La stabilizzazione dell’immagine incorporata nel corpo macchina, nota con l’acronimo IBIS (In-Body Image Stabilization), è una tecnologia fotografica sviluppata per compensare i piccoli movimenti indesiderati del corpo macchina durante l’acquisizione dell’immagine, agendo direttamente sul piano sensibile, sia esso un sensore digitale o una pellicola mobile in alcuni prototipi sperimentali. Benché oggi considerata uno standard sulle fotocamere mirrorless di fascia medio-alta e professionale, il concetto di IBIS ha radici concettuali e sperimentali che risalgono a molto prima della sua effettiva industrializzazione.
L’idea di compensare il micromosso dovuto al tremolio delle mani è quasi antica quanto la fotografia stessa. Già nel XIX secolo, i fotografi utilizzavano supporti meccanici come treppiedi e otturatori a filo per ridurre il movimento durante le lunghe esposizioni. Tuttavia, una vera e propria stabilizzazione meccanica attiva cominciò a essere teorizzata con l’introduzione di meccanismi di sospensione per elementi ottici nei binocoli militari e, successivamente, nelle ottiche fotografiche.
L’evoluzione moderna dell’IBIS ha inizio concretamente nel 2003 con la Minolta DiMAGE A1, che implementava un sistema a due assi di spostamento del sensore CCD, controllato da giroscopi e attuatori elettromagnetici. Questo meccanismo, brevettato sotto il nome commerciale di Anti-Shake, fu il primo a muovere fisicamente il sensore fotografico su un piano bidimensionale in risposta ai movimenti rilevati lungo gli assi pitch e yaw.
Il passo decisivo nella storia dell’IBIS si compie con Olympus, che nel 2007 introduce un sistema a tre assi nella E-510 e nel 2012 realizza una soluzione a cinque assi completi nella OM-D E-M5. In questo caso il sensore è libero di muoversi lungo gli assi X e Y (traslazione laterale), oltre che di ruotare su rollio, beccheggio e imbardata. Questa libertà di movimento rappresenta un salto qualitativo, in quanto permette la correzione simultanea di microspostamenti angolari e lineari.
Tecnicamente, un sistema IBIS si fonda su tre componenti fondamentali: sensori di rilevamento del movimento, attuatori elettromagnetici e un algoritmo di controllo predittivo. I primi, generalmente giroscopi MEMS (Micro-Electro-Mechanical Systems), rilevano in tempo reale l’orientamento e l’accelerazione angolare del corpo macchina. I secondi, realizzati con microbobine e magneti permanenti, sono responsabili dello spostamento fisico del sensore lungo guide micromeccaniche dotate di sospensioni elastiche o cuscinetti ceramici ad alta precisione. L’algoritmo, eseguito su un microprocessore o un DSP dedicato, elabora i segnali provenienti dai sensori e comanda gli attuatori affinché posizionino il sensore nella posizione corretta, compensando così l’oscillazione rilevata.
Il principio fisico alla base del sistema è la traslazione controllata del piano focale: muovendo il sensore in direzione opposta al movimento rilevato, è possibile mantenere l’immagine proiettata dall’obiettivo sempre centrata sul punto di esposizione. Questo principio consente una compensazione attiva estremamente precisa, con ritardi di intervento inferiori ai 2 millisecondi e una risoluzione di correzione nell’ordine di pochi micron.
Progettazione ingegneristica e architettura meccanica dell’IBIS
La realizzazione ingegneristica di un sistema IBIS impone vincoli estremamente rigorosi in termini di precisione meccanica, reattività elettronica, dissipazione termica e robustezza strutturale. Il sensore fotografico – generalmente un CMOS full-frame o APS-C – viene montato su un supporto sospeso, vincolato mediante guide elastiche o cuscinetti sferici, spesso costruiti in materiali a basso attrito come la ceramica di zirconia o il nitruro di silicio. Tale supporto è collegato a una matrice di attuatori lineari o rotativi, alimentati da microcorrenti alternate in grado di produrre microspostamenti nell’ordine di ±1 mm.
Le architetture più avanzate impiegano attuatori a bobina mobile, simili a quelli dei sistemi di messa a fuoco di alcuni obiettivi, ma con requisiti di potenza e reattività maggiori. Il movimento viene regolato da loop PID (Proporzionale-Integrale-Derivativo), ottimizzati tramite firmware personalizzato per ciascun modello di fotocamera. Tali algoritmi, oltre a stabilizzare il sensore, ne monitorano anche la posizione angolare rispetto ai tre assi rotazionali (pitch, yaw, roll), correggendo in tempo reale l’orientamento rispetto all’immagine proiettata.
Uno dei problemi più complessi nella progettazione IBIS riguarda la massa mobile. A differenza dei sistemi OIS in cui si spostano piccole lenti interne, nell’IBIS si muove un’intera unità sensore, che può pesare anche oltre 15 grammi. Questo impone l’impiego di magneti al neodimio ad alta energia specifica, oltre a un bilanciamento dinamico del sistema per evitare vibrazioni parassite. Le tolleranze dimensionali devono essere inferiori al decimo di micron, e i materiali impiegati devono garantire stabilità termica, isolamento elettromagnetico e rigidità meccanica.
Altro aspetto critico è il sistema di feedback sensoriale. Oltre ai giroscopi, le fotocamere IBIS utilizzano accelerometri a 3 assi, che forniscono informazioni sulla traslazione lineare. Tali dati vengono integrati per separare le vibrazioni casuali da quelle regolari, come la camminata del fotografo. In ambito video, i dati possono essere utilizzati anche per la correzione software supplementare, come avviene in molte fotocamere mirrorless con modalità di stabilizzazione digitale integrata.
L’assemblaggio meccanico è un processo robotico a elevata precisione, spesso eseguito in camera bianca per evitare contaminazioni sul sensore. Il sistema IBIS deve essere inoltre integrato nel telaio della fotocamera in modo da non interferire con il sistema di dissipazione termica del sensore, con la meccanica dell’otturatore o con lo stabilizzatore ottico dell’obiettivo.
Prestazioni fotografiche e benefici nell’uso pratico
Dal punto di vista operativo, il vantaggio più evidente dell’IBIS è la possibilità di utilizzare tempi di esposizione più lunghi rispetto al reciproco della lunghezza focale, senza incorrere nel micromosso. Mentre la regola empirica dell’analogico imponeva un tempo minimo pari a 1/focale, un sistema IBIS moderno consente scatti a 1/4, 1/2 e perfino 1 secondo con un obiettivo da 50 mm, mantenendo elevati livelli di nitidezza.
Le più recenti generazioni di IBIS, come quelle presenti sulle fotocamere Sony α7R V, Olympus OM-1 e Canon EOS R5, sono in grado di offrire una compensazione fino a 7,5 stop secondo gli standard CIPA. In concreto, ciò consente di scattare a mano libera anche in condizioni di illuminazione estremamente ridotta, riducendo la necessità di alzare la sensibilità ISO, con ovvi benefici in termini di gamma dinamica e rumore.
Il sistema si rivela particolarmente vantaggioso anche con ottiche non stabilizzate, come i teleobiettivi manuali vintage, i macro con ampie escursioni di fuoco, o gli obiettivi tilt-shift, che per loro natura non possono essere dotati di OIS. L’IBIS agisce su questi obiettivi in modo universale, purché la lunghezza focale venga comunicata alla fotocamera, tramite i contatti elettronici o una configurazione manuale.
In ambito video, l’efficacia dell’IBIS è ancora più tangibile. Le vibrazioni generate dalla respirazione, dalla camminata o dai piccoli movimenti di polso sono attenuate in tempo reale, producendo filmati estremamente fluidi senza necessità di gimbal esterni. Alcuni sistemi come il Dual IS di Panasonic o il Sync IS di Olympus combinano la stabilizzazione interna con quella presente nell’obiettivo, creando una sinergia tra i due sistemi e ottimizzando la risposta a seconda del tipo di movimento.
L’IBIS è anche parte fondamentale della modalità Pixel Shift Multi Shot, una tecnica che sfrutta spostamenti controllati del sensore per realizzare più esposizioni e poi fonderle in un’immagine ad altissima risoluzione, riducendo anche il rumore cromatico e migliorando la resa dei dettagli fini. Olympus, Sony e Pentax hanno sviluppato implementazioni di questo tipo, che richiedono stabilizzazione estremamente precisa e controllata.
Limiti fisici e problematiche di implementazione dell’IBIS
Nonostante la notevole versatilità, il sistema IBIS presenta numerosi limiti fisici e sfide ingegneristiche, che ne condizionano l’efficacia e la diffusione su larga scala, soprattutto in ambito professionale e su fotocamere ad alta risoluzione. Uno dei principali vincoli tecnici è rappresentato dal peso e dalle dimensioni del sensore, che rendono il sistema di movimentazione complesso sotto il profilo della miniaturizzazione e della reattività. Il sensore, soprattutto nei formati full-frame o medio formato, ha una massa significativa, che deve essere spostata con precisione micrometrica in frazioni di secondo, senza generare vibrazioni secondarie né interferenze con gli altri sottosistemi meccanici del corpo macchina.
Un altro aspetto critico riguarda il campo massimo di correzione. Poiché il sensore è montato su una piattaforma sospesa con escursione limitata, in genere tra ±0,5 mm e ±1 mm, la compensazione dei movimenti è efficace solo entro certi limiti. Movimenti più ampi, come quelli causati da scosse intense o da lunghi teleobiettivi senza stabilizzazione ottica, superano la capacità di intervento dell’IBIS, rendendolo parzialmente inefficace. Questo limite è particolarmente evidente nella fotografia sportiva e naturalistica con focali superiori a 300 mm.
Dal punto di vista energetico, il sistema IBIS comporta un consumo aggiuntivo di corrente. Gli attuatori elettromagnetici e il processore dedicato richiedono un’alimentazione costante durante la fase di pre-scatto e di esposizione. In modalità video, dove il sistema resta attivo per tutta la durata della registrazione, il consumo può portare a un riscaldamento anomalo del corpo macchina e a una riduzione dell’autonomia della batteria.
In termini di compatibilità, un’altra problematica è la necessità di calibrare il sistema IBIS per ogni singola lunghezza focale. Quando si utilizzano obiettivi non comunicanti, come le lenti vintage o prive di chip, è fondamentale inserire manualmente la focale per ottenere un comportamento corretto della stabilizzazione. Una lunghezza focale errata comporta una compensazione non proporzionata, che può peggiorare invece che migliorare la nitidezza.
Infine, l’integrazione meccanica dell’IBIS pone sfide complesse per i progettisti, poiché deve coesistere con altri sistemi dinamici interni, come l’otturatore meccanico, il sistema di raffreddamento del sensore, e talvolta con la stabilizzazione ottica integrata negli obiettivi. Un disallineamento tra questi sistemi può provocare aberrazioni da compensazione ridondante, in cui due sistemi stabilizzanti lavorano in conflitto anziché in sinergia.
Confronto tecnico tra IBIS e altre forme di stabilizzazione (OIS, EIS)
Nel panorama tecnologico delle fotocamere moderne, esistono tre principali approcci alla stabilizzazione dell’immagine: IBIS (In-Body Image Stabilization), OIS (Optical Image Stabilization) e EIS (Electronic Image Stabilization). Ciascun sistema presenta caratteristiche tecniche, vantaggi e svantaggi specifici, legati al contesto d’uso, al tipo di sensore e all’ambito fotografico o video.
La stabilizzazione ottica (OIS) è integrata nell’obiettivo, dove uno o più gruppi lenti vengono montati su un supporto mobile controllato da giroscopi. In risposta al movimento della fotocamera, questi elementi vengono spostati per mantenere la proiezione ottica stabile sul piano focale. Il vantaggio principale di OIS è l’efficacia alle lunghe focali, poiché agisce direttamente sul treno ottico e non dipende dalla dimensione del sensore. L’OIS è meno influenzato dalla massa del sensore, e offre una correzione più ampia per movimenti angolari rilevanti. Tuttavia, è specifico per ogni obiettivo, comporta un aumento dei costi e della complessità ottica e meccanica della lente, e non funziona se si utilizzano obiettivi privi di tale tecnologia.
La stabilizzazione elettronica (EIS), invece, è interamente digitale. Il sensore cattura un’immagine più ampia rispetto al frame finale, e il processore seleziona dinamicamente una porzione dell’immagine compensando i movimenti percepiti. L’EIS è comune nelle videocamere consumer e negli smartphone, dove lo spazio fisico per implementare attuatori meccanici è ridotto. Il vantaggio è la semplicità costruttiva e l’assenza di parti mobili, ma presenta numerosi svantaggi: perdita di risoluzione effettiva, artefatti da interpolazione, e inefficacia nelle esposizioni fotografiche lunghe. Inoltre, l’EIS introduce una latenza elaborativa che può risultare problematica nei flussi video ad alta frequenza o nei dispositivi con hardware poco performante.
Il sistema IBIS si colloca tra questi due approcci, combinando l’efficacia meccanica del movimento fisico con la versatilità di una soluzione universale. A differenza dell’OIS, l’IBIS funziona con qualsiasi obiettivo, inclusi i vintage, i manuali o i cine-lens. Rispetto all’EIS, mantiene la piena risoluzione del sensore e non introduce ritardi di calcolo significativi. Tuttavia, l’IBIS può risultare meno efficace alle focali estreme, dove il raggio d’azione dei suoi attuatori è insufficiente a compensare l’ampiezza angolare del tremolio. In tali casi, la combinazione IBIS + OIS (Dual IS) rappresenta la soluzione ottimale.
Dal punto di vista ingegneristico, ciascun sistema comporta compromessi: OIS richiede una maggiore complessità ottica, IBIS impone una sfida meccanica interna alla fotocamera, mentre EIS comporta perdite qualitative. Le migliori prestazioni si ottengono oggi con sistemi ibridi, dove l’IBIS compensa i micromovimenti lineari e angolari su cinque assi e l’OIS gestisce quelli più ampi, specialmente alle lunghe focali. La calibrazione combinata di entrambi i sistemi, come avviene nei protocolli Sync IS (Olympus) e Dual IS (Panasonic), richiede un’interfaccia firmware avanzata e una perfetta compatibilità tra corpo e lente, ma offre risultati senza precedenti in termini di stabilità.

Mi chiamo Marco Adelanti, ho 35 anni e vivo la mia vita tra due grandi passioni: la fotografia e la motocicletta. Viaggiare su due ruote mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi più attenti, pronti a cogliere l’attimo, la luce giusta, il dettaglio che racconta una storia. Ho iniziato a fotografare per documentare i miei itinerari, ma col tempo è diventata una vera vocazione, che mi ha portato ad approfondire la storia della fotografia e a studiarne i protagonisti, gli stili e le trasformazioni tecniche. Su storiadellafotografia.com porto una prospettiva dinamica, visiva e concreta: mi piace raccontare l’evoluzione della fotografia come se fosse un viaggio, fatto di tappe, incontri e visioni. Scrivo per chi ama l’immagine come mezzo di scoperta e libertà, proprio come un lungo viaggio su strada.