Fondata in Germania nei primi anni Cinquanta, Goldammer Lichttechnik si afferma in un contesto storico e industriale di estrema complessità: la ricostruzione post-bellica, la modernizzazione della fotografia scientifica e documentaria, e l’esigenza crescente di sistemi d’illuminazione precisi, calibrati, affidabili. L’azienda nasce a Wetzlar, nel Land dell’Assia, centro nevralgico della produzione ottica tedesca, dove già operavano colossi come Leitz, Zeiss, Wild Heerbrugg, e altre aziende specializzate in strumenti ottici e meccanica di precisione. La posizione geografica e culturale inserisce Goldammer in un ecosistema altamente tecnico, da cui eredita rigore progettuale, standardizzazione di qualità e una visione fortemente ingegneristica del prodotto.
Fin dai suoi primi cataloghi, la Goldammer Lichttechnik si concentra sulla progettazione e costruzione di sistemi di illuminazione a luce continua per uso fotografico, cinematografico, medico e industriale, con particolare attenzione ai contesti in cui la resa luminosa deve essere costante, ripetibile e neutra. A differenza di molte altre aziende europee del dopoguerra che puntavano sulla produzione di flash elettronici portatili o lampade al magnesio, Goldammer investe nella luce continua professionale, offrendo lampade al tungsteno ad alta stabilità, e successivamente sistemi a fluorescenza e lampade alogène, ottimizzate per studi fotografici, laboratori microscopici, riproduzione tecnica, e fotografia scientifica.
Un elemento centrale dell’identità Goldammer è la coerenza spettrale della luce emessa, particolarmente rilevante nelle applicazioni che richiedono riproduzione fedele del colore, come la fotografia di archivi, musei, o la documentazione di opere d’arte e tessuti. I loro primi modelli di lampade modulari per tavoli di riproduzione o per montaggio su colonne verticali erano apprezzati per la capacità di offrire un’illuminazione perfettamente simmetrica, priva di riflessi parassiti, con un controllo preciso della temperatura colore.
Dal punto di vista costruttivo, le prime unità prodotte da Goldammer sono realizzate in alluminio anodizzato, con superfici riflettenti interne progettate con angoli geometrici precisi per ottimizzare la diffusione e ridurre l’aberrazione angolare. Gli attacchi delle lampade erano standardizzati secondo le normative DIN (Deutsches Institut für Normung), consentendo l’uso di bulbi al tungsteno da 150W, 300W e 500W, con flusso controllato tramite variatori di tensione resistivi integrati nella base del corpo lampada. In seguito, con l’evoluzione dell’elettronica analogica e la miniaturizzazione dei componenti, Goldammer introdusse anche dimmer elettronici lineari, in grado di regolare la potenza senza variazioni sensibili nella temperatura colore, evitando cioè che la luce diventasse “più calda” con l’abbassarsi dell’intensità, come accadeva con i reostati semplici.
L’azienda, pur mantenendosi sempre di dimensioni artigianali, ottenne appalti e collaborazioni con istituti accademici tedeschi, università tecniche, e musei. Già negli anni Sessanta, i sistemi Goldammer erano standard negli studi fotografici di documentazione scientifica della Technische Universität München, nei laboratori di microscopia della Universität Heidelberg, e nei dipartimenti di restauro del Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. In questi contesti, l’uniformità e la prevedibilità dell’illuminazione erano considerati fondamentali per garantire la ripetibilità dei risultati fotografici, aspetto cruciale in fotografia comparativa, catalogazione di oggetti d’arte o diagnostica medica tramite pellicole radiografiche.
Un ulteriore campo d’azione per Goldammer Lichttechnik fu quello della fotografia tecnica automatizzata, in particolare nei sistemi di riproduzione rotativa o lineare automatizzata per archivi cartacei, come schede perforate, microfilm, planimetrie. La stabilità meccanica dei supporti e la costanza luminosa resero le lampade Goldammer particolarmente apprezzate in ambito archivistico, dove l’illuminazione uniforme delle superfici doveva rimanere identica per centinaia o migliaia di scatti successivi.
Negli anni Settanta e Ottanta, Goldammer Lichttechnik si adeguò progressivamente ai cambiamenti imposti dalla fotografia cromogena, ampliando la propria gamma di apparecchi con soluzioni a spettro continuo bilanciato per il daylight (intorno ai 5500 K), sviluppando lampade al quarzo-iodio e versioni dotate di filtri intercambiabili in vetro ottico, calibrati secondo le specifiche Kodak Wratten. Questo rese possibile utilizzare i sistemi Goldammer anche con pellicole di tipo reversal (Ektachrome, Fujichrome) senza correzione in camera. L’adozione di vetri temperati antiriflesso e di materiali più leggeri, come policarbonato antiurto per i pannelli laterali, permise una maggior portabilità dei sistemi, destinati a essere montati su stativi standard con attacchi universali da 16 o 28 mm.
Con il crescente impiego della fotografia industriale automatizzata, Goldammer fu tra i primi produttori europei a dotare le proprie lampade di sistemi di raffreddamento a convezione forzata tramite ventole silenziate e griglie orientabili. Questo dettaglio tecnico risultò decisivo per l’uso prolungato in ambienti chiusi e per evitare il surriscaldamento delle emulsioni fotografiche e delle ottiche, specialmente nelle fotocamere medio formato a banco ottico, molto sensibili a variazioni termiche. In alcuni casi furono proposte versioni a raffreddamento liquido, destinate principalmente a microscopi a fluorescenza o riprese in camera sigillata.
Durante questo periodo, Goldammer stabilì anche accordi OEM (Original Equipment Manufacturer) con produttori di sistemi fotografici integrati come Zeiss Ikon, Leitz Photar, e alcune divisioni della Agfa-Gevaert, fornendo sistemi di illuminazione customizzati che venivano venduti con marchio del cliente ma costruiti secondo gli standard Goldammer. Questi moduli, spesso privi di logo, sono oggi difficili da identificare ma si riconoscono per l’inconfondibile disposizione simmetrica delle prese d’aria, per le rotelle in bakelite nera numerate, e per l’uso sistematico di cavi schermati con rivestimento tessile.
Nel corso degli anni Novanta, tuttavia, l’arrivo della fotografia digitale, unito al calo generalizzato della domanda di luce continua analogica, segnò l’inizio del declino di Goldammer Lichttechnik. L’ingresso massiccio di sistemi a LED e flash digitali TTL, unito alla chiusura o ristrutturazione di molti laboratori universitari e fotografici pubblici, ridusse progressivamente il mercato. L’azienda tentò di riconvertirsi verso sistemi di illuminazione per videografia e broadcast, ma non riuscì a competere con produttori asiatici e multinazionali ben più agili dal punto di vista commerciale.
Goldammer non fu mai assorbita da altre aziende e scomparve gradualmente dal mercato attorno al 2002, senza procedure fallimentari note. La produzione cessò senza comunicati ufficiali, lasciando una documentazione tecnica piuttosto scarsa, conservata solo parzialmente presso alcuni ex-distributori tedeschi e collezionisti privati. Oggi, le lampade Goldammer sopravvissute sono apprezzate dai restauratori di materiali d’epoca e dai fotografi analogici che lavorano su riproduzione d’arte e negativo grande formato, grazie alla loro affidabilità, qualità costruttiva e coerenza cromatica.
La presenza del marchio Goldammer nei cataloghi di fotografia scientifica, nei manuali tecnici degli anni Sessanta e Settanta, e nelle riviste specialistiche tedesche come Phototechnik International o Foto Prisma, conferma il ruolo storico di questo costruttore come riferimento assoluto nell’illuminotecnica fotografica professionale europea del dopoguerra.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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