L’anno 1756 segna l’inizio di un’avventura imprenditoriale straordinaria quando Johann Christoph Voigtländer, ingegnere e ottico di Vienna, apre un piccolo laboratorio dedicato alla fabbricazione di strumenti ottici e meccanici di precisione. La sua visione andava ben oltre la semplice realizzazione di microscopi o cannocchiali: egli intendeva porre le basi per una tradizione di alta qualità che avrebbe attraversato i secoli. Non sorprende che già nel 1763 l’imperatrice Maria Teresa d’Austria conceda alla ditta il patrocinio statale, autorizzandola anche a produrre strumenti di misura e strumenti ottico-matematici. Quell’autorizzazione era un attestato non solo di fiducia, ma anche di prestigio, poiché implicava una responsabilità nei confronti della comunità scientifica e militare.
L’azienda si distingueva per un approccio verticalmente integrato, in cui ogni fase della produzione — dalla fusione del vetro ottico alla lavorazione meccanica delle montature — veniva eseguita all’interno degli stabilimenti. Questa scelta garantiva un controllo qualitativo totale: ogni lente, ogni ingranaggio, ogni vite era testata e perfezionata secondo standard rigorosi. Alla metà del Settecento poche realtà potevano vantare una simile competenze interdisciplinari: Voigtländer si trovava all’avanguardia nell’impiego di leghe metalliche leggere ma resistenti, nell’uso di vetri a bassa dispersione cromatica e nella progettazione di soluzioni meccaniche ottimizzate per la precisione di puntamento.
La produzione iniziale comprendeva microscopi composti, cannocchiali terrestri, binocoli e strumenti topografici. Ogni pezzo rifletteva la capacità di coniugare design snello e funzionalità avanzata: le montature mostravano curvature studiate per minimizzare le deformazioni, mentre i meccanismi di messa a fuoco erano dotati di ripetibilità millimetrica. In questa fase Voigtländer si guadagnò la fiducia delle università di Vienna e delle accademie militari dell’Impero asburgico, divenendo fornitore di osservatori astronomici e di corpi di spedizione scientifica. Le relazioni con i centri di ricerca posero le basi per un dialogo continuo fra teoria e pratica, elemento che avrebbe caratterizzato anche l’ingresso dell’azienda nel nuovo settore fotografico.
Allo scadere del decennio successivo Voigtländer aveva già sviluppato una solida libreria di progetti ottici, comprendente formule per lenti composte corrette contro aberrazioni sferiche e cromatiche. In particolare, il laboratorio sperimentò vetri con diversi indici di rifrazione accoppiati in sistemi a doppia o tripla lente, anticipando concetti che sarebbero diventati fondamentali nel XIX secolo. Queste sperimentazioni erano guidate da calcoli geometrici precisi e dall’uso di strumenti di verifica come lenti campione analizzate con microscopi a ingrandimenti multipli.
Nel 1849, in seguito a scelte strategiche e all’espansione delle attività, l’azienda trasferì la sede principale a Braunschweig, in Germania. Il nuovo stabilimento poteva sfruttare una rete ferroviaria più efficiente e vicinanza a polo scientifici emergenti, come la Università di Göttingen e il laboratorio di Jena. La scelta geografica accelerò il processo di modernizzazione: vennero installati forni per la fusione del vetro controllati termicamente, torni a comando numerico primitivo e officine meccaniche per la produzione di componenti con tolleranze inferiori al decimo di millimetro. Questo salto tecnologico rese Voigtländer un’industria modello, capace di rispondere alle crescenti esigenze del mercato scientifico e militare, e di porsi come referente per l’eccellenza ottica europea.
L’avvento della fotografia: la Ganzmetallkamera e l’ottica Petzval
Appena pochi mesi dopo la divulgazione del processo dagherrotipico nel 1839, Voigtländer comprese che la fotografia sarebbe diventata un nuovo terreno di sperimentazione ottica e meccanica. Già nel 1840 la ditta presentò la sua prima fotocamera per dagherrotipo, costruita interamente in metallo, nota come Ganzmetallkamera. Questa macchina da ripresa si distingue per la robustezza della struttura e per la scelta di materiali in lega leggera, in grado di garantire maggiore stabilità e facilità di trasporto rispetto all’apparecchio Daguerre-Giroux. L’elemento di maggiore innovazione tuttavia risiedeva nell’obiettivo calcolato matematicamente progettato da Josef Maximilian Petzval, matematico ungherese assunto da Voigtländer.
Il progetto di Petzval introdusse un sistema a quattro elementi raggruppati in due gruppi: un doppietto anteriore a forte potere convergente e un doppietto posteriore di correzione. Questo schema ottico garantiva un’apertura massima di f/3,6, un valore straordinario per l’epoca, consentendo tempi di posa fino a dieci volte inferiori rispetto agli obiettivi concorrenti. La lente di Petzval si caratterizzava per la capacità di mantenere un’elevata nitidezza sul piano focale centrale, sacrificando però il bordo del fotogramma, dove l’aberrazione di curvatura era più accentuata. Tuttavia, in un contesto in cui le riprese erano prevalentemente di soggetti statici o ritratti, questa compensazione fu ritenuta accettabile.
La produzione di questa fotocamera proseguì con continuità fino ai primi anni Sessanta dell’Ottocento. La Ganzmetallkamera diventò ben presto uno standard professionale, ed era particolarmente apprezzata dai dagherrotipisti itineranti, che la portavano nei cantieri minerari, nelle spedizioni scientifiche ad alta quota e nei ritratti di corte. La macchina veniva assemblata con una meccanica di precisione: la corsa del piano focale era garantita da guide a doppio binario, mentre il piano focale stesso era realizzato in lastre di ottone temperato. Il pannello anteriore, dotato di registro micrometrico, permetteva spostamenti millimetrici per correzioni di parallasse.
Dal punto di vista produttivo, Voigtländer dovette sviluppare un sistema di lavorazione dei vetri innovativo: la fusione veniva effettuata in fusioni multiple per ottenere vetri privi di bolle, poi sottoposti a lucidatura automatica con mole diamantate. Il trattamento di finitura prevedeva la molatura a mano per garantire superfici prive di micro-graffioni, quindi il drogaggio con sali di cerio per incrementare la trasmissione luminosa. Questi processi resero l’obiettivo Petzval un capolavoro di tecnica ottica, vero spartiacque tra l’ottica classica e l’ottica fotografica moderna.
Negli anni successivi Voigtländer affiancò alla Ganzmetallkamera la produzione di lenti di ricambio per uso fotografico, sviluppando una divisione dedicata all’ottica intercambiabile. Le lenti venivano catalogate secondo diametro esterno, estrazione della baionetta e potere diottrico, permettendo ai fotografi di scegliere il compromesso ottimale tra luminosità e resa cromatica. Questo modello di business permise all’azienda di consolidare una rete mondiale di distributori, in grado di servire mercati in Europa, Nord America e, progressivamente, in Asia.
L’espansione industriale e i modelli storici dal XIX al XX secolo
Terminata l’epoca dei dagherrotipi, Voigtländer entrò in una fase di espansione industriale che durò fino alla Grande Guerra. Nel 1862 la produzione di lenti per obiettivo superò le 10.000 unità, un traguardo che rifletteva l’enorme richiesta di ottiche per nuove tecniche fotografiche, quali carte salate e albumine. L’azienda mantenne ferma la propria strategia di integrazione verticale: venivano prodotti internamente vetri di qualità crescente, stabiliti nuovi laboratori per il taglio e la molatura di vetri a bassa dispersione e implementate macchine automatiche per il controllo ottico.
All’inizio del Novecento la gamma di fotocamere si arricchì di modelli innovativi come la Reisekamera (1900), progettata per il fotograf<89> da viaggio: un apparecchio dalle dimensioni ridotte, dotato di otturatore incorporato e di un comparto di stoccaggio lastre snello. Tra il 1900 e il 1940 Voigtländer introdusse oltre 35 modelli, ciascuno caratterizzato da soluzioni meccaniche uniche. La Avus, prodotta dal 1914 al 1934, presentava un sistema di chiusura a libro e un obiettivo a doppio accoppiamento, mentre la Bergheil (1918-1936) offriva quattro formati diversi, tutte con innesto a baionetta rapida e ottiche appositamente corrette per le tecniche di stampa in bianco e nero.
Nel 1925 l’azienda si trasformò in società per azioni, un passaggio che diede accesso a nuovi capitali e permise investimenti significativi in ricerca e sviluppo. Il 1929 segnò l’ingresso della Schering AG come azionista di controllo, con la conseguente introduzione del marchio Voigtländer anche sui prodotti chimici per fotografia. Pochi anni dopo, la Bessa (1929-1955) e la Perkeo (1931-1957) diventarono simboli dell’affidabilità Voigtländer: la prima per le pellicole piane, la seconda per le pellicole a rullo 120, entrambe contraddistinte da otturatori a tendina e da lenti resistenti che garantivano uniformità di resa su tutto il fotogramma.
L’avvento della Superb (1932), una fotocamera biottica destinata a sfidare i modelli più celebri della Zeiss Ikon e di Franke & Heidecke, confermò l’abilità dell’azienda tedesca nel riprendere le sfide del mercato con prodotti tecnologicamente all’avanguardia. Nei primi anni Trenta venne inoltre realizzata la Jubilar, folding per rullo 120 presentata nel 1931 in occasione del 175° anniversario: essa non solo riprendeva le soluzioni meccaniche collaudate ma introduceva un sistema di baionetta universale che semplificava le operazioni di cambio obiettivo.
Innovazioni meccaniche e ottiche nel XX secolo e oltre
La fine degli anni Trenta diede luce alla Vito, prima fotocamera 35 mm progettata in-house, che però a causa della guerra vide la sua commercializzazione rinviata ai primi anni Cinquanta. Fu allora che scoppiò il vero explo<span>it</span> di Voigtländer nel segmento delle macchine tascabili: la Vito e le sue varianti furono prodotte fino al 1971 in migliaia di esemplari, grazie a un obiettivo Tessar-like ottimizzato per le pellicole a grana fine. Il dopoguerra portò inoltre le Prominent, dotate di otturatori a tendina a controllo elettronico, le versatili Vitessa e Vitomatic, caratterizzate da un sistema di messa a fuoco automatica basato su cellula a selenio, e la serie Bessamatic, che integrava un meccanismo di esposizione semiautonomo.
Sul fronte ottiche, il nome che spicca è Heliar, originariamente sviluppato nel 1900 da Carl August Hans Harting. Questa lente si diffuse rapidamente grazie alla sua capacità di mantenere un’eccellente nitidezza su tutto il formato, grazie a un particolare trattamento antiriflesso applicato sin dagli anni Venti. Il successivo Color Heliar migliorò la resa cromatica in stampa, introducendo vetri a basso indice di dispersione e nuovi trattamenti multistrato. Altri schemi di rilievo furono il Dynar, il Kollinear e lo Skopar, talvolta proposti in versione colorizzata, che furono montati su innumerevoli corpi macchina e apprezzati per affidabilità e qualità costruttiva.
La pietra miliare nell’ottica intercambiabile fu lo Zoomar del 1959, primo obiettivo zoom intercambiabile al mondo. Il meccanismo a camme interne consentiva variazioni continue della lunghezza focale tra 36 e 86 mm, con un’apertura massima di f/2,8. Realizzato con vetri ad alta rifrazione e trattamento multilayer, lo Zoomar impose nuovi standard di versatilità nella fotografia di reportage e di moda.
Il declino della produzione tedesca iniziò negli anni Settanta a causa della concorrenza asiatica. Nel 1972 Voigtländer si fuse con Zeiss Ikon, ma gli stabilimenti persero progressivamente volumi produttivi. Dal 1974 Rollei acquisì il marchio, seguito da Ricoh e Chinon dal 1987. L’ultimo reparto di Braunschweig chiuse nel 1994, mentre nel 1995 Ringfoto rilevò il marchio e nel 1999 Cosina rilanciò la Bessa I a telemetro. Oggi Voigtländer continua a esistere come brand storico, presente su obiettivi per fotocamere mirrorless di nicchia, prodotti da Cosina, e occasionali edizioni limitate che celebrano i 250 anni di vita aziendale. Azienda tutt’ora in attività.