L’Aiglon vide la luce per la prima volta a fine anni Venti, con una produzione che si collocò tra il 1929 e il 1939, realizzata dalla casa francese Atoms (Association de Techniciens en Optique et Mécanique Scientifique). Il termine “Aiglon”, che in francese significa “eaglet” (aquilotto), fu impiegato per distinguere una gamma di fotocamere subminiature e TLR pseudo‑Reflex prodotte su basi meccaniche comuni.
La produzione iniziò con la Aiglon subminiature, un apparecchio destinato alla realizzazione di immagini su pellicola inferiore al formato 35 mm — il film aveva una larghezza di circa 16 mm, con esposizioni da 12 x 14 mm. Il corpo era totalmente in metallo, cromato, con finiture robuste e un approccio minimalista ma funzionale. L’ottica montata era un obbiettivo a 25 mm f/10, configurazione a cono fisso, non intercambiabile, con chiusura a tendina T/I (Time/Instant) e una leva di scatto rimovibile. Il mirino era un semplice frame finder, progettato per inquadrare il soggetto senza ausilio di vetro smerigliato.
Successivamente, la gamma si ampliò negli anni Quaranta con la versione Aiglon TLR pseudo-Reflex, sempre realizzata da Atoms. In questo caso si trattò di un apparecchio a rullino 6×6, costruito su meccaniche TLR, ma con il mirino a fuoco fisso, privo di vetro smerigliato sul piano di messa a fuoco. Ciò lo classifica come pseudo‑TLR, paragonabile a modelli come Voigtländer Brillant, in cui l’albero ottico del mirino non consente una messa a fuoco tradizionale. Il sistema ottico posteriore e anteriore era basato su ottiche Anastigmat e valori che variavano tra f/3.5 e f/4.5, mentre lo shutter Atos I o II offriva tempi compresi tra 1/300 s e posa B. L’ergonomia prevedeva un corpo in metallo verniciato e rivestito in pelle o similpelle, con meccanismi di avanzamento a scatto e leve simili ai TLR veri.
Aiglon Subminiature (1929–1939): meccanica, ottica e utilizzo
L’Aiglon subminiature, prodotto nei primi anni Trenta, incarnava l’idea di una fotocamera compatta ma funzionale. Il corpo, realizzato interamente in metallo cromato, aveva dimensioni estremamente contenute: circa 37 x 44 x 42 mm, rendendola ideale per essere portata in tasca o all’interno di una borsa con ingombro minimo. Questa frame‑finder videocamera permetteva scatti su una pellicola non perforata da 16 mm, con un numero massimo di esposizioni pari a otto.
L’ottica, un 25 mm f/10 fisso, garantiva una profondità di campo sufficiente per la fotografia di soggetti a media distanza, rendendo la messa a fuoco ineccessaria (effetto zone‑focusing). Il otturatore T/I era un sistema semplice: la posizione “T” mantenuta aperta fino a quando non si rilasciava la leva, mentre “I” rappresentava uno scatto istantaneo. La leva, rimovibile, riduceva al minimo l’ingombro. La semplicità meccanica era una caratteristica distintiva: non vi era alcuna possibilità di variazione di diaframma o tempi di scatto.
Dal punto di vista operativo, il caricamento avveniva mediante l’introduzione di un mini‑rullino, con una finestra rossa sul dorso che permetteva il conteggio delle esposizioni. Il sistema richiedeva precisione manuale nella rotazione della pellicola. In assenza di messa a fuoco variabile, la lunghezza focale e il diaframma selezionati erano scelti per ottenere una profondità di campo che andasse da circa un metro a infinito, rendendo il dispositivo adatto a scene generiche, paesaggi e fotografie di gruppo.
Il rivestimento in metallo cromato rendeva l’apparecchio robusto, ma anche sensibile a danneggiamenti da urti. Il contrasto fra superfici lisce e leve meccaniche a vista contribuivano a un design funzionale ed elegante. Nonostante la sua semplicità, l’Aiglon trovò una certa diffusione, soprattutto fra amatori e viaggiatori che apprezzavano le dimensioni ridotte e la facilità d’uso. Il prezzo originario era basso: circa 48 franchi francesi, come riportato nei cataloghi dell’epoca .
Tre versioni distinte vennero prodotte (Type 1, 2 e 3), caratterizzate da lievi differenze meccaniche nella leva dello shutter e nel design del cono ottico frontale, ottimizzando la facilità di utilizzo rispetto all’evoluzione del mercato . In particolare, la Type 3 si distingueva per un cono frontale più lungo, un mirino integrato maggiorato e una finestra rossa più ampia sul dorso, caratteristiche che suggeriscono miglioramenti incrementali dovuti al feedback degli utenti.
La produzione cessò alla fine degli anni Trenta, sostituita da modelli più sofisticati e dall’aumentata diffusione del 35 mm, sebbene le Aiglon subminiature rimangano oggi pezzi da collezione ambiti per la loro meccanica vintage e l’estetica tipica dell’era tra le due guerre mondiali.
Aiglon TLR pseudo‑Reflex (fine anni Quaranta): struttura e funzionamento
Alla fine degli anni Quaranta Atoms ampliò la gamma con l’Aiglon TLR di medio formato 6×6 su pellicola 120. Contrariamente alla subminiatura, questo modello era in grado di offrire una versatilità fotografica più ampia, pur mantenendo un costo di produzione contenuto tramite soluzioni semplici.
Il corpo, robusto, era interamente in metallo verniciato rivestito spesso in simil‑pelle. Le dimensioni ricalcavano quelle dei TLR dell’epoca: verticale, con due ottiche sovrapposte. L’ottica di presa immagine era un Anastigmat da 75 mm, disponibile in versioni f/3.5 o f/4.5: le più comuni focheggiavano tramite un sistema a ghiera sull’anello dell’obiettivo. L’otturatore era il sistema Atos I o II, capace di velocità da 1/300 s e posa B, ed era certificato per garantire sincronizzazione flash e posa manuale .
La componente che lo contraddistingueva fu il mirino: una lente fissa, posta sopra l’obiettivo di ripresa, con un sistema di visione reflex. Non era presente vetro smerigliato per la messa a fuoco, e nemmeno la possibilità di regolazione fine: il fotografo doveva fare affidamento su un mirino specchiato che ritraeva una visione approssimativa del soggetto. Questo lo fece rientrare nella categoria dei pseudo‑TLR, seguendo la tradizione di macchine come la Voigtländer Brillant.
La carrozzeria mostrava una impugnatura ergonomica laterale, una leva per l’avanzamento del rullino e una superficie superiore apribile per caricare la pellicola. Le piastre interne erano calibrate per 12 fotogrammi in formato 6×6, come da standard del medio formato. Il design prevedeva anche una finestra di lusso per leggere la nuova posizione della pellicola.
Dal punto di vista tecnico, la scelta di una messa a fuoco via ghiera frontale, separata dal mirino, richiedeva esperienza da parte dell’operatore. L’Aiglon TLR era quindi un apparecchio più professionale rispetto alla subminiatura, ma richiedeva ancora attenzione: la mancanza di vetro smerigliato e della tradizionale messa a fuoco a stima lo rendeva adatto a scene con profondità di campo vasta o soggetti statici.
In estetica, l’apparecchio presentava una linea sobria e razionale, con finiture in metallo verniciato e guarnizioni in similpelle. Misurava circa 120 mm in altezza, con una larghezza adeguata al formato medio, risultando compatto per la categoria ma pur sempre di dimensioni significative.
Questi prodotti vennero distribuiti in Francia e in parte in Europa, ma non raggiunsero il successo internazionale dei grandi marchi tedeschi. Il prezzo accessibile e le caratteristiche tecniche semplici li resero strumenti alla portata degli appassionati di fotografia emergente. Oggi, queste Aiglon TLR sono reperiti sul mercato vintage, con vendite di modelli in buono stato che ruotano intorno ai 120–200 USD .