La stabilizzazione ottica dell’immagine, indicata con l’acronimo OIS (Optical Image Stabilization), è una tecnologia meccanico-ottica progettata per compensare in tempo reale i movimenti involontari della fotocamera, riducendo in modo significativo il rischio di micromosso e migliorando la nitidezza delle immagini, in particolare a lunghe focali o in condizioni di scarsa illuminazione. A differenza della stabilizzazione elettronica (EIS), l’OIS interviene a monte del sensore, modificando fisicamente la posizione di uno o più elementi del gruppo ottico, tipicamente mediante un sistema a lenti flottanti sospese e controllate da attuatori elettromagnetici o piezoelettrici.
Il principio tecnico alla base dell’OIS è quello del decentramento controllato di una lente di compensazione situata in uno specifico punto del percorso ottico, solitamente in prossimità dell’elemento anteriore o del gruppo centrale. Quando un movimento indesiderato viene rilevato dai sensori giroscopici presenti nel corpo obiettivo o, in alcuni casi, nella fotocamera stessa, un sistema di controllo analogico-digitale calcola in tempo reale lo spostamento necessario da applicare all’elemento flottante per mantenere l’immagine proiettata stabile sul piano focale.
Dal punto di vista della fisica ottica, la lente mobile agisce come correttore angolare, modificando leggermente l’asse ottico per contrastare i movimenti rilevati. Ad esempio, se la fotocamera si muove leggermente verso destra, l’OIS sposta la lente verso sinistra per mantenere inalterata la direzione del fascio luminoso. Questo processo avviene nell’ordine dei millisecondi, e può compensare spostamenti rotazionali (yaw e pitch), e, nei sistemi più avanzati, anche traslazionali, seppur con limitazioni legate alla natura dell’intervento ottico.
Dal punto di vista costruttivo, un obiettivo dotato di OIS presenta un gruppo flottante montato su supporti elastici o guide magnetiche, comandato da una coppia di bobine a campo controllato. I giroscopi (MEMS) rilevano la direzione e l’intensità del movimento, e inviano il segnale a un microprocessore che aziona il movimento correttivo. La difficoltà progettuale sta nel trovare un equilibrio tra massa della lente mobile, velocità di reazione e spazio interno. Nei teleobiettivi, la massa dell’elemento flottante può superare i 30 grammi, richiedendo attuatori potenti e precisi.
Storicamente, l’OIS è stato introdotto per la prima volta in ambito fotografico da Canon con il sistema IS (Image Stabilization) nel 1995 sull’obiettivo EF 75–300mm f/4–5.6 IS USM, seguito a breve distanza da Nikon con la sua tecnologia VR (Vibration Reduction). Entrambe le aziende basarono le prime generazioni su due assi (pitch e yaw), con algoritmi relativamente semplici ma già efficaci. L’OIS fu un’innovazione particolarmente apprezzata nel settore dei superteleobiettivi, dove la lunghezza focale amplifica qualsiasi vibrazione anche minima, rendendo quasi impossibile lo scatto a mano libera.
Nel corso degli anni, i sistemi OIS si sono evoluti fino a comprendere algoritmi predittivi, sensori di posizione assoluta, moduli dual-axis e tri-axis, e, in alcuni casi, anche giroscopi di precisione su scala industriale. L’integrazione con il firmware della fotocamera ha consentito ottimizzazioni dinamiche della stabilizzazione, adattando la risposta a seconda del tipo di ripresa: soggetti statici, panoramiche lente, panning, tracciamento.
Nei sistemi più moderni, l’OIS può lavorare in sinergia con l’IBIS, creando un effetto stabilizzante combinato che migliora la risposta su più assi e consente una maggiore estensione temporale dell’esposizione. Questo approccio, adottato da Panasonic (Dual IS), Olympus (Sync IS), Canon (Coordinated IS) e Sony (Active IS), rappresenta uno stato dell’arte per la stabilizzazione d’immagine a livello consumer e professionale.
Applicazioni pratiche, vantaggi operativi e differenze architetturali
L’OIS è oggi una componente chiave in numerose categorie di dispositivi fotografici e video, inclusi obiettivi intercambiabili per reflex e mirrorless, compatte professionali, fotocamere bridge, smartphone top di gamma, e persino binocoli stabilizzati. Il suo impatto è particolarmente evidente nelle condizioni in cui il fotografo è soggetto a movimenti naturali, come durante la ripresa a mano libera, in movimento, o in situazioni con tempi di esposizione relativamente lunghi.
Il vantaggio operativo più immediato è la possibilità di utilizzare tempi di otturazione inferiori al reciproco della lunghezza focale senza introdurre micromosso. Su un obiettivo da 200 mm, dove convenzionalmente si scatta a non meno di 1/200 s, un sistema OIS efficace può consentire scatti nitidi anche a 1/30 s. I produttori indicano l’efficacia dell’OIS in “stop equivalenti”: un OIS da 4 stop consente di scattare a 1/15 s invece di 1/250 s.
Dal punto di vista architetturale, l’OIS richiede che la fotocamera comunichi in tempo reale con l’obiettivo, tramite protocolli a bassa latenza come Canon EF, Nikon F, Sony E o L-Mount. I dati giroscopici possono essere generati all’interno dell’obiettivo o, più recentemente, letti dalla fotocamera e inviati all’unità stabilizzatrice tramite firmware embedded. La latenza della comunicazione è cruciale: un ritardo superiore a 10 ms può compromettere la sincronizzazione del sistema, rendendo inefficace la stabilizzazione.
Nei sistemi professionali, il controllo dell’OIS avviene anche in base a preset comportamentali: modalità statica (tutti gli assi), mode 2 (solo asse verticale, per panoramiche orizzontali), mode 3 (attivo solo al momento dello scatto, per tracciare soggetti in movimento). Canon e Nikon hanno perfezionato queste modalità nel tempo, offrendo al fotografo una gestione precisa del comportamento dell’OIS in base alla scena.
In ambito video, l’OIS consente di ottenere riprese fluide anche senza l’uso di supporti esterni. Pur non essendo progettato per compensare grandi escursioni come un gimbal, l’OIS può ridurre drasticamente le vibrazioni generate dalla respirazione, dal battito cardiaco o dal semplice movimento delle mani. Le videocamere professionali da spalla come le Canon XF o le Sony PXW integrano elementi OIS nei gruppi ottici, calibrati per l’uso con focali lunghe e soggetti in movimento.
L’OIS è anche preferito rispetto all’EIS in tutti quei contesti in cui la qualità ottica e la risoluzione non possono essere compromesse. Poiché la stabilizzazione avviene prima che l’immagine raggiunga il sensore, non vi è nessuna perdita di angolo di campo, risoluzione o deformazione prospettica. Questo è particolarmente importante nella fotografia paesaggistica, nella macrofotografia ad alta definizione, e nella fotografia scientifica dove la qualità dell’immagine deve restare inalterata.
Limiti tecnologici e problematiche nella progettazione dell’OIS
Nonostante la sua efficacia, l’OIS presenta vincoli fisici e tecnologici che ne limitano l’impiego universale. Il primo è di natura meccanica: integrare un sistema stabilizzante richiede spazio fisico aggiuntivo all’interno del barilotto dell’obiettivo, il che può renderlo più lungo, pesante e costoso. La presenza di magneti e bobine, inoltre, impone scelte progettuali complesse per quanto riguarda l’equilibrio ottico e la disposizione interna delle lenti.
Il secondo limite riguarda la copertura assiale: la maggior parte dei sistemi OIS standard opera su due assi (pitch e yaw). A differenza dell’IBIS che può correggere anche rollio e traslazioni, l’OIS è meno efficace in presenza di movimenti complessi o vibrazioni laterali, come quelle generate da un veicolo in movimento o da oscillazioni trasversali. Alcuni obiettivi recenti, tuttavia, hanno ampliato l’efficacia anche sull’asse Z, in particolare nei supertele stabilizzati da Canon e Sony.
Un ulteriore svantaggio riguarda la compatibilità e la manutenzione: essendo integrato nel corpo dell’obiettivo, l’OIS è soggetto a usura meccanica, soprattutto in contesti di utilizzo professionale prolungato. Il malfunzionamento di una sola bobina può compromettere l’intero sistema, richiedendo assistenza tecnica specializzata. I produttori raccomandano anche di disattivare l’OIS durante l’uso su treppiede, poiché i piccoli movimenti di compensazione possono introdurre micro-movimenti se il sistema rileva erroneamente vibrazioni inesistenti.
La presenza dell’OIS influisce anche sul consumo energetico: un obiettivo stabilizzato richiede energia aggiuntiva per alimentare giroscopi e attuatori, riducendo l’autonomia complessiva della batteria, soprattutto nei sistemi mirrorless dove il corpo macchina ha già un consumo elevato per mirino elettronico, sensore sempre attivo e autofocus continuo.
A livello industriale, la progettazione e la calibrazione dell’OIS richiedono linee produttive separate, con tolleranze estremamente strette: gli elementi flottanti devono muoversi su guide magnetiche con scarti inferiori ai 5 micron, e la loro posizione deve essere costantemente monitorata da encoder ottici. Ogni modulo OIS è testato in fabbrica su banchi vibrometrici che simulano i movimenti reali di un operatore per validarne l’efficacia prima della commercializzazione.
Nonostante le sfide, l’OIS rimane uno degli strumenti più efficaci e richiesti nella fotografia moderna, soprattutto per chi lavora a mano libera, in ambienti dinamici, con ottiche lunghe o in condizioni di scarsa luce.

Mi chiamo Marco Adelanti, ho 35 anni e vivo la mia vita tra due grandi passioni: la fotografia e la motocicletta. Viaggiare su due ruote mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi più attenti, pronti a cogliere l’attimo, la luce giusta, il dettaglio che racconta una storia. Ho iniziato a fotografare per documentare i miei itinerari, ma col tempo è diventata una vera vocazione, che mi ha portato ad approfondire la storia della fotografia e a studiarne i protagonisti, gli stili e le trasformazioni tecniche. Su storiadellafotografia.com porto una prospettiva dinamica, visiva e concreta: mi piace raccontare l’evoluzione della fotografia come se fosse un viaggio, fatto di tappe, incontri e visioni. Scrivo per chi ama l’immagine come mezzo di scoperta e libertà, proprio come un lungo viaggio su strada.