals (Londra, 1889), un volume che univa testo e immagini e che segnò un punto di svolta nella rappresentazione scientifica delle popolazioni indigene australiane. Le fotografie non erano più meri ornamenti editoriali, ma parte integrante dell’argomentazione etnografica.
Le spedizioni in Messico e l’antropologia visiva delle popolazioni indigene
Terminata l’esperienza australiana, Lumholtz rivolse la sua attenzione al Messico, dove intraprese diverse spedizioni tra il 1890 e il 1910, sostenute anche dal American Museum of Natural History di New York. In particolare, si dedicò allo studio dei Tarahumara, dei Huichol, dei Cora e dei Tepehuan, popolazioni indigene della Sierra Madre occidentale.
L’approccio adottato fu ancora una volta quello dell’immersione sul campo. Lumholtz visse per lunghi periodi accanto alle comunità indigene, partecipando ai rituali e osservando da vicino le pratiche agricole, artigianali e religiose. Le sue fotografie documentano con straordinaria precisione i riti sciamanici, le danze cerimoniali, le architetture vernacolari e i dettagli dell’abbigliamento tradizionale.
Dal punto di vista tecnico, in Messico Lumholtz ebbe accesso a materiali più moderni, come lastre ortocromatiche e obiettivi più luminosi, che gli consentivano di lavorare in condizioni di luce variabile. Alcune immagini furono realizzate con l’ausilio di flash a polvere di magnesio, tecnica allora in voga per le riprese in interni poco illuminati. Questo gli permise di documentare cerimonie notturne e ambienti chiusi, ampliando il repertorio fotografico rispetto all’esperienza australiana.
La pubblicazione Unknown Mexico (1902) rappresenta il culmine di questa fase. Il testo, ricco di illustrazioni fotografiche, offriva per la prima volta al pubblico europeo e statunitense una descrizione sistematica delle popolazioni indigene messicane. Le fotografie di Lumholtz, inserite nel volume, avevano una funzione documentaria primaria, accompagnando le descrizioni e costituendo prove visive delle pratiche narrate.
Queste spedizioni contribuirono a consolidare l’uso della fotografia etnografica come fonte scientifica, mostrando come le immagini potessero essere organizzate in serie coerenti e interpretate come dati al pari dei reperti materiali o delle testimonianze scritte.
Ultime esplorazioni, pubblicazioni e influenza scientifica
Negli anni successivi, Lumholtz intraprese nuove spedizioni, tra cui una nel Borneo (1914–1915), dove si concentrò sulle popolazioni del Kalimantan. Anche in questo contesto fece largo uso della fotografia, adattandosi a condizioni climatiche difficili e sfruttando attrezzature leggere. Le immagini raccolte in Borneo testimoniano ancora una volta la sua attenzione ai dettagli della vita quotidiana, più che agli aspetti spettacolari o pittoreschi.
Parallelamente, continuò a pubblicare i risultati delle sue ricerche. I suoi libri ebbero un ampio successo, poiché univano rigore scientifico a uno stile narrativo capace di attrarre il grande pubblico. Questa capacità di comunicare fece di Lumholtz una figura di spicco nel panorama etnografico internazionale, al pari di altri esploratori-fotografi come Lamberto Loria o Félix-Louis Regnault.
La sua influenza si esercitò soprattutto nell’ambito dell’antropologia visiva. Sebbene non elaborasse una teoria esplicita del ruolo della fotografia in etnografia, la sua pratica dimostrava come le immagini potessero essere utilizzate non solo per illustrare, ma per analizzare e classificare fenomeni culturali. I suoi archivi fotografici, oggi conservati in gran parte presso il Museum of Natural History di New York e in istituzioni norvegesi, rappresentano un patrimonio di straordinaria importanza per la storia della fotografia etnografica.
Carl Lumholtz morì nel 1922 a Saranac Lake, negli Stati Uniti, lasciando un’eredità che ancora oggi viene studiata tanto dagli storici della fotografia quanto dagli antropologi. La sua vita e le sue opere testimoniano la centralità della fotografia come strumento scientifico nell’etnografia a cavallo tra XIX e XX secolo.

Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.