La Lundelius Camera nacque come espressione di una visione personale, quasi filosofica, della fotografia. Il suo fondatore, Carl E. Lundelius, era un artigiano ottico di seconda generazione, nato nel 1883 a Minneapolis, in un contesto familiare dove la lavorazione del vetro e la meccanica di precisione avevano già una forte presenza. Suo padre, Gustav Lundelius, era immigrato svedese, ottico e costruttore di strumenti per la navigazione e la topografia. Carl, dopo aver lavorato per anni come apprendista in vari laboratori del Midwest, fondò la propria officina nel 1911, all’età di 28 anni, con l’obiettivo dichiarato di progettare fotocamere tecnicamente perfette, destinate a una clientela di professionisti esigenti.
Contrariamente a molte piccole imprese che negli stessi anni cercavano di imitare i grandi produttori europei, Lundelius seguì una direzione opposta: non importava produrre in quantità, ma produrre bene. Ogni fotocamera doveva essere un pezzo unico, costruito su richiesta, spesso progettato assieme al fotografo che ne commissionava la costruzione. Questo approccio radicalmente personalizzato influenzò tutta la storia dell’azienda, che non fu mai una vera fabbrica, ma piuttosto un laboratorio artigianale con una forte impronta progettuale, attivo per circa tre decenni, tra il 1911 e il 1942.
Nei primi anni, Lundelius costruiva camere da banco di formato 5×7 e 8×10, utilizzando legno di ciliegio o noce americano per il corpo, rinforzato con inserti in ottone lavorato a mano. Le slitte erano levigate e lucidate con metodi tradizionali, e ogni parte metallica era fresata internamente. Anche i soffi bellows, realizzati in pelle di capra trattata a mano, venivano prodotti su misura da un artigiano locale che lavorava esclusivamente per Lundelius.
Uno degli aspetti più affascinanti di queste prime macchine era la possibilità di progettare la fotocamera attorno all’ottica già in possesso del cliente. Lundelius non produsse mai ottiche proprie, ma collaborava strettamente con i principali fornitori europei: Goerz, Dallmeyer, Zeiss e Steinheil erano i marchi più comuni montati sulle sue camere. Tuttavia, ogni ottica veniva controllata, ricalibrata e talvolta rifasata meccanicamente per meglio adattarsi ai requisiti specifici della camera.
L’approccio progettuale di Lundelius era influenzato da una doppia formazione: tecnica e filosofica. Aveva studiato meccanica applicata, ma era anche appassionato di estetica visiva, con un forte interesse per la pittura del Rinascimento e la geometria descrittiva. Questo si tradusse in un design delle camere estremamente rigoroso nelle proporzioni, con un uso sapiente dei rapporti aurei nella struttura dei telai e dei vetri smerigliati.
Nel decennio tra il 1920 e il 1930, l’officina Lundelius divenne un punto di riferimento per i fotografi di architettura, di documentazione industriale e di paesaggio del Midwest. Tra i suoi clienti figuravano nomi noti del mondo accademico, ma anche importanti studi di architettura e alcune agenzie federali incaricate della documentazione urbana.
Le fotocamere Lundelius si distinguevano per una serie di caratteristiche meccaniche e funzionali che ne facevano strumenti di lavoro sofisticati e duraturi. La qualità costruttiva era tale da farle preferire a molte macchine di produzione industriale, nonostante il costo sensibilmente più alto. Ogni fotocamera era interamente realizzata a mano, con tolleranze minime e possibilità di personalizzazione praticamente illimitate.
Il corpo macchina era quasi sempre costruito in legno massello selezionato, stagionato per almeno 10 anni, con rinforzi in ottone nichelato. Questo garantiva stabilità dimensionale e resistenza all’umidità. Le parti mobili, come le guide per l’allungamento del soffietto, erano montate su binari a doppia cremagliera, spesso realizzati in bronzo fosforoso, che assicuravano una scorrevolezza impeccabile anche dopo decenni di utilizzo.
Uno degli elementi più avanzati era il sistema di movimenti indipendenti dei piani ottico e pellicola. Le camere Lundelius erano in grado di effettuare shift orizzontali e verticali, tilt e swing, con micrometrie analogiche controllate da rotelle dentate finemente fresate. Questo le rendeva particolarmente adatte per la fotografia di architettura e per le riprese documentarie in cui fosse necessario correggere le distorsioni prospettiche direttamente in fase di ripresa.
I vetri smerigliati, forniti da una piccola vetreria del Wisconsin, erano levigati a mano e trattati antiriflesso con sali d’argento. Ogni vetro era centrato con strumenti ottici e inserito in una cornice scorrevole, spesso richiudibile con un sistema a molle elicoidali.
Il soffietto era uno dei punti di orgoglio della produzione Lundelius. Realizzato in pelle naturale trattata con oli vegetali e resine idrorepellenti, era disponibile in versione standard (estensione fino a 45 cm) o telescopica (estensione fino a 75 cm). Il soffietto veniva cucito a mano e controllato con lampade al sodio per rilevare eventuali microfessurazioni nella trama.
Ogni fotocamera era progettata attorno all’ottica specifica fornita dal cliente. Lundelius si occupava dell’adattamento della flangia, della regolazione della distanza focale di lavoro, della taratura meccanica dell’otturatore (quando presente). Non era raro che l’azienda eseguisse modifiche o riparazioni su obiettivi europei, aggiornando vecchi modelli alla compatibilità con chassis moderni.
I dorsi per lastra o pellicola piana erano intercambiabili, spesso dotati di vetro protettivo e guarnizioni in feltro per garantire l’oscuramento totale. Alcune versioni prevedevano anche l’installazione di sistemi di rilievo ottico o lenti ausiliarie per messa a fuoco di precisione.
Un accessorio particolarmente apprezzato era il paraluce telescopico, integrato in alcune versioni più avanzate, che consentiva un controllo efficace del flare in ambienti con forti fonti di luce laterale, come la fotografia industriale outdoor.
La personalizzazione non si fermava all’aspetto tecnico. Anche l’estetica poteva essere adattata: alcuni esemplari, oggi rarissimi, furono costruiti con inserti in madreperla, legni esotici, finiture in rame brunito o incisioni decorative sulle piastre frontali.
Le fotocamere Lundelius non venivano distribuite attraverso canali commerciali tradizionali. Non esistevano cataloghi su larga scala né accordi con distributori o rivenditori. Ogni fotocamera era venduta direttamente dal laboratorio o spedita su ordinazione, spesso dopo una corrispondenza dettagliata tra il fotografo e Carl Lundelius. Questa relazione personale tra costruttore e cliente era parte integrante dell’esperienza di acquisto e d’uso.
La clientela era composta prevalentemente da professionisti del Midwest, in particolare fotografi attivi tra il Minnesota, l’Illinois e il Wisconsin. Tuttavia, non mancavano richieste da università della costa est e da istituzioni scientifiche, come il Geological Survey Service, che commissionò nel 1928 una serie speciale di macchine Lundelius per documentazione su lastre ortocromatiche da 5×12 pollici.
Negli anni Trenta, alcune camere Lundelius arrivarono anche in Europa, acquistate da fotografi architettonici tedeschi e francesi tramite canali privati. Questi esemplari, però, rimasero eccezioni: l’azienda non perseguì mai una strategia di internazionalizzazione.
Il progressivo declino della domanda di fotocamere artigianali fu segnato da due fattori principali: la diffusione della fotografia portatile a pellicola 35mm, con modelli come Leica, e l’avanzare dell’industria meccanizzata tedesca e giapponese, in grado di offrire buoni livelli qualitativi a costi inferiori.
A questo si aggiunse un evento personale che segnò la fine dell’azienda: la morte improvvisa di Carl Lundelius nel 1942, all’età di 59 anni. Non avendo lasciato eredi con esperienza nel settore, né un piano di successione aziendale, il laboratorio chiuse pochi mesi dopo la sua scomparsa. I macchinari vennero ceduti a un’officina meccanica di Minneapolis, e le scorte di componenti rimasero per anni inutilizzate.
Oggi si stima che esistano meno di cento esemplari completi di fotocamere Lundelius. Alcuni sono conservati in collezioni museali, come lo Smithsonian o il Chicago Museum of Applied Arts, ma la maggior parte appartiene a collezionisti privati o discendenti dei clienti originali. Gli strumenti sono ancora perfettamente funzionanti, e in molti casi superano in precisione e durata macchine industriali moderne.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
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