La Albini Company viene fondata nel 1896 nel quartiere di Niguarda, a Milano, come Albini L. & C., con l’obiettivo di sviluppare fotocamere destinate direttamente al mercato amatoriale. Il contesto industriale dell’epoca, caratterizzato da un crescente interesse per la fotografia come passatempo, particolarmente in Italia, vede in Albini un pioniere nella produzione di apparecchi semplici ma ben costruttivamente realizzati, capaci di offrire risultati qualitativamente validi per il pubblico non specialistico.
Nei primi anni di attività, l’azienda concentra tutte le sue risorse su modelli box portatili, studiati per la praticità d’uso e la robustezza. Si tratta di fotocamere compatte, prive di soffietto, con corpi in legno e rivestimenti in lacca o pelle, facilmente trasportabili. Queste macchine impiegano supporti rigidi tipo lastre di vetro (glass‑plates) e offrono un numero limitato di scatti, in genere da 3 a 6 per ciascun blocco. Tecnologicamente semplici, lavorano con ottiche acromatiche a menisco o doppio menisco, diaframma fisso tra f/11 e f/16 e otturatori a tendina su custodie o incorporati, in grado di coprire solo lo scatto istantaneo e la posa lunga (Time/Instant). Il mirino era di norma di tipo diretto, con finestrella singola, e a volte doppio per inquadratura verticale/orizzontale.
Nel 1905, Albini viene acquisita da Ganzini & Namias, realtà consolidata nel commercio di materiale fotografico e chimico. Mario Ganzini, imprenditore attivo nella distribuzione e produzione, insieme a Rodolfo Namias, professore e fondatore della rivista Il Progresso Photo (1894), apportano risorse finanziarie e capacità tecniche che portano ad una trasformazione industriale dell’azienda. La denominazione commerciale diventa “Alba”, mantenendo un chiaro riferimento al marchio originale, ma introducendo una gamma molto più articolata di fotocamere, tutte contraddistinte da nomi come Alba 51, Alba 63, Alba 64, “Auto-Alba” e genericamente “Alba xx”.
Fino al 1910, il catalogo comprende già più di venti modelli, spaziando tra folding per lastre 9×12 cm, 6.5×9 cm, 4.5×6 cm, e versioni a rullino, spesso su formato 127 o 120. Nascono fotocamere detective con magazines da 6 o 12 lastre, modelli da tasca pieghevoli con soffietto in pelle, corpi in metallo smaltato nero con rifiniture nichelate, e ottiche “Albini Doppio Anastigmatico” f/5.5 corredate di otturatori interni a tre tempi (1/25, 1/50, 1/100 + B). Il meccanismo di tenuta dei soffietti è curato, grazie a boccole metalliche interne e anelli di fissaggio smontabili, mentre il meccanismo di chiusura sfrutta piastre metalliche a battente che proteggono l’obiettivo in modalità ripiegata.
Tra i modelli più importanti si segnala l’Alba 64 Brevettato, introdotta attorno al 1915, una fotocamera pieghevole con soffietto in pelle, corpo in metallo smaltato, ottica doppio anastigmatico f/5.5 e un otturatore interno regolabile con tre tempi e posa B. Il mirino era di tipo reversibile a visione chiara, con fuoco fisso all’apertura completa e meccanica robusta per l’armamento. Era progettata per vetro lastre, ma alcuni esemplari ammettevano un adattamento a roll film.
Parallelamente veniva proposta la Auto‑Alba, macchina detective con magazine per 12 lastre in formato 6.5×9 cm o 9×12 cm, dotata di ottica e otturatore analoghi alle folding, ma con meccanismo a sportello e impugnatura progettata per agevolare lo scatto rapido, adatta anche per uso paesaggistico e reportage rapido amatoriale.
Le dimensioni delle fotocamere Alba variavano notevolmente: dalla compatta pocket da 4.5×6 (modello Baby Alba o Alba 63) fino ai modelli grandi da studio 13×18 cm, come la raffinata Alba 13×18, costruita in mogano lucidato con rifiniture in nichel, soffietti doppi, movimenti di decentramento e rotaie di precisione. Studiata per ritratti e architettura, offriva una versatilità costruttiva di alto livello in un corpo pieghevole.
Nel 1924, con l’uscita dal mercato di Mario Ganzini, la Albini Company interrompe la sua produzione. Il mercato fotografico è mutato: la fotografia amatoriale punta ormai su apparecchi a pellicola 35 mm, e la concorrenza internazionale (tedesca, americana e giapponese) impone standard produttivi industriali verso cui Albini non riesce a orientarsi.
Analisi tecnica approfondita di modelli rappresentativi
Le fotocamere Albini si caratterizzano per la costruzione robusta, con una prevalenza di metalli smaltati o nichelati, legno spesso per i modelli grandi, e soffietti in pelle di elevata qualità. La protezione con ottone smaltato sui corpi a soffietto conferisce eleganza e solidità. I bocchettoni ottici e i perni sono realizzati con tolleranze dell’ordine del centesimo di millimetro, garantendo allineamenti precisi tra ottica e piano di fuoco, essenziali nei formati medio‑grandi.
L’ottica Doppio Anastigmatico f/5.5, brevettata, è composta da lenti in vetro Crown e Flint, con trattamento superficiale di smalto per ridurre aberrazioni sferiche. Questa lente lavorava tradizionalmente a stop f/11 quando la camera era ripiegata e apriva il lamierino fino a f/5.5 al momento dell’uso, risultando un sistema semplificato ma efficace per migliorare la qualità dell’immagine.
L’otturatore interno Alba regolabile a due o tre tempi (1/25–1/100) + posa B funzionava tramite una combinazione di molle a spirale e bilancieri calibrati. La versatilità su tre tempi standard garantiva una copertura fotografica per condizioni “sole/fotografia esterna”, “ombra/paesaggio”, “interni/ritratto” e posa B. Il sincronismo per flash rimase assente, in linea con lo spirito amatoriale.
Il meccanismo di apertura manuale del soffietto e di armamento dello specchio interno (nei detective) avveniva in pochi passi sequenziali: apertura portasoffietto, scatto leva primaria, avanzamento film sui modelli magazine. Nei modelli detective la rotazione del magazine ad anello interno sbloccava automaticamente la lastra, riducendo il rischio di doppia esposizione. Il design prevedeva un fermo a scatto che produceva un “click” tattile, indicatore di pre-armamento.
La visualizzazione era affidata a un mirino reversibile a piastra di vetro o ottone, corredato da un tondino trasparente montato su rotella. L’equilibrio ottico del mirino era calibrato per coincidere con l’inquadratura effettiva, un problema spesso trascurato nelle box-camera; Albini invece lo risolve con precisione. Nei modelli detective erano presenti anche piccoli prismi per la visione laterale prospettica.
Gli Allineamenti e piani focali sono stati dimensionati con accuratezza: per il 6.5×9 la distanza tra vetro porta lastra e ottica era calibrata a ±0.1 mm e la piastra manteneva piattezza sotto tensione. Negli apparecchi da studio 13×18, venivano usati rulli a vite di metallo duro per il movimento fino a 5 cm, consentendo decentramento orizzontale/verticale entro ±15 mm.
Il rivestimento in nichel e pelle nera, oltre a essere estetico, aveva una funzione antiriflettente interna, preservando la stabilità dell’esposizione. Nei dettagli costruttivi si nota l’utilizzo di viti metriche M1–M2, una praticità ancora rara per le tecnologie italiane del tempo, sinonimo di modernità industriale.
La valorizzazione collezionistica di questi modelli oggi è significativa: una detective Auto‑Alba 6.5×9 in buone condizioni può ricevere una valutazione di circa 90–120 USD, mentre modelli rari o in versione mint raggiungono anche 240 USD. Le folding in roll film di dimensioni medie hanno valutazioni più contenute, intorno a 10–40 USD, in base a rarità e completezza meccanica. Le grandi da studio, specie modelli con decentramento e soffietto doppio, raggiungono quotazioni superiori ai 500 USD.
Aggiornato Giugno 2025