Nel panorama delle manifatture italiane specializzate in strumenti ottici e fotografici della prima metà del Novecento, la C.O.M.I. – Costruzioni Ottico-Meccaniche Italiane rappresenta un esempio emblematico di come l’ingegneria nazionale abbia saputo coniugare artigianato meccanico di precisione e ambizione industriale. La sigla C.O.M.I. compare per la prima volta negli archivi commerciali italiani nel 1924, quando un gruppo di tecnici e imprenditori con formazione meccanica e ottica, operanti a Milano, fonda un laboratorio destinato alla costruzione di apparecchiature ottiche, con particolare riferimento al settore fotografico, cinematografico e topografico.
L’Italia, reduce da una Prima Guerra Mondiale che aveva stimolato lo sviluppo di tecnologie militari, si trovava allora in una fase di transizione industriale, in cui l’apparato produttivo doveva reinventarsi in chiave civile. La produzione di strumenti fotografici e ottici si prestava in maniera naturale a tale transizione, e C.O.M.I. seppe sfruttare le conoscenze tecniche maturate nell’ambito bellico per immettere sul mercato una gamma di prodotti tecnici adatti a un pubblico tanto professionale quanto amatoriale.
Il primo stabilimento C.O.M.I. venne costruito nella zona industriale di Sesto San Giovanni, cuore pulsante della meccanica lombarda. Qui venivano assemblate macchine fotografiche, ma anche componenti ottici come obiettivi, occhialini stereoscopici, binocoli, microscopi da laboratorio e strumenti per la rilevazione topografica. Le collaborazioni con università tecniche e politecnici milanesi favorirono un continuo aggiornamento dei modelli e delle tecniche di lavorazione, rendendo l’azienda all’avanguardia nel settore della micro-meccanica applicata all’ottica.
Già nei primi cataloghi aziendali risalenti al 1926 si trovano referenze a prodotti destinati all’uso fotografico in studio, a cineprese da 9,5 mm e a dispositivi stereoscopici. Il riferimento alla “Costruzione Italiana” non era solo un elemento identitario: rappresentava un marchio di qualità per l’epoca, garanzia di materiali robusti, lenti lucidate a mano, montature metalliche in ottone brunito o alluminio anodizzato, e soprattutto una progettazione interna priva di componenti d’importazione. Questo aspetto si rivelò decisivo negli anni dell’autarchia fascista, quando le forniture dall’estero vennero bloccate e i produttori italiani capaci di un ciclo produttivo autonomo furono privilegiati.
La divisione fotografica della C.O.M.I. fu la più produttiva e la più innovativa nel lungo arco di attività dell’azienda, attiva almeno fino alla metà degli anni Cinquanta. Tra i modelli più noti si ricordano le camere pieghevoli a soffietto, costruite su chassis in alluminio con finiture in similpelle nera e montanti in ottone nichelato. Alcuni modelli, databili attorno al 1932, presentano una configurazione da campo, con possibilità di regolazione micrometrica della messa a fuoco e movimenti basculanti per la correzione della prospettiva, caratteristiche tipiche delle camere di formato medio o grande destinate a fotografi professionisti.
Un elemento distintivo dei prodotti C.O.M.I. era l’uso di ottiche di fabbricazione interna, una rarità per i produttori italiani del tempo, che spesso si affidavano a ditte esterne (come Ross o Dallmeyer in Inghilterra, o Goerz e Rodenstock in Germania). L’azienda disponeva invece di una propria officina per la lucidatura, il trattamento antiriflesso e l’assemblaggio delle lenti, rendendo i suoi obiettivi pienamente made in Italy. Alcuni degli obiettivi C.O.M.I. montavano aperture molto luminose (f/2.9 – f/3.5), particolarmente adatti a condizioni di luce scarsa, pensati per reportage, ritrattistica o uso scientifico.
Un capitolo importante della produzione è rappresentato dalla stereoscopia, ambito nel quale la C.O.M.I. investì in progettazione e marketing. Vengono infatti progettate e prodotte macchine stereoscopiche, in alcuni casi a doppio obiettivo sincronizzato, con slitta per la regolazione dell’interpupillare e sistemi di visione a occhialini con prismi interni. Questi dispositivi erano utilizzati sia per fini ludici (riproduzioni tridimensionali per il pubblico domestico) sia in ambito medico e scientifico.
Negli anni Trenta viene anche sviluppato un sistema di camera binoculare a lastra, capace di scattare immagini stereoscopiche su lastre da 6×13 cm, molto apprezzate nel settore turistico e museale. Gli scatti ottenuti con tali macchine venivano visualizzati tramite visori stereoscopici a mano, anch’essi costruiti dalla C.O.M.I., dotati di ingrandimenti intercambiabili e diaframmi per la regolazione della luce.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la C.O.M.I. venne convertita a produzione bellica. L’azienda si occupò della costruzione di strumenti ottici per l’esercito, inclusi teodoliti, cannocchiali da puntamento e dispositivi ottici di bordo. Questa riconversione, pur forzata, garantì una sopravvivenza industriale che molte altre ditte italiane del settore fotografico non riuscirono a mantenere. All’uscita dal conflitto, tuttavia, la C.O.M.I. si trovò in un mercato completamente trasformato: da una parte, l’esplosione della concorrenza straniera, in particolare giapponese e tedesca; dall’altra, un pubblico italiano impoverito e scarsamente attratto dalla fotografia professionale, orientato piuttosto verso prodotti economici e portatili.
Fu in questo contesto che l’azienda cercò di rilanciarsi lanciando nuove linee di fotocamere 35 mm, costruite in metallo pressofuso, dotate di otturatori centrali Compur e ottiche C.O.M.I. f/3.5 da 50 mm. Queste macchine, seppur eleganti e ben costruite, non riuscirono però a competere in un mercato ormai dominato da colossi come Leica, Contax, e le emergenti Canon e Nikon. Mancava una rete commerciale internazionale e l’azienda non investì a sufficienza nel design e nella miniaturizzazione.
Alcuni tentativi di innovazione furono degni di nota: nei primi anni Cinquanta la C.O.M.I. avviò una collaborazione con Politecnico di Milano per lo sviluppo di una macchina reflex a specchio fisso, dotata di pentaprisma e mirino intercambiabile. Il prototipo, però, non superò mai la fase sperimentale. Più promettente fu il progetto di una macchina stereo compatta, di cui vennero realizzati circa 300 esemplari destinati all’esportazione in Svizzera e Belgio, ma che non entrò mai in produzione su larga scala.
Tra il 1955 e il 1960 l’attività si ridusse progressivamente fino alla cessazione definitiva della produzione nel 1961. Alcuni macchinari furono ceduti a laboratori ottici minori, e parte dell’archivio tecnico venne acquisito da una società di Como operante nel campo delle ottiche medicali. A oggi, le fotocamere e i visori stereoscopici C.O.M.I. sono oggetti da collezione ricercati, soprattutto per la loro qualità costruttiva, la rarità e l’eleganza del design.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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