La storia della Ducati nel campo fotografico rappresenta un capitolo poco noto ma tecnicamente affascinante dell’industria italiana del dopoguerra. Mentre oggi il marchio è sinonimo di motociclette ad alte prestazioni, tra il 1946 e il 1952 l’azienda bolognese si cimentò nella realizzazione di fotocamere di precisione, dimostrando un approccio ingegneristico innovativo seppur destinato a rimanere marginale sul mercato.
Fondazione e contesto storico (1926-1944)
La Società Scientifica Radio Brevetti Ducati venne costituita nel 1926 dai fratelli Adriano, Bruno e Marcello Ducati, inizialmente specializzata in componenti elettrici come condensatori e radio. La svolta verso l’ottica avvenne nel 1938, quando l’azienda avviò una collaborazione con il Regio Istituto Nazionale di Ottica di Firenze, diretto dal fisico Vasco Ronchi. Questo sodalizio scientifico permise alla Ducati di sviluppare competenze nel campo delle lenti e dei dispositivi ottici, principalmente per applicazioni militari.
Lo stabilimento di Borgo Panigale, completato nel 1935, divenne il centro nevralgico della produzione. Tuttavia, nell’ottobre 1944, i bombardamenti alleati rasero al suolo l’impianto, interrompendo temporaneamente le attività. Durante l’occupazione tedesca, parte del know-how tecnico venne preservato grazie a progetti segreti sviluppati in collaborazione con il fisico Giuliano Toraldo di Francia, figura chiave nella genesi della futura fotocamera Sogno.
Il passaggio alla produzione civile avvenne nel 1946, in un’Italia alle prese con la ricostruzione postbellica. La Ducati scelse di puntare sul mercato fotografico con un prodotto ambizioso: una microcamera a telemetro che combinasse compattezza e prestazioni elevate. L’obiettivo era competere con i modelli tedeschi come la Leica, ma con soluzioni meccaniche originali e un design distintivo.
Lo sviluppo della Sogno (1946-1948)
Presentata ufficialmente alla Fiera di Milano del 1946, la Ducati Sogno rappresentava un concentrato di tecnologia avanzata. Il corpo macchina, dalle dimensioni di un pacchetto di sigarette (85x65x35 mm), ospitava un otturatore a tendina con tempi da 1/20 a 1/500 di secondo, gestito da un sistema a molla con tensione variabile. A differenza dei modelli Leica, il meccanismo utilizzava una fessura fissa tra le tendine, regolando la velocità di scorrimento anziché l’ampiezza dell’apertura. Questa soluzione, brevettata nel 1947, garantiva una maggiore affidabilità meccanica e permetteva la sincronizzazione flash su tutti i tempi tramite modifiche esterne.
Il formato 18×24 mm (mezzo fotogramma 35 mm) richiedeva l’uso di caricatori speciali da 15 pose, realizzati in alluminio anodizzato. La pellicola doveva essere caricata al buio tramite una bobinatrice dedicata, operazione che limitò l’adozione da parte del pubblico non specializzato. La Ferrania tentò di commercializzare rullini prericaricati, ma la produzione risultò troppo costosa e discontinua.
L’elemento più rivoluzionario era il sistema di messa a fuoco, basato su un telemetro a tre lenti mobili anziché su specchi semi-riflettenti. Questo design, coperto da brevetto n. 435.256 del 1948, riduceva le distorsioni ottiche mantenendo un ingombro minimo. L’innesto a baionetta consentiva di montare obiettivi intercambiabili prodotti dalle Officine Galileo di Firenze, tra cui:
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Dugon 19mm f/6.3 (grandangolare estremo)
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Argon 28mm f/4
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Vitor 35mm f/3.5 (standard)
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Teletor 120mm f/5.6
Ogni ottica era accompagnata da mirini galileiani specifici, agganciabili alla slitta superiore. La presenza di una ghiera diottrica sotto il selettore dei tempi permetteva di regolare il mirino in base alla vista dell’operatore, dettaglio inconsueto per l’epoca.
Caratteristiche tecniche avanzate (1948-1950)
La Sogno incorporava soluzioni meccaniche all’avanguardia. Il caricamento della pellicola avveniva tramite un sistema a doppia bobina con frizione magnetica, progettato per prevenire strappi durante l’avanzamento. Il contapose, situato attorno alla manopola di riavvolgimento sul lato sinistro, utilizzava un meccanismo a stella con blocco automatico al quindicesimo fotogramma.
La struttura interna in leghe di alluminio pressofuso garantiva rigidità nonostante lo spessore ridotto (appena 18 mm tra la piastra frontale e il piano pellicola). Le tendine dell’otturatore, realizzate in seta gommata rinforzata con fili d’acciaio, erano protette da due lamelle metalliche scorrevoli che si aprivano solo al momento dello scatto, evitando il surriscaldamento da esposizione solare prolungata.
Per le applicazioni scientifiche, Ducati sviluppò accessori come:
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Adattatore per microscopia con regolazione micrometrica
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Flash esterno a magnesio con sincronizzazione meccanica
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Kit per riproduzione documenti con illuminazione laterale regolabile
Il prezzo iniziale di 82.000 lire (equivalente a circa 2.600 euro odierni) ne fece un oggetto elitario, accessibile solo a professionisti o appassionati facoltosi. Nonostante ciò, la qualità costruttiva era eccellente: gli obiettivi Galileo utilizzavano lenti al torio-crown con trattamento antiriflesso a doppio strato, una tecnologia derivata dalle ottiche per periscopi sottomarini sviluppate durante la guerra.
La Simplex e il declino (1950-1952)
Nel tentativo di ampliare il mercato, nel 1950 Ducati introdusse la Simplex, versione economica della Sogno priva di telemetro e con ottica fissa Etar 35mm f/3.5. Il corpo, leggermente più spesso (42 mm), manteneva l’otturatore a tendina ma con tempi ridotti a 1/25-1/250 sec. La mancanza di un innesto per obiettivi intercambiabili e l’assenza della ghiera diottrica ne limitarono l’appeal tecnico, mentre il prezzo di 48.000 lire rimaneva proibitivo per il pubblico di massa.
I problemi commerciali furono esacerbati da fattori esterni. Nel 1951, la nazionalizzazione dell’industria ottica tedesca portò sul mercato modelli concorrenti a basso costo come la Certo6. Parallelamente, la Ducati affrontò accuse di collaborazionismo con il regime fascista, danneggiando la reputazione del brand.
La produzione totale stimata ammonta a 10.000 esemplari della Sogno e 2.000 Simplex, molti dei quali rimasero invenduti. Nel tentativo di smaltire le scorte, nel 1952 l’azienda offrì le fotocamere come omaggio agli acquirenti delle prime motociclette Ducati 60, strategia che segnò la fine dell’avventura fotografica.