L’evoluzione dei sensori fotografici digitali è una delle trasformazioni più decisive avvenute nella storia della fotografia, in grado di mutare profondamente l’architettura interna delle fotocamere e il concetto stesso di acquisizione dell’immagine. Dopo il passaggio dall’analogico al digitale avvenuto nel corso degli anni Novanta, i primi sensori CCD (Charge-Coupled Device) e successivamente CMOS (Complementary Metal-Oxide-Semiconductor) dominarono il mercato. Entrambi erano dispositivi piani, in cui tutti i componenti responsabili dell’elaborazione dell’immagine si trovavano sullo stesso strato di silicio. Questa struttura monolitica, se da un lato garantiva semplicità costruttiva, dall’altro limitava significativamente le performance in termini di velocità di lettura, efficienza luminosa e riduzione del rumore.
Il concetto di sensore stacked emerge dalla necessità di superare queste limitazioni, introducendo una struttura a strati sovrapposti in cui i compiti di raccolta fotonica e di elaborazione elettronica vengono fisicamente separati. Il primo impiego commerciale significativo di un sensore stacked si è avuto nel settore degli smartphone attorno al 2012, con l’obiettivo di migliorare la rapidità di lettura dei dati e di offrire prestazioni migliori in condizioni dinamiche. A partire dal 2014, però, il sensore stacked ha cominciato ad affermarsi anche in campo fotografico professionale, in particolare grazie all’adozione da parte di Sony con la linea Exmor RS, aprendo un nuovo capitolo nella progettazione dei sensori per fotocamere digitali.
Con l’introduzione del sensore stacked, la fotografia digitale ha compiuto un salto tecnologico significativo, paragonabile al passaggio dal dagherrotipo alla pellicola flessibile o da quest’ultima ai sensori CMOS. Per la prima volta, il sensore diventa una struttura tridimensionale in cui le funzioni sono distribuite su livelli sovrapposti, sfruttando tecnologie derivate dalla microelettronica e dall’industria dei semiconduttori avanzati. Ciò ha permesso una lettura dell’immagine più rapida, una riduzione drastica del rolling shutter, e un’elaborazione del segnale in tempo reale all’interno del chip stesso.
L’introduzione del sensore stacked è quindi da interpretarsi come il frutto di decenni di ricerca su materiali semiconduttori, interconnessioni ad alta densità e tecniche di bonding wafer-to-wafer. A differenza dei sensori tradizionali, nei dispositivi stacked è possibile integrare memorie DRAM o processori di segnale direttamente sotto al fotodiodo, permettendo un’elaborazione immediata dei dati e una velocità d’acquisizione fino a dieci volte superiore rispetto a un CMOS convenzionale. Questo approccio modulare si rivela ideale in ambiti ad alta velocità come il video in 4K/8K, la fotografia sportiva o naturalistica, e persino le applicazioni industriali e scientifiche.
La fotografia, nata come alchimia tra chimica e ottica, è ora una scienza della stratificazione: uno spazio tridimensionale, invisibile all’occhio, in cui la luce si trasforma in informazione con una precisione impensabile anche solo pochi anni prima. Il sensore stacked non è semplicemente un miglioramento incrementale: è una rottura con l’architettura piana del passato, una vera e propria riconfigurazione concettuale del sensore fotografico. Comprenderne i dettagli non significa solo afferrare un’evoluzione tecnologica, ma cogliere l’essenza di ciò che rende oggi possibile l’istantaneità, la raffica, l’HDR in tempo reale e la registrazione cinematografica ad altissima fedeltà.
Il principio fisico e l’architettura del sensore stacked
Per comprendere cosa distingue un sensore stacked da un CMOS tradizionale, occorre entrare nel dettaglio della sua struttura fisica e del modo in cui i dati vengono generati ed elaborati. Un sensore stacked si compone di almeno due strati principali: il layer superiore, dedicato alla cattura della luce, e quello inferiore, riservato all’elaborazione elettronica del segnale. In alcuni casi avanzati, è presente anche un terzo livello, costituito da una memoria DRAM integrata, che consente l’immagazzinamento temporaneo dei dati in loco.
Nel layer superiore si trovano i fotodiodi, ciascuno corrispondente a un pixel dell’immagine finale. Questi elementi trasformano i fotoni ricevuti in cariche elettriche. Fino a questo punto, il processo è simile a quello di un CMOS convenzionale. La differenza cruciale risiede nel fatto che, nel sensore stacked, la lettura del segnale e la sua conversione digitale non avvengono più sullo stesso piano del fotodiodo, ma vengono delegati a circuiti dedicati posti su un substrato separato e collegati verticalmente al layer ottico attraverso interconnessioni TSV (Through-Silicon Via). Queste micro-colonne metalliche permettono una comunicazione diretta tra i livelli, con una latenza minima e una capacità di trasferimento elevata.
Uno dei vantaggi tecnici più rilevanti di questa separazione funzionale è la possibilità di dedicare il 100% della superficie del fotodiodo alla raccolta della luce, eliminando le interferenze fisiche dovute alla presenza dei circuiti di lettura sullo stesso strato. In altre parole, un sensore stacked può teoricamente raggiungere una maggiore efficienza quantica rispetto a un sensore CMOS classico, migliorando la sensibilità in condizioni di bassa luminosità e riducendo il rumore termico.
Il layer inferiore svolge compiti complessi e differenziati. Ospita i convertitori analogico-digitale (ADC), i buffer di uscita, i processori di segnale (ISP), e talvolta vere e proprie unità logiche programmabili, capaci di eseguire elaborazioni direttamente sul dato grezzo. Questa distribuzione modulare permette di alleggerire il carico di lavoro sul processore centrale della fotocamera, accelerando operazioni come la riduzione del rumore, la correzione del colore, o l’HDR multi-frame.
L’aggiunta della DRAM integrata rappresenta un ulteriore punto di svolta. Grazie a questo elemento, il sensore può immagazzinare i dati di ciascun frame alla massima velocità possibile, per poi inviarli in maniera asincrona al sistema principale. Questa tecnica è fondamentale per la registrazione in slow motion ad alta risoluzione, per la raffica fino a 120 fps in RAW, e per la gestione di scene con elevato contrasto dinamico.
L’architettura stacked consente anche un controllo più fine del tempo di lettura di ciascun riquadro, riducendo drasticamente l’effetto rolling shutter, che nei sensori CMOS tradizionali si manifesta con deformazioni nelle immagini in movimento. Questa caratteristica è particolarmente apprezzata nella fotografia sportiva e nella produzione video professionale, dove la fedeltà dell’immagine rispetto al tempo reale è essenziale.
La disponibilità di sensori stacked ha portato a una profonda revisione del design interno delle fotocamere digitali. I produttori hanno iniziato a ripensare il modo in cui il flusso dati si sviluppa dal sensore al file finale. In molte mirrorless di fascia alta, la presenza di un sensore stacked consente di eliminare il tradizionale otturatore meccanico, sostituendolo con un otturatore elettronico globale che lavora in silenzio e con precisione estrema. Questa modifica strutturale ha ridotto l’ingombro, aumentato l’affidabilità meccanica e migliorato la capacità di scatto continuo.
In ambito professionale, i vantaggi di un sensore stacked sono evidenti e misurabili. I fotogiornalisti, ad esempio, traggono vantaggio dalla possibilità di catturare eventi rapidissimi con raffiche elevate, senza sacrificare la qualità dell’immagine. Le Sony Alpha 9 e Alpha 1, tra le prime fotocamere a integrare sensori stacked full-frame, hanno ridefinito le aspettative nel segmento professionale, offrendo prestazioni una volta appannaggio delle DSLR sportive più avanzate. Anche Nikon e Canon hanno progressivamente adottato questa tecnologia nei loro modelli mirrorless di punta.
Nella fotografia naturalistica, l’accoppiata tra sensore stacked e sistemi di messa a fuoco predittiva AI consente di catturare soggetti in movimento con una precisione sorprendente. Il tracking in tempo reale diventa più efficace grazie alla velocità di lettura del sensore, che fornisce aggiornamenti frequenti al modulo di autofocus. Nella macrofotografia, la profondità di campo può essere gestita in post-produzione attraverso la fusione rapida di scatti multipli, resi possibili dalla memoria DRAM integrata che conserva buffer completi di sequenze ultra-rapide.
In ambito video, il sensore stacked consente registrazioni in 4K a 120fps o 8K a 30fps, mantenendo una profondità colore a 10bit con campionamento 4:2:2, senza necessità di raffreddamento attivo in molte situazioni. Questo ha trasformato molte mirrorless in strumenti cinematografici a tutti gli effetti, avvicinando la fotografia e il video nella stessa pipeline produttiva.
Anche in ambiti meno noti al grande pubblico, come la fotogrammetria, la microscopia e la fotografia forense, i sensori stacked offrono vantaggi tangibili. L’elevata velocità di acquisizione e la capacità di memorizzare sequenze di immagini ad alta risoluzione consentono ricostruzioni 3D dettagliate, analisi di micro-movimenti e acquisizione di prove senza interferenze ambientali. Il sensore diventa quindi non solo strumento di ripresa, ma nodo attivo in una rete di acquisizione scientifica.
Lo sviluppo dei sensori stacked non è privo di ostacoli. Il processo produttivo è significativamente più complesso rispetto a quello dei sensori CMOS tradizionali. La realizzazione richiede bonding di precisione tra wafer diversi, con allineamenti micrometrici e una gestione termica sofisticata. Le rese produttive, almeno nei primi anni, sono state inferiori, incidendo sui costi di produzione e sui prezzi al dettaglio. Nonostante ciò, l’adozione si è diffusa rapidamente, trainata dalla domanda di performance elevate e da un continuo perfezionamento delle tecniche di fabbricazione.
Uno dei principali problemi ancora aperti è quello della dissipazione del calore. L’aumento della densità funzionale nei sensori stacked genera hot spots difficili da raffreddare, specie in corpi macchina compatti. Ciò ha reso necessario lo sviluppo di nuovi materiali termoconduttori e di architetture dissipative ibride, come corpi in magnesio ventilati passivamente o moduli in grafene con elevata conduttività. Anche l’interferenza elettromagnetica tra i layer è oggetto di studio, poiché può introdurre artefatti nei dati d’immagine ad alte frequenze di acquisizione.
I produttori stanno lavorando a nuove generazioni di sensori stacked, in cui l’integrazione verticale si spinge oltre i tre layer, arrivando a strutture multi-chip tridimensionali. L’obiettivo è includere nei sensori futuri anche componenti di deep learning on-chip, capaci di riconoscere scene, oggetti o volti in tempo reale e regolare automaticamente i parametri di esposizione, messa a fuoco e bilanciamento colore.

Mi chiamo Marco Adelanti, ho 35 anni e vivo la mia vita tra due grandi passioni: la fotografia e la motocicletta. Viaggiare su due ruote mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi più attenti, pronti a cogliere l’attimo, la luce giusta, il dettaglio che racconta una storia. Ho iniziato a fotografare per documentare i miei itinerari, ma col tempo è diventata una vera vocazione, che mi ha portato ad approfondire la storia della fotografia e a studiarne i protagonisti, gli stili e le trasformazioni tecniche. Su storiadellafotografia.com porto una prospettiva dinamica, visiva e concreta: mi piace raccontare l’evoluzione della fotografia come se fosse un viaggio, fatto di tappe, incontri e visioni. Scrivo per chi ama l’immagine come mezzo di scoperta e libertà, proprio come un lungo viaggio su strada.