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Martine Franck

Martine Franck nacque il 2 aprile 1938 ad Anversa, Belgio, e morì il 16 agosto 2012 a Parigi. È considerata una delle figure più significative della fotografia umanista del XX secolo, nota per il suo approccio etico e per la capacità di coniugare ritratto e reportage sociale. Franck fu membro di Magnum Photos per oltre trent’anni e cofondatrice della Fondazione Henri Cartier-Bresson, di cui divenne presidente nel 2004.

La sua infanzia fu segnata dalla guerra: dopo la nascita, la famiglia si trasferì a Londra e, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu evacuata negli Stati Uniti, vivendo tra Long Island e l’Arizona. Tornata in Europa nel 1944, frequentò scuole in Inghilterra e Svizzera, sviluppando un precoce interesse per l’arte grazie al padre, collezionista dilettante, e alle visite ai musei. Studiò storia dell’arte all’Università di Madrid e successivamente all’École du Louvre di Parigi, dove approfondì il cubismo e la scultura moderna. La sua tesi su Henri Gaudier-Brzeska le fece capire che la scrittura non era la sua vocazione: la fotografia divenne il suo linguaggio.

Il primo contatto con la fotografia avvenne nel 1963, durante un viaggio in Estremo Oriente con Ariane Mnouchkine. Armata di una Leica prestata, realizzò immagini in Cina, Giappone, India, Nepal e Afghanistan, pubblicate su riviste come Eastern Horizon. Tornata a Parigi nel 1964, lavorò come assistente per Eliot Elisofon e Gjon Mili presso Time-Life, apprendendo le basi tecniche e organizzative del mestiere. Negli anni successivi collaborò con riviste internazionali (Life, Fortune, Sports Illustrated, Vogue) e divenne fotografa ufficiale del Théâtre du Soleil, ruolo che mantenne per 48 anni.

Nel 1970 sposò Henri Cartier-Bresson, con cui condivise vita e progetti, pur mantenendo una carriera autonoma. Nello stesso anno entrò nell’agenzia Vu, e nel 1972 fu tra i fondatori dell’agenzia Viva, insieme a Guy Le Querrec e Richard Kalvar. Nel 1980 divenne membro associato di Magnum Photos e nel 1983 membro effettivo, una delle poche donne ammesse in quell’élite. Da quel momento, la sua fotografia si orientò verso temi sociali: diritti delle donne, condizione degli anziani, comunità marginali.

Franck ricevette numerosi riconoscimenti: Premio Hasselblad (1997), Centenary Medal della Royal Photographic Society, Premio Prince Pierre de Monaco, oltre a retrospettive in istituzioni come il Centre Pompidou, la Maison Européenne de la Photographie, il Musée de l’Elysée e il MoMA. La sua morte nel 2012 non ha interrotto la vitalità del suo lavoro: la Fondazione Henri Cartier-Bresson conserva il suo archivio e promuove studi e mostre dedicate.

Stile e approccio tecnico

Il linguaggio di Martine Franck si colloca nella tradizione della fotografia umanista, ma con una cifra personale: empatia, tempo lungo e attenzione alla relazione. Franck non cercava il “momento decisivo” alla maniera di Cartier-Bresson, ma il momento inatteso, quello che emerge quando il soggetto si rilassa e dimentica la presenza della macchina fotografica. «Una fotografia non è una menzogna, ma nemmeno la verità: è un’impressione fugace», affermava.

Sul piano tecnico, Franck prediligeva fotocamere Leica a telemetro, compatte e silenziose, ideali per il lavoro sul campo. Le ottiche più usate erano il 35 mm e il 50 mm, raramente teleobiettivi, per mantenere la prossimità fisica e psicologica con il soggetto. Nei reportage in Asia e Irlanda, utilizzò pellicole Kodak Tri-X per il bianco e nero, apprezzate per la grana e la gamma tonale, e occasionalmente Kodachrome per il colore. La stampa era curata con attenzione: carta baritata, viraggi al selenio per stabilizzare i neri, e un controllo rigoroso dei grigi medi, elemento distintivo del suo stile.

La composizione è sobria, mai spettacolare: linee semplici, luce naturale, profondità di campo sufficiente a contestualizzare il soggetto. Franck evitava il flash, preferendo tempi rapidi e diaframmi medi per catturare la luce ambiente. Nei ritratti, il punto focale è spesso lo sguardo o le mani, dettagli che rivelano la personalità più delle pose costruite.

Un aspetto innovativo del suo lavoro è l’uso della fotografia come strumento di dialogo sociale. Nei progetti per il Ministero dei Diritti delle Donne (1983) e per l’associazione Les Petits Frères des Pauvres, Franck integrò immagini e testimonianze, anticipando pratiche partecipative oggi comuni nel documentario visivo. Negli anni ’90, con Tory Island e Tibetan Tulkus, la sua ricerca si estese alla dimensione antropologica, combinando fotografia e archivio storico.

Dal punto di vista etico, Franck rifiutava l’intrusione: «Non creo la situazione, cerco di comprenderla». Questa filosofia si traduce in una fotografia che non spettacolarizza la sofferenza, ma la interpreta con rispetto, restituendo dignità ai soggetti. La sua opera è un esempio di come la tecnica possa essere subordinata alla responsabilità narrativa.

Carriera e riconoscimenti

La carriera di Martine Franck si sviluppa in quattro decenni, attraversando generi e contesti.

Anni ’60 – Formazione e primi lavori
Dopo gli studi e il viaggio in Asia (1963), Franck iniziò come assistente a Time-Life, poi come freelance per riviste internazionali. Nel 1969 divenne fotografa ufficiale del Théâtre du Soleil, documentando spettacoli e vita quotidiana della compagnia. Questo incarico le permise di affinare la capacità di lavorare in ambienti complessi, gestendo luci teatrali e dinamiche di gruppo.

Anni ’70 – Agenzie e affermazione
Nel 1970 entrò nell’agenzia Vu e nel 1972 fondò Viva, insieme a fotografi impegnati nel reportage sociale. In questi anni realizzò ritratti di artisti e scrittori (Michel Foucault, Marc Chagall, Pierre Alechinsky) e reportage in Europa. Nel 1976 pubblicò il primo libro monografico, Martine Franck, con prefazione di Ariane Mnouchkine.

Anni ’80 – Magnum e impegno sociale
Nel 1980 fu ammessa come “nominee” in Magnum Photos e nel 1983 divenne membro effettivo. Iniziò progetti per il Ministero dei Diritti delle Donne e per associazioni umanitarie. Le sue immagini affrontano temi come vecchiaia, solitudine, condizione femminile, con uno sguardo che unisce estetica e denuncia sociale.

Anni ’90 – Viaggi e spiritualità
Franck esplorò l’Irlanda (Tory Island) e l’Asia, documentando comunità tibetane e giovani lama (Tibetan Tulkus). Questi lavori rivelano una fotografia meditativa, attenta alla ritualità e alla relazione tra individuo e paesaggio.

Anni 2000 – Fondazione e retrospettive
Nel 2002, con Cartier-Bresson e la figlia Mélanie, fondò la Fondazione Henri Cartier-Bresson. Nel 2004 ne divenne presidente, promuovendo mostre e studi sulla fotografia. Retrospettive come Martine Franck: A Retrospective (Fondazione HCB, 2018) e Looking at Others (2024) hanno consolidato il suo posto nella storia della fotografia.

Premi principali:

  • Hasselblad Award (1997)
  • Centenary Medal (Royal Photographic Society)
  • Prince Pierre de Monaco Prize
  • Retrospettive al Centre Pompidou, Musée de l’Elysée, MoMA

Le Opere principali

Le opere di Martine Franck comprendono libri, serie fotografiche e progetti espositivi. Tra i titoli più significativi:

  • Martine Franck (1976) – Prima monografia, prefazione di Ariane Mnouchkine.
  • Le Temps de Vieillir (1980) – Reportage sulla vecchiaia, con introduzione di Robert Doisneau.
  • Des Femmes et la Création (1983) – Immagini dedicate alla condizione femminile.
  • D’un Jour, l’Autre (1998) – Conversazione con John Berger, riflessione sul tempo e la fotografia.
  • Tory Island Images (1998) – Vita quotidiana in una comunità gaelica.
  • Tibetan Tulkus: Images of Continuity (2000) – Giovani lama in India e Nepal.
  • Martine Franck, Photographe (2002) – Retrospettiva con testi di Gérard Macé.
  • Women / Femmes (2010) – Ritratto della condizione femminile nel mondo.
  • Looking at Others (2024) – Catalogo della grande retrospettiva al Museo di Andros.

Serie iconiche:

  • Théâtre du Soleil – Documentazione teatrale dal 1969 al 2012.
  • Portraits d’artistes – Foucault, Chagall, Alechinsky, Cartier-Bresson.
  • Irlanda e Tibet – Reportage antropologici.
  • Vecchiaia e solitudine – Immagini per Les Petits Frères des Pauvres.

Fonti 

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