La W. Allen, Camera Manufacturer emerse intorno al 1891 a Maidenhead, Berkshire, in Inghilterra. Fondata da William Allen (le notizie biografiche precise restano incerte), l’azienda si affermò nel settore delle macchine fotografiche di alta qualità fino circa al 1917. La conoscenza che possediamo di W. Allen deriva principalmente da rari esemplari prodotti – solo tre modelli noti: la Ideal Field Camera, la New Studio Camera e la Square Bellows Long Extension. Questo numero esiguo di modelli non implica un’attività modesta; al contrario, suggerisce una produzione altamente selettiva e artigianale, rivolta a fotografi professionisti e dilettanti evoluti.
Operando nell’epoca d’oro della fotografia su lastre, Allen si inserì in un contesto estremamente competitivo, caratterizzato da eccellenza meccanica e attenzione ai dettagli. La sua produzione si contraddistinse per la robustezza dei materiali (quasi sempre legno massello di quercia o mogano), la precisione nelle cuciture delle soffietti e la cura della finitura. Nonostante le fonti siano frammentarie, sappiamo che lo stabilimento era situato al 31 York Road, Maidenhead .
Caratteristiche tecniche e modelli principali
La produzione includeva telecamere di campagna e studio dotate di tecnologia all’avanguardia per l’epoca. La più celebre è la Ideal Field Camera, realizzata a partire dal 1902. La sua struttura pieghevole e compatta la rendeva un’alleata perfetta per fotografi in movimento, mantenendo un’area operativa solida e stabile. Era disponibile in formati variabili: half‑plate, whole‑plate, 10×12 e 15×12 pollici; questa versatilità testimonia il rigore applicato anche nelle tolleranze costruttive.
La Square Bellows Long Extension, anch’essa del 1910, introduceva una soffietto quadrata a lunga estensione, fornendo focali più lunghe e maggiore distanza tra l’obiettivo e il piano pellicola. Strutturalmente, era dotata di guide in ottone cromato, meccanismi di innesto delle staffe e sistema di regolazione micrometrica: elementi che fondono la tradizione inglese delle field camera con tecniche innovative.
La produzione includeva inoltre la New Studio Camera (1910), di uso prevalentemente indoor. Rispetto al modello da campo, questa offriva montature più robuste e piani verticali, ottimizzati per il controllo geometrico e la coerenza di prospettiva. La qualità dichiarata degli slitte porta lastra (“dark slides”) era particolarmente apprezzata dai collezionisti.
Dal punto di vista engineering, i componenti strutturali rispettavano tolleranze inferiori al millimetro. I giunti delle guide presentavano piani molleggiati per evitare rigature del legno. La chiusura delle lastre era garantita da inserti in feltro e guarnizioni metalliche che evitavano la luce indesiderata. Le rifiniture in ottone erano spesso dorate, a garanzia di protezione contro l’ambiente londinese umido, mentre il legno di mogano veniva lasciato a vista, spesso trattato con olio di lino per preservarne la naturale venatura.
Il processo produttivo
Il processo avviava con la selezione di tavole di legno stagionato per anni, in depositi chiusi, per consumazione dell’umidità residua. Le staffe venivano tagliate in modo tale da garantire un bilanciamento ottico e meccanico, specialmente sui piani mobili frontali/posteriori. La realizzazione delle guide avveniva per tornitura e fresatura di massa, seguite da una levigatura manuale e rifinitura con lacche protettive.
La costruzione del soffietto richiedeva l’uso di tessuto indiano triplo-strato, particolarmente denso, cucito con cotone cerato. Ogni angolo era ribattuto per garantire tenuta alla luce, e i policarbonati interni venivano rinforzati con cordino. Il montaggio prevedeva l’incastro meccanico delle cinture guida lunghe, con microviti in ottone. L’intero assemblaggio era testato in camera oscura per verificare la totalità ermetica.
Durante il montaggio, ogni singolo componente riceveva un’impronta a fuoco: lo “stampaggio diretta nell’intelaiatura in legno”, come testimoniato da un modello dell’Ideal Field Camera ancora oggi visibile . Il collaudo finale prevedeva riprese su lastra 10×12, valutando l’uniformità della messa a fuoco su tutta la superficie. Eventuali deviazioni superiori a 0,2 mm venivano corrette tramite aggiustamenti meccanici.
Nonostante la produzione limitata, la qualità delle macchine Allen rimane eloquente. A cavallo del passaggio tra XIX e XX secolo, molte aziende storiche sopravvivevano producendo versioni più economiche o staccate da realtà centralizzate. Allen, invece, mantenne un approccio artigianale. Le macchine Allen venivano offerte a una nicchia internazionale, adatte sia alla fotografia paesaggistica, sportiva o stereografica, grazie alla precisione meccanica e alla flessibilità modulare.
Rispetto ai colossi dell’epoca, come i tedeschi Goerz e Zeiss, Allen non poté mai competere in scala produttiva, ma si posizionò come una realtà boutique, con macchine ancora richieste in collezioni. L’esperienza straniera – ingegneri meccanici formatisi presso studi ottici tedeschi – fu integrata in un approccio “made in England” che puntava su estetica, cura estetica e affidabilità operativa.