La Toko Shashin K.K. (東光写真株式会社) fu una delle aziende fotografiche giapponesi più significative nel panorama della produzione di fotocamere professionali nel secondo dopoguerra. Fondata ufficialmente nel 1949 a Tokyo, la sua nascita si inserisce in un periodo di intensa ricostruzione industriale e innovazione tecnologica all’indomani della Seconda guerra mondiale. L’industria fotografica giapponese stava allora cercando di emergere dal controllo militare e di posizionarsi come alternativa alle ben più affermate realtà tedesche, in particolare quelle di area leicista e zeissiana.
Il fondatore della società fu Masao Hori, ingegnere ottico con esperienza nel campo della strumentazione fotografica già dagli anni Trenta, che nei primi anni del dopoguerra decise di avviare una propria impresa specializzata nella progettazione e costruzione di fotocamere di medio e grande formato. Il termine “Toko” derivava dalla combinazione di “To” (東, oriente) e “Ko” (光, luce), evocando l’idea di una luce orientale, metafora perfetta per una nuova fotografia giapponese che voleva distinguersi nel mondo.
Toko Shashin K.K. non fu mai un marchio di largo consumo, e proprio per questa ragione la sua storia si è spesso intrecciata a quella degli studi professionali, delle università, degli istituti tecnici e degli ambienti fotografici legati alla documentazione scientifica, industriale o artistica. La produzione della società si è contraddistinta per una coerenza assoluta nei materiali, nella meccanica e nella modularità, elementi che la collocano nella stessa linea evolutiva di altri marchi nipponici di nicchia come Tachihara o Wista.
Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, l’azienda consolidò la propria reputazione soprattutto grazie alla produzione di fotocamere da banco e folding per lastra, apprezzate per la loro precisione meccanica, la robustezza strutturale e la compatibilità con obiettivi e accessori internazionali, da Schneider a Fujinon, da Nikkor a Rodenstock.
Il fulcro dell’attività di Toko Shashin K.K. fu la produzione di fotocamere di grande formato, prevalentemente a lastre da 4×5 pollici, anche se non mancarono versioni 5×7 e 8×10 pollici, più rare ma ricercate da alcuni professionisti del paesaggio e della fotografia architettonica. La progettazione delle camere Toko si fondava su una struttura classica a banco ottico, con monorotaia in alluminio o con sistema folding a soffietto su telaio in metallo e legno. Quest’ultimo, lavorato a mano, veniva trattato con finiture anti-umidità, rendendo lo strumento adatto anche ai climi particolarmente ostici.
Uno dei modelli più noti fu la Toko 45F, camera folding in alluminio anodizzato, dotata di soffietto intercambiabile, movimenti completi di basculaggio e decentramento sia per il piano anteriore che posteriore, e con un peso contenuto entro i 3 kg, il che la rendeva relativamente portabile. La costruzione era modulare e prevedeva il montaggio di standard internazionali per quanto riguarda gli obiettivi (standard Copal o Compur con ottiche a baionetta Linhof) e le cassette portapellicola. I movimenti tilt, shift, rise and fall erano regolati con manopole micrometriche di metallo tornito, e l’assemblaggio si distingueva per la sua resistenza a lungo termine.
Dal punto di vista della messa a fuoco, il vetro smerigliato posteriore garantiva un’ottima visibilità, ed era affiancato da una lente di fresnel opzionale per migliorare la visione in condizioni di luce scarsa. Il corpo macchina pieghevole si richiudeva all’interno di una scocca rigida protetta da inserti in cuoio, pensata per il trasporto in valigette dedicate.
La filosofia costruttiva era evidentemente ispirata ai canoni europei della Scuola di Jena, ma reinterpretata con il rigore e la razionalità nipponica: il risultato era uno strumento sobrio, privo di orpelli, ma estremamente funzionale. I pochi modelli progettati con monorotaia, come la Toko 45G, vennero realizzati con binari scorrevoli in ottone e guide a pettine in acciaio, garantendo stabilità anche durante lunghe esposizioni.
Le fotocamere Toko si collocarono sin da subito in una nicchia professionale, rivolgendosi a un pubblico specializzato. L’azienda intrattenne rapporti stretti con numerosi istituti tecnici e università giapponesi, in particolare con i dipartimenti di fotografia, medicina legale, geologia e archeologia, fornendo strumenti su misura per la documentazione scientifica. Uno degli ambiti in cui i prodotti Toko eccellevano era la fotografia macro e micro da banco, grazie alla stabilità e alla precisione dei movimenti, e alla possibilità di montare ottiche con lunga estensione focale.
Al contempo, molti fotografi paesaggisti e di architettura iniziarono a utilizzare le Toko come alternativa più accessibile rispetto alle Linhof Master Technika o alle Sinar svizzere. Il fatto che Toko adottasse formati e standard compatibili con le cassette Fidelity, gli obiettivi Schneider e gli otturatori Copal rappresentò un ulteriore vantaggio nella sua diffusione presso chi già possedeva sistemi analoghi.
L’azienda non investì mai in pubblicità di massa e non sviluppò una rete commerciale internazionale strutturata: le Toko venivano acquistate per passaparola o tramite rivenditori specializzati giapponesi, come Yodobashi Camera, Map Camera, o distributori tecnici per studi fotografici. La loro diffusione fuori dal Giappone fu marginale ma costante, e ancora oggi è possibile trovare modelli Toko perfettamente funzionanti nelle mani di fotografi statunitensi ed europei che prediligono la fotografia a grande formato.
Va sottolineato come Toko mantenne sempre una produzione quasi artigianale, affidando il montaggio finale a operatori specializzati, spesso formatisi direttamente all’interno dell’azienda. Ogni esemplare veniva testato singolarmente per garantire la tenuta dei movimenti, la planarità del piano focale e la perfetta corrispondenza tra vetro smerigliato e piano pellicola.
A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, la domanda per le fotocamere a banco iniziò a calare in modo evidente. L’avvento della fotografia 35mm e, più tardi, del medio formato reflex motorizzato, modificò radicalmente le esigenze dei professionisti, spostando il baricentro della fotografia commerciale verso la velocità, la trasportabilità e l’integrazione elettronica.
Toko Shashin K.K., coerente con la sua identità di produttore specializzato in strumenti manuali, non tentò la via della miniaturizzazione elettronica, né investì in fotocamere autofocus o sistemi digitali. Questa scelta, benché nobile e coerente con la filosofia aziendale, ne decretò l’obsolescenza progressiva. Verso la fine degli anni Novanta, la produzione regolare venne interrotta, anche se alcuni piccoli lotti furono assemblati su richiesta fino ai primi anni Duemila.
Molti fotografi giapponesi, nel frattempo, passarono ai marchi internazionali che avevano saputo aggiornare le proprie linee (come la Horseman, che pur essendo giapponese aveva diversificato molto di più) o alla fotografia digitale. Le Toko, tuttavia, non scomparvero del tutto. La qualità costruttiva e la semplicità meccanica le resero oggetti ambiti da una nicchia crescente di collezionisti di fotocamere tecniche, restauratori e fotografi dediti alla pellicola di grande formato.
A differenza di altri produttori coevi, le Toko non vennero quasi mai distribuite in kit di produzione economica: ogni esemplare conserva un valore tecnico autonomo e spesso viene identificato dal numero di serie, inciso a mano sulle piastre laterali o sulla monorotaia. Il mercato dell’usato continua a tenerle in considerazione, specie nei circuiti di collezionismo giapponese ed europeo, e in particolare nei settori legati alla fotografia analogica a banco, che ha visto una parziale riscoperta negli ultimi anni, soprattutto in ambito artistico e didattico.
Ad oggi, la produzione originale Toko è cessata, ma diversi laboratori giapponesi (come Camera Traders a Tokyo o Kitamura Camera) si occupano di restaurare e rivendere i modelli più significativi, rendendoli nuovamente operativi. Non mancano nemmeno le conversioni moderne, dove i corpi macchina Toko vengono adattati all’uso con dorsi digitali medio formato tramite back adapter, mantenendo intatta la struttura originale in alluminio o legno.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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