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La macchina fotograficaFotocamere pinhole (stenopeiche)

Fotocamere pinhole (stenopeiche)

La fotocamera pinhole—o stenopeica—è l’essenza della fotografia ridotta al minimo indispensabile: una camera oscura perfettamente a tenuta di luce, con una sola apertura di diametro micrometrico al posto dell’obiettivo. Da quella minuscola apertura, detta pinhole, i raggi luminosi provenienti da ogni punto della scena entrano rettilineamente e proiettano sul lato opposto una immagine capovolta; se su quel piano si dispone materiale fotosensibile o un sensore, l’immagine si registra senza l’intervento di lenti, gruppi ottici o sistemi di messa a fuoco. In termini ottici, il pinhole agisce come restrizione spaziale che seleziona un sottoinsieme di raggi “già collimati” verso ciascun punto del piano immagine, offrendo assenza di distorsione geometrica, profondità di campo prossima all’infinito e un carattere tonale che molti descrivono come morbido, diffuso, quasi pittorico. La camera obscura in senso lato—stanza buia o scatola con un foro—è documentata dall’antichità e ha preceduto di secoli l’invenzione dei processi fotosensibili; nel lessico moderno, “pinhole” indica proprio la variante senza lente, mentre “camera obscura” può includere anche l’uso di lenti e specchi per raddrizzare e schiarire l’immagine. [en.wikipedia.org]

La centralità delle pinhole nella storia della fotografia è duplice. Da un lato rappresentano il paradigma originario di ogni macchina fotografica—una camera con un’apertura controllata—prima che si aggiungessero diaframmi, otturatori e obiettivi; dall’altro costituiscono ancora oggi un laboratorio didattico insostituibile per comprendere ottica geometrica e fisica della diffrazione, legge di reciprocità ed esposizioni lunghe. Le pinhole permettono inoltre angoli di campo estremi oltre i 90°, difficili da ottenere senza aberrazioni con ottiche tradizionali, e liberano da aberrazioni di terzo ordine tipiche dei sistemi rifrattivi, a costo però di una nitidezza limitata dalla diffrazione. Queste proprietà “ascetiche” riaffiorano periodicamente, anche in epoche dominate dalla tecnologia, come antidoto creativo alla perfezione clinica delle ottiche moderne. [archive.org]

Sul piano quantitativo, l’operatività ruota intorno a tre grandezze: distanza foro–piano immagine (che funge da lunghezza focale equivalente), diametro del pinhole e lunghezza d’onda d’illuminazione. Il rapporto tra distanza e diametro definisce il numero f (N = f/d), che nelle pinhole è molto elevato—f/150, f/200, f/300 e oltre—con implicazioni dirette sui tempi di posa spesso nell’ordine di secondi o minuti. In assoluto, la migliore nitidezza si ottiene quando il diametro del foro equilibra due effetti antagonisti: sfocatura geometrica (che richiederebbe un foro più piccolo) e diffrazione (che richiederebbe il contrario). La classica stima di Lord Rayleigh porta alla formula d ≈ 1,9 √(λ f), con λ attorno a 0,55 μm per la luce verde; l’ottimo pratico varia con la qualità e lo spessore del materiale forante e con la scala del soggetto. Nella pratica contemporanea si trovano costanti comprese tra 1,5 e 1,9, con differenze percepibili ma non drammatiche sul carattere dell’immagine. [tomroelandts.com], [photo.stac…change.com], [alternativ…graphy.com]

Le pinhole sono importanti anche perché mettono in evidenza i fondamenti percettivi della visione fotografica. Non essendoci mirini ottici sofisticati, comporre significa spesso pre-visualizzare a mente campo e prospettiva sapendo che tutto sarà accettabilmente a fuoco ma nulla perfettamente incisa. L’assenza di bokeh e l’uniformità di resa dall’infinito alla distanza minima restituiscono la scena con un “tempo dilatato” dalle pose lunghe, rendendo le scie di nuvole o acqua setosa componenti strutturali dell’immagine. Questo ritorno all’essenziale spiega perché, dal rinascimento alla riscoperta nel XX secolo, la tecnologia stenopeica attraversi inalterata i secoli, oggi celebrata ogni anno nel Worldwide Pinhole Photography Day, l’ultima domenica di aprile. [britannica.com], [pinholeday.org]

Origini storiche

L’osservazione del fenomeno camera obscura nasce ben prima della fotografia. Le fonti citano riferimenti in Mozi (V secolo a.C.) e nell’Aristotele dei Problemata, che documentano l’immagine solare proiettata attraverso piccole aperture—le “macchie di luce circolari” filtrate dal fogliame durante le eclissi—intuendo la propagazione rettilinea della luce. Questi rilievi empirici trovarono una trattazione sistematica nel mondo islamico con Ibn al‑Haytham (Alhazen, 965–1040), che nel Kitāb al‑Manāẓir (Libro di Ottica, 1012–1021) descrisse esperimenti di camera oscura per dimostrare che la luce entra nell’occhio dall’esterno e viaggia in linee rette, formalizzando osservazioni sull’immagine a mezzaluna del Sole durante un’eclissi che attraversa un pinhole. Tale corpus pose le basi per l’ottica sperimentale successiva. [en.wikipedia.org], [historyofi…mation.com]

Nel Rinascimento, la camera oscura divenne ausilio al disegno e strumento di studio per la prospettiva. Leonardo da Vinci ne lasciò ampie descrizioni, mentre nel XVI secolo l’italiano Giambattista della Porta (1535?–1615) pubblicò in 1558 la prima edizione della Magia Naturalis, con istruzioni sull’uso di lenti per aumentare luminosità e definizione delle immagini proiettate e con analogie tra occhio umano e camera oscura. Le sue dimostrazioni, spesso spettacolari, contribuirono a diffondere la pratica tra artisti e studiosi. Nel 1604, Johannes Kepler consolidò la terminologia introducendo l’espressione “camera obscura” per descrivere l’apparato con cui osservava fenomeni solari e studiava l’ottica dell’occhio. Così, dal lessico alla pratica, l’idea di una stanza buia con un foro—o con una lente—fu normalizzata e portata nel bagaglio tecnico degli europei. [britannica.com], [en.wikipedia.org], [archive.org]

Con l’arrivo dell’immagine fissata nei primi decenni dell’Ottocento—Niépce e Daguerre—la camera oscura si trasformò in camera fotografica. L’uso di obiettivi prevaleva, ma la fotografia “senza lenti” fu presto teorizzata. Nel 1856 lo scozzese David Brewster pubblicò The Stereoscope, contenente la prima descrizione nota di pinhole photography come “camera senza lenti, con un solo pin-hole”, aprendo la via a sperimentazioni di William Crookes e W. de W. Abney. La tecnica rimase di nicchia durante la corsa alle ottiche più luminose e corrette, ma riaffiorò periodicamente in contesti scientifici (dove servivano profondità di campo enormi o spettri non rifrattabili, come i raggi X) e artistici (pittorialismo, avanguardie). [en.wikipedia.org], [britannica.com]

Nel Novecento, con la democratizzazione dei materiali e della stampa, le pinhole guadagnarono un ruolo pedagogico nelle scuole e nei circoli fotografici, perché consentivano di costruire l’apparecchio con mezzi modesti—da una scatola di scarpe a un barattolo—e di comprendere esposizione, contrasto, reciprocità e latitudine delle emulsioni. Il tardo XX secolo vide la rinascita della cultura stenopeica: pubblicazioni specialistiche, pinhole laser‑cut, camerette commerciali e l’istituzione, nel 2001, del Worldwide Pinhole Photography Day, che codifica una ricorrenza globale dedicata alla pratica. Oggi, in parallelo al digitale, la pinhole sopravvive come scelta consapevole di linguaggio, spazio di sperimentazione e memoria storica dell’atto fotografico. [alternativ…graphy.com], [pinholeday.org]

Evoluzione tecnologica

Dal punto di vista tecnico, l’evoluzione delle pinhole ha ruotato attorno a tre linee: materiali e microfabbricazione del foro, geometria della camera e controllo dell’esposizione. La qualità del foro è cruciale: idealmente dev’essere circolare, sottilissimo nel bordo e praticato su supporto a basso spessore per ridurre il cammino ottico obliquo; un foro “sfilacciato” introduce aberrazione geometrica e vignettatura angolare. Dalla punzonatura manuale su lamierino si è passati a incisione chimica ed ablazione laser, con set commerciali di pinhole laser‑drilled in passi da 50 μm che garantiscono rotondità e ripetibilità. In letteratura tecnica, il bilanciamento tra blur geometrico e diffrazione culmina nel criterio di Rayleigh; a seconda dei materiali e dello spessore (che agisce come tubo), alcuni autori adottano costanti diverse, motivo delle discrete variazioni tra 1,5 e 1,9 nella formula d = c √(λ f). [alternativ…graphy.com], [photo.stac…change.com]

La geometria della camera condiziona copertura e uniformità di illuminazione. Una scatola profonda rispetto al lato del piano immagine offre vignettatura contenuta ma angolo di campo minore; per costruire pinhole grandangolari si accorcia la distanza foro–piano, portando il numero f su valori elevatissimi (f/200–f/300 o oltre) e accettando caduta radiale dovuta alla legge del cos^4 e all’assorbimento del camino obliquo, mitigabile con interni neri opachi e vernici a bassa riflessione. La resa al margine dipende anche dal rapporto tra spessore del supporto e diametro: un rapporto spessore/diametro troppo grande compromette i raggi obliqui, creando vignettatura meccanica; da qui la preferenza per foil sottili. La copertura oltre 90° di semidiagonale—impraticabile senza distorsioni con molte ottiche—è una firma estetica della pinhole, con prospettive amplissime e linee dritte rese senza distorsione a barilotto. [archive.org]

Sul fronte esposizione, l’assenza di diaframma variabile e otturatore rende la stima dei tempi un esercizio di calcolo. Con N fisso, si misura l’EV o si usa una lettura a f/22 su un esposimetro, convertendo per il salto di stop fino al proprio f‑number (ad es. f/250 è circa 5 ¹/₃ stop oltre f/22, ma in realtà la conversione corretta si fa con il quadrato del rapporto degli f‑number). A complicare il quadro interviene la reciprocity failure delle emulsioni: per esposizioni oltre il secondo, molte pellicole richiedono correzioni additive non lineari; alcune (es. le moderne Acros) mostrano tenuta migliore, altre (es. Tri‑X) richiedono aumenti consistenti e manifestano shift cromatici su emulsioni colore. Strategie operative includono tabelle di compensazione, prove empiriche e l’uso di carta fotografica come negativo (ISO effettiva molto bassa, ma reciprocità più prevedibile su minuti). [pinhole.cz], [nancybreslin.com], [lomography.com]

Infine, la famiglia delle aperture alternative ha introdotto dispositivi di diffrattiva eleganza quali la zone plate (o piastra di Fresnel), composta da anelli concentrici opachi/trasparenti calibrati per interferenza costruttiva al fuoco: è più luminosa di un pinhole equivalente e produce una caratteristica gloria attorno alle alte luci, con più fuochi assiali nelle versioni binarie e fuoco unico in quelle sinusoidali. Esistono anche pinhole sieve (reticoli di microfori) e photon sieve. Queste soluzioni non sostituiscono il pinhole classico, ma ne allargano il linguaggio, mostrando come la diffrazione possa diventare struttura espressiva e non solo limite. [en.wikipedia.org], [oreilly.com]

Caratteristiche principali

La prima caratteristica distintiva è l’infinita profondità di campo: non operando focalizzazione per rifrazione, la pinhole rende contemporaneamente nitidi soggetti a qualsiasi distanza entro i limiti della circonferenza di confusione imposta dal diametro del foro e dalla diffrazione. Non c’è piano di fuoco come nelle ottiche classiche, ma una nitidezza “di compromesso” che dipende da N e dalla dimensione del supporto: su formati grandi la percezione di dettaglio aumenta, mentre su piccoli sensori si evidenzia la granulosità o il rumore dovuto ai tempi lunghi e alle alte sensibilità. La risoluzione teorica è descrivibile considerando l’impronta diffrattiva (prima corona dell’Airy prodotta dal foro) e la sfocatura geometrica: l’ottimo si vieta di diametri troppo piccoli che dilatano il disco di diffrazione, e troppo grandi che ampliano la proiezione del foro. Da ciò discende il noto compromesso di Rayleigh: d ≈ 1,9 √(λ f), con la nitidezza massima che resta comunque inferiore a quella di una buona lente, ma sufficientemente elevata per stampe di dimensione moderata e per estetiche che valorizzano microcontrasto e resa tonale. [tomroelandts.com], [atelier.bonryu.com]

La seconda riguarda l’esposizione. Con N dell’ordine di centinaia, l’illuminazione al piano immagine è estremamente bassa; questo conduce a tempi lunghi, che incidono sul movimento convertendolo in materia visiva. Un corso d’acqua diventa vapore setoso, le folate modellano i cieli, le persone si dissolvono in apparizioni. Il fotografo stenopeico “scrive” col tempo integrato, non con l’istante. Ma tempi lunghi implicano gestione accurata della reciprocità: superata la frazione di secondo, molte pellicole “perdono sensibilità” e la posa reale deve essere prolungata secondo curve fornite dai costruttori o tabelle empiriche. L’uso di filtri ND è raramente necessario, mentre strumenti come otturatori a lamella sono sostituiti da sportellini magnetici o copri‑foro con cui il fotografo dosa l’apertura. Sulle emulsioni colore, le lunghe pose possono introdurre shift cromatici dovuti a differenti risposte delle tre strisce, fenomeno meno pronunciato nelle B/N moderne. [pinhole.cz], [lomography.com]

La terza è l’assoluta assenza di distorsione: senza lenti, rette restano rette, e lo schema prospettico dipende solo dall’angolo di campo e dall’orientamento del piano immagine. Ne derivano architetture senza la tipica “pancia” del barilotto o il cuscinetto delle ottiche cattive, e paesaggi con orizzonti impeccabili; l’eventuale “esotismo” percettivo nasce dall’ampiezza estrema del campo, non da distorsioni. In corrispondenza, però, cresce la caduta di luce fuori asse, perfettamente prevedibile e spesso integrata come cifra espressiva. [archive.org]

Infine, il rapporto segnale/rumore e la granulometria assumono una valenza estetica. Con pellicole a bassa sensibilità (ISO 6–25 su carta o plan‑film) si ottengono tonalità dense e grana fine a costo di pose più lunghe; con pellicole veloci (ISO 400) si riducono i tempi ma crescono granulosità e rischi di reciprocity failure più marcata. In digitale, l’uso del pinhole su sensore richiede schermatura dai riflessi interni e calibrazione del punto nero; la diffrazione “allarga” il punto di luce su più pixel, penalizzando i sensori piccoli rispetto ai full frame. In entrambi i casi, la pinhole obbliga a una ritmica di lavoro lenta, che riporta l’atto fotografico alla sua dimensione artigianale e contemplativa. [tomroelandts.com]

Utilizzi e impatto nella fotografia

Storicamente, la pinhole ha avuto un impiego scientifico come strumento di osservazione sicura delle eclissi e come dispositivo per introdurre concetti di ottica a studenti e apprendisti. La possibilità di costruire con facilità il dispositivo l’ha resa protagonista di laboratori scolastici e corsi introduttivi alla fotografia argentica, dove si affrontano EV, f‑number, rapporto diaframma/tempo, latitudine e contrasto senza la mediazione “magica” dell’obiettivo. Culturalmente, la World Pinhole Photography Day—nata nel 2001 e celebrata l’ultima domenica d’aprile—ha consolidato una comunità mondiale che carica ogni anno migliaia di immagini su un archivio condiviso, affermando la pinhole come pratica contemporanea e non solo rievocazione. [pinholeday.org]

Sul piano artistico, la pinhole ha alimentato correnti che privilegiano temporalità lunga e morbidezza non-lenslike: dai pittorialisti ottocenteschi alle sperimentazioni post‑concettuali del tardo Novecento, fino ai progetti site‑specific che sfruttano esposizioni plurimensili (solargrafie) per tracciare l’arco solare nel cielo. La uniforme profondità di campo rende possibili narrazioni ambientali in cui il soggetto vive nella relazione con il suo contesto, e non per isolamento su uno sfondo sfocato. La scelta della pinhole diventa spesso dichiarazione di poetica: rinuncia alla nitidezza estrema in favore di gestualità temporale, traccia del passare anziché incastro dell’istante. [britannica.com]

Non vanno trascurati gli usi tecnici. In ambiti dove le lenti sono impraticabili—per esempio agli X‑ray, a causa dell’assenza di materiali con indice adeguato e bassa assorbanza—le pinhole offrono soluzione elegante; anche in telemetria, riproduzione ad ampia profondità e metrologia ottica, l’assenza di aberrationi e la certezza di geometria lineare tornano utili. In simulazioni e didattica, array di pinhole consentono di illustrare concetti di campionamento e PSF (funzione di diffusione del punto). Sulle piste dell’industria, dagli anni ’60 in poi, si sono visti dispositivi pinhole in elettronica e plasma physics; in ambito consumer, accessori lens‑cap pinhole hanno avvicinato al linguaggio stenopeico anche i possessori di DSLR e mirrorless.

La diffrazione come linguaggio ha poi aperto l’uso di zone plates e photon sieves: la prima, con anelli di Fresnel, concentra la luce con interferenza e genera glow attorno alle alte luci; i photon sieve—migliaia di microfori organizzati secondo criteri diffrattivi—mostrano come la coerenza tra fori possa ricostruire un’ottica sintetica. Queste soluzioni ampliano il vocabolario estetico: flares deliberati, “soft sharpness” e resa sognante. Anche qui la comunità pinhole ha svolto un ruolo di laboratorio semplice e accessibile.

Curiosità e modelli iconici

Tra le curiosità merita citazione la genealogia dei termini. Sebbene dispositivi equivalenti esistessero da secoli, la dizione “camera obscura” è attestata in ambito astronomico e ottico a partire dagli inizi del XVII secolo; una tradizione attribuisce a Kepler (1604) la prima occorrenza dell’accoppiata lessicale, segno di una maturazione concettuale che lega stanza e oscurità in un’unica locuzione tecnica. Più tardi, la distinzione pratica tra camera obscura con lenti e pinhole senza lenti si è consolidata con l’affermazione della fotografia. Sul fronte fotografico, un passaggio importante risale al 1856, quando Brewster cita e promuove la fotografia con foro stenopeico come pratica autonoma rispetto agli obiettivi.

Fra i modelli iconici, oltre alle infinite autocostruzioni, si ricordano le box camera stenopeiche in legno dei marchi artigianali degli anni ’90–2000, spesso con pinhole laser intercambiabili, slitte per plan‑film 4×5″ e livelli a bolla per architettura. Alcuni modelli modulari consentono doppio foro con distanze diverse per variare il campo; altri integrano otturatori a ghigliottina o magnetici con ritorno elastico per migliorare la ripetibilità su tempi brevi. In ambito educational, restano celebri i progetti con scatole di fiocchi d’avena o latte di alluminio, usati per introdurre scolaresche alla chimica fotografica e alla camera oscura. Sul piano concettuale, le installazioni camera obscura in scala architettonica—ambienti immersivi con foro rivolto verso panorami urbani—testimoniano la persistenza dell’incanto originario: un paesaggio capovolto che vive sulle pareti interne, come accadeva nelle prime “stanze buie” descritte nelle enciclopedie e nella manualistica.

Dal lato numerico, è curioso notare come il “dolce punto” del diametro dipenda anche dall’uso. Un fotografo orientato a macro‑close‑up riduce talvolta del 20% il diametro rispetto al valore teorico per contenere la sfocatura geometrica a corto tiraggio, mentre chi lavora con grandangoli estremi potrebbe accettare un diametro leggermente maggiore per guadagnare luminosità e ridurre pose al limite della reciprocità, accettando un filo di morbidezza in più. Le diverse costanti nella formula di ottimo—1,5–1,9—riflettono anche l’esperienza empirica di comunità diverse, dall’approccio “scientifico” di chi calcola e micrometra il foro a quello “poetico” di chi privilegia serendipità e happy accidents.

Un’ultima nota riguarda la datazione culturale della pinhole come tecnica fotografica. Mentre la camera obscura ha radici antichissime, si suole collocare la “nascita” della pinhole fotografica con testimonianze a metà Ottocento (Brewster, 1856); da allora il mezzo attraversa epoche, dimenticato e poi riscoperto, fino alla sua istituzionalizzazione con il WPPD del 2001 e la fioritura di risorse online, manuali, calcolatori e comunità dedicate. Il fatto che nel XXI secolo migliaia di autori continuino a costruire e usare fotocamere “senza lente” racconta l’attualità di un principio ottico medievale che ancora commuove per semplicità ed eleganza.

 Fonti

Curiosità Fotografiche

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