Quando Edwin Herbert Land lasciò Harvard nel 1929, a soli diciassette anni, per dedicarsi autonomamente allo studio della luce polarizzata, era difficile immaginare che quel giovane, con una mente brillante e uno spirito profondamente innovatore, avrebbe rivoluzionato per sempre il mondo della fotografia. Nato nel 1909 a Bridgeport, nel Connecticut, Land si appassionò sin da ragazzo alla scienza dei materiali e alla fisica ottica. Fu proprio questa passione a condurlo a concepire un materiale sintetico in grado di polarizzare la luce: un’invenzione che pose le basi per la sua prima azienda, la Land-Wheelwright Laboratories, fondata nel 1932 e divenuta poi Polaroid Corporation. Inizialmente l’azienda si concentrò sulla produzione di filtri polarizzanti applicati in vari campi, tra cui occhiali da sole, strumenti militari e lenti fotografiche.
La seconda guerra mondiale segnò un momento chiave per Polaroid. L’azienda si affermò come fornitore strategico dell’esercito statunitense, producendo visori notturni, dispositivi di mira e sistemi ottici d’avanguardia. Ma fu solo nel dopoguerra che Land mostrò al mondo la sua idea più audace. Durante una vacanza nel 1943, la figlia di tre anni gli chiese innocuamente perché non potesse vedere subito la fotografia che le aveva appena scattato. Quella domanda infantile – così semplice eppure così potente – accese in Land l’immaginazione necessaria a concepire un nuovo paradigma fotografico: quello dell’istantaneità. Non più sviluppo in camera oscura, non più attese, ma un dispositivo che, in pochi minuti, restituisse un’immagine visibile direttamente nelle mani del fotografo.
Da quell’istante, Land avviò un’intensa attività di ricerca chimica e ingegneristica. Il suo obiettivo era creare un sistema integrato in grado di contenere, all’interno di una cartuccia, tutti gli elementi necessari per lo sviluppo fotografico: emulsioni, reagenti e supporti. Dopo anni di studio e numerosi brevetti depositati, nel 1947 presentò pubblicamente il primo prototipo di fotocamera istantanea davanti alla Optical Society of America. La dimostrazione lasciò senza parole l’intera platea. Per la prima volta, un’immagine fotografica appariva davanti agli occhi del pubblico in pochi minuti, senza necessità di sviluppi o stampe tradizionali.
Nel dicembre del 1948, la fotocamera Land Camera Model 95 fu commercializzata in esclusiva dal grande magazzino Jordan Marsh a Boston. Tutti i modelli disponibili furono venduti nel giro di poche ore. Nel primo anno, le vendite raggiunsero i cinque milioni di dollari, un risultato che superava ogni previsione e che proiettava la Polaroid in un’inedita posizione di avanguardia tecnologica e commerciale. La fotografia istantanea aveva ufficialmente fatto il suo ingresso nel mercato globale. Non era solo una novità tecnica: rappresentava una trasformazione culturale nel modo stesso in cui le immagini venivano concepite, consumate e condivise. Edwin Land non si era limitato a innovare un prodotto, ma aveva ridefinito l’intera esperienza fotografica.
Innovazione continua: il consolidamento della fotografia istantanea
Dopo il successo iniziale del Model 95, la Polaroid intensificò la propria attività di ricerca, convinta che la fotografia istantanea fosse ancora solo agli inizi del suo potenziale. Negli anni Cinquanta e Sessanta, la società introdusse una serie di migliorie tecniche, ampliando il catalogo di fotocamere e pellicole, ma soprattutto lavorando a una semplificazione dell’esperienza utente. Uno degli obiettivi principali era rendere la fotografia istantanea ancora più accessibile, migliorandone la qualità e riducendo i costi. Le nuove versioni della Land Camera si distinsero per una maggiore affidabilità, tempi di esposizione più brevi e ottiche più sofisticate.
Ma fu soprattutto l’introduzione della pellicola a colori a segnare un salto epocale. Nel 1963, Polaroid lanciò sul mercato la pellicola Polacolor, che permetteva finalmente di ottenere fotografie a colori attraverso un processo istantaneo. L’impatto sul pubblico fu immediato e travolgente. Non si trattava solo di una conquista tecnica, ma di un cambiamento nella percezione del valore dell’immagine: il colore aggiungeva una dimensione emotiva alla fotografia istantanea, rendendola più vivida e memorabile.
In quegli stessi anni, la società divenne un colosso industriale e tecnologico. I laboratori di ricerca di Cambridge, Massachusetts, si popolarono di chimici, fisici, ingegneri e tecnici di altissimo profilo. Edwin Land, che manteneva un controllo quasi assoluto sulle decisioni scientifiche e strategiche dell’azienda, promosse una cultura aziendale basata sull’innovazione e sulla fiducia nella ricerca pura. La sua figura, già ammirata nel mondo accademico e imprenditoriale, divenne mitica. Steve Jobs, molti anni dopo, lo considererà uno dei suoi modelli di riferimento.
Durante questo periodo, Polaroid divenne anche un punto di riferimento nella fotografia scientifica e documentaristica. Le sue pellicole venivano impiegate in ambito medico, forense e astronomico. L’immediatezza delle immagini rappresentava un vantaggio impareggiabile in situazioni in cui la rapidità era fondamentale. Anche la NASA fece uso delle tecnologie Polaroid durante i primi esperimenti nello spazio, apprezzandone la compattezza e l’autonomia operativa.
Dal punto di vista commerciale, la Polaroid riuscì a costruire un’identità di marca inconfondibile. Le campagne pubblicitarie puntavano sul valore emotivo del ricordo, sull’unicità del momento colto nell’istante esatto in cui si svolgeva. Le fotocamere diventarono oggetti del desiderio, presenti nelle case di milioni di famiglie. Iniziava a formarsi l’iconografia visiva di un’epoca: fotografie con il bordo bianco, colori saturi, istanti immortalati con spontaneità. Era un linguaggio nuovo, autentico, quotidiano.
Negli anni Sessanta, la Polaroid non era più solo un’azienda tecnologica, ma una realtà culturale. Le sue fotocamere venivano utilizzate anche da artisti e fotografi professionisti, che cominciavano a intuire le potenzialità espressive del formato istantaneo. Le polaroid non erano più semplici scatti domestici: diventavano opere d’arte, documenti sociali, frammenti di un tempo che non aveva bisogno di attese per essere ricordato.
La SX-70 e la consacrazione culturale della fotografia istantanea
All’inizio degli anni Settanta, la Polaroid aveva consolidato il suo ruolo di leader nell’industria della fotografia istantanea. Tuttavia, Edwin Land non era interessato a mantenere semplicemente il vantaggio acquisito: voleva stupire di nuovo il mondo. Il risultato di questa ambizione fu la Polaroid SX-70, una fotocamera che segnò il punto più alto dell’ingegno tecnico e del design industriale dell’azienda. Lanciata ufficialmente nel 1972, la SX-70 fu una rivoluzione su tutti i fronti: era la prima fotocamera reflex SLR pieghevole, interamente automatica, in grado di produrre fotografie a colori autosviluppanti senza necessità di alcuna manipolazione manuale.
La SX-70 era un oggetto tecnologico tanto sofisticato quanto elegante. Quando era chiusa, assomigliava più a un taccuino rigido in pelle che a una macchina fotografica; una volta aperta, si trasformava in un dispositivo dalla linea avveniristica, con una lente brillante, un mirino preciso e un corpo compatto. Ogni parte della macchina era stata progettata per essere al servizio dell’intuizione del fotografo, con un meccanismo interno di distribuzione dei reagenti che permetteva allo sviluppo chimico di avvenire in modo uniforme e completamente automatico. Il sistema motor-driven espelleva la pellicola dall’obiettivo subito dopo lo scatto, avviando istantaneamente il processo di sviluppo davanti agli occhi dell’utente.
Ma la SX-70 non fu solo un trionfo tecnico: fu anche un fenomeno culturale. Riviste come Life e Time le dedicarono ampi servizi, mentre artisti, fotografi e designer ne fecero uno strumento d’espressione privilegiato. Andy Warhol ne fu un grande estimatore: utilizzò la SX-70 in numerose sue opere, apprezzando la possibilità di creare immagini seriali, quasi compulsive, che riflettevano perfettamente il suo linguaggio visivo. Anche Ansel Adams, noto per i suoi paesaggi in grande formato, si avvicinò alla Polaroid, riconoscendo nella fotografia istantanea una risorsa creativa capace di stimolare nuove soluzioni formali.
L’impatto della SX-70 si fece sentire anche nel mondo della moda, della pubblicità e della fotografia editoriale. Il formato quadrato, i colori saturi e l’estetica immediata diventarono elementi ricorrenti nella visual culture degli anni Settanta. Le immagini prodotte con la SX-70 cominciarono ad apparire su copertine di riviste, cataloghi commerciali e progetti artistici. L’immagine istantanea perdeva ogni residuo di marginalità amatoriale e si imponeva come linguaggio autonomo, legittimato anche dalle istituzioni museali.
Nel frattempo, Polaroid continuava a espandere il proprio portafoglio di prodotti. Vennero introdotte versioni semplificate della SX-70, pensate per un pubblico meno esperto e più giovane. Nacquero nuovi formati di pellicola, più rapidi e stabili, e furono sviluppati accessori pensati per ampliare l’esperienza fotografica: flash dedicati, autoscatto, treppiedi, kit per la macrofotografia. Ogni elemento contribuiva a rendere la fotografia istantanea sempre più vicina a un gesto quotidiano, senza per questo perdere la sua magia.
L’ambizione visionaria di Edwin Land trovava così la sua espressione più alta: la Polaroid non era più soltanto una tecnologia innovativa, ma una grammatica visiva, un’abitudine sociale, un simbolo del tempo presente. La SX-70 sanciva il definitivo passaggio della fotografia istantanea da curiosità tecnica a fenomeno culturale. Nel decennio successivo, questo linguaggio visivo avrebbe continuato a diffondersi e mutare, ma le fondamenta erano ormai solide. Polaroid era, senza dubbio, il marchio di riferimento di un’epoca.
Espansione globale e crisi annunciata: l’epoca della serie 600
Mentre la SX-70 dominava gli anni Settanta con il suo fascino sofisticato, la direzione aziendale della Polaroid comprendeva che il successo su vasta scala dipendeva dalla capacità di semplificare ulteriormente la tecnologia e renderla economicamente accessibile. Nel 1977 arrivò la risposta a questa esigenza: la Polaroid OneStep, capostipite della nuova serie 600, destinata a diventare la fotocamera istantanea più venduta della storia del marchio. Con un design minimale, materiali plastici resistenti e un prezzo decisamente più contenuto rispetto alla SX-70, la OneStep conquistò il mercato statunitense ed europeo nel giro di pochi anni. Era pensata per chiunque: adolescenti, famiglie, studenti, turisti. Bastava puntare, scattare e attendere qualche secondo.
La serie 600 ridefinì l’identità visiva della fotografia istantanea. La pellicola prodotta per questa gamma offriva colori brillanti, tempi di sviluppo ridotti e una maggiore stabilità nel tempo. Le immagini ottenute con la OneStep e le sue derivate avevano un carattere distintivo, reso ancora più iconico dal bordo bianco che incorniciava ogni scatto. Fu proprio questa estetica riconoscibile a ispirare il design del primo logo di Instagram, segno evidente dell’influenza culturale che Polaroid aveva esercitato anche sull’era digitale.
Negli anni Ottanta, Polaroid raggiunse il suo apice industriale. L’azienda contava decine di migliaia di dipendenti in tutto il mondo, stabilimenti in Europa e Asia, e una quota di mercato dominante nel segmento delle fotocamere istantanee. Ma mentre i numeri raccontavano una crescita apparentemente inarrestabile, sotto la superficie cominciavano ad emergere segnali di crisi. Le prime fotocamere digitali, inizialmente lente e costose, iniziavano a diffondersi nei contesti professionali, prefigurando un cambiamento strutturale nel modo di intendere la fotografia.
La dirigenza di Polaroid, pur consapevole delle innovazioni in corso, sottovalutò l’impatto della rivoluzione digitale. L’azienda continuò a investire nella produzione di pellicole e nel miglioramento dei suoi dispositivi analogici, convinta che la qualità, la praticità e il fascino dell’istantanea sarebbero bastati a contrastare la concorrenza emergente. Tuttavia, la rapidità con cui la tecnologia digitale evolse superò ogni previsione. All’inizio degli anni Novanta, le fotocamere digitali compatte cominciarono a conquistare il pubblico consumer, minacciando direttamente il cuore del business Polaroid.
La risposta fu incerta e disomogenea. Si tentò una diversificazione del prodotto, con stampanti fotografiche portatili, prototipi di dispositivi ibridi e collaborazioni con aziende informatiche, ma nessuna delle nuove iniziative riuscì a replicare il successo delle vecchie glorie. Parallelamente, la competizione con Kodak per il mercato delle istantanee – sfociata in una battaglia legale per violazione di brevetti che Polaroid vinse nel 1991 – drenò risorse e distolse l’attenzione dalla necessità di una vera innovazione strategica.
A metà degli anni Novanta, la situazione finanziaria cominciò a deteriorarsi. Le vendite rallentarono, il debito aumentò, e il modello industriale basato su produzione chimica e supporti fisici mostrava tutti i suoi limiti in un mondo sempre più digitalizzato. La fotografia stava cambiando in maniera irreversibile, e con essa anche le abitudini di consumo. L’istantaneità non era più un’esclusiva Polaroid: lo schermo di una fotocamera digitale restituiva lo scatto in tempo reale, senza bisogno di pellicole, cartucce o sviluppo chimico. L’epoca d’oro della fotografia istantanea sembrava giunta al tramonto.
La rinascita analogica: l’Impossible Project e il ritorno del mito
Nel 2008, pochi mesi dopo l’annuncio della cessazione definitiva della produzione di pellicole Polaroid, un gruppo di appassionati e tecnici guidati dall’austriaco Florian Kaps decise di compiere un gesto tanto romantico quanto imprenditoriale: acquistare l’ultimo stabilimento produttivo operativo a Enschede, nei Paesi Bassi, e tentare l’impresa di riportare in vita la pellicola istantanea originale. Nacque così l’Impossible Project, una startup visionaria che si pose un obiettivo quasi donchisciottesco: reinventare da zero il processo chimico delle pellicole istantanee, dato che la formula originale era stata distrutta e le componenti chimiche non più disponibili sul mercato.
Il lavoro fu lungo, faticoso, e spesso segnato da fallimenti. Le prime pellicole prodotte erano instabili, con colori imperfetti e sensibilità limitata. Ma il fascino del gesto, la bellezza dell’errore, la poetica dell’immagine non perfetta contribuirono a costruire un nuovo mito. In pochi anni, l’Impossible Project divenne punto di riferimento per una nuova generazione di fotografi, designer, artisti e collezionisti. Il vintage divenne contemporaneo. La Polaroid, che sembrava destinata a restare nei mercatini dell’usato, tornava a popolare atelier e festival.
Nel 2017, il gruppo acquisì i diritti ufficiali del marchio e rilanciò la produzione con un nome nuovo ma familiare: Polaroid Originals. Poco dopo, il marchio tornò semplicemente a essere Polaroid, con un’identità rinnovata ma fedele alla propria storia. Nuove fotocamere vennero immesse sul mercato, tra cui la OneStep 2, la Polaroid Now e, nel 2023, la Polaroid I-2, capace di combinare controllo manuale, autofocus laser e compatibilità con i film originali. Non era un ritorno nostalgico, ma una dichiarazione: la fotografia analogica aveva ancora qualcosa da dire, anzi, forse oggi più che mai.
Oggi, Polaroid produce una gamma di nuove fotocamere istantanee, come la OneStep 2, la Now+, la Go e la professionale I-2, capaci di combinare il fascino analogico con funzioni moderne come la connettività Bluetooth, la regolazione manuale e app dedicate per la modifica degli scatti. Le pellicole prodotte a Enschede rispettano standard qualitativi elevati e continuano a evolversi, offrendo formati, bordi e colori variati. L’estetica Polaroid, con il suo inconfondibile bordo bianco e la texture materica, è tornata protagonista non solo nella fotografia, ma anche nella grafica, nella moda e nel design contemporaneo.
La storia della Polaroid è una parabola industriale unica nel suo genere. Dalla visione di un giovane scienziato al declino tecnologico, dalla bancarotta alla resurrezione, ha attraversato un intero secolo raccontando molto più della semplice evoluzione della fotografia. Ha parlato di innovazione, di estetica, di desiderio umano di fissare l’istante. Oggi, nell’era delle immagini infinite e smaterializzate, Polaroid rappresenta un gesto controcorrente: stampare un solo scatto, tenerlo in mano, e sapere che è irripetibile.
Articolo aggiornato Luglio 2025

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
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