La fotografia urbana, comunemente indicata con il termine inglese cityscape, nasce quasi in contemporanea con l’invenzione della fotografia nella prima metà dell’Ottocento. Fin dalle prime applicazioni pratiche del dagherrotipo, le città divennero uno dei soggetti più fotografati. Non si trattava soltanto di una scelta estetica, ma di una necessità tecnica: le lunghe esposizioni richieste dalle prime emulsioni rendevano complesso fotografare soggetti in movimento, mentre le architetture e gli spazi urbani offrivano stabilità, geometrie riconoscibili e una struttura visiva adatta a essere catturata.
Un esempio celebre è la veduta del Boulevard du Temple a Parigi, realizzata da Louis Daguerre nel 1838. In quell’immagine, frutto di un’esposizione di circa dieci minuti, la strada appare deserta, poiché i passanti in movimento non vennero registrati dalla lastra, mentre un uomo rimasto immobile per una lucidatura di scarpe divenne la prima figura umana impressa in una fotografia urbana. Questa scena illustra chiaramente come la città fosse al tempo stesso protagonista e vincolo delle nuove tecniche fotografiche.
Negli stessi anni, con l’introduzione del calotipo di William Henry Fox Talbot, iniziarono a circolare immagini urbane più facilmente riproducibili, grazie al negativo su carta. La città si offriva così non solo come soggetto unico, ma come serie replicabile di vedute che potevano essere diffuse e scambiate. Ciò ebbe un ruolo fondamentale nel legare la fotografia urbana alla nascente cultura della modernità, che vedeva nella città un organismo in continua evoluzione.
A metà Ottocento, l’invenzione del collodio umido e delle lastre al vetro migliorò ulteriormente la definizione delle immagini. Fotografi come Charles Marville a Parigi vennero incaricati di documentare i grandi lavori urbanistici voluti da Georges-Eugène Haussmann, immortalando sia i quartieri destinati alla demolizione sia i nuovi viali monumentali. La fotografia urbana diventava così anche uno strumento amministrativo e politico, utile a fissare le trasformazioni delle città in epoca di grandi cambiamenti.
Parallelamente, in altre capitali europee come Londra e Berlino, e in città americane come New York e Chicago, la fotografia urbana servì a testimoniare l’espansione industriale. I ponti in ferro, le prime stazioni ferroviarie, i grattacieli embrionali e i porti commerciali divennero soggetti privilegiati. Queste immagini, realizzate spesso con apparecchi di grande formato montati su cavalletti, mettevano in risalto la monumentalità e la simmetria delle nuove architetture.
Dal punto di vista tecnico, la fotografia urbana dell’Ottocento fu condizionata dai tempi di esposizione, che spingevano a privilegiare vedute ampie, realizzate da punti elevati o privilegiati. Terrazze, torri campanarie e punti panoramici naturali furono i luoghi prediletti dai fotografi, anticipando una convenzione iconografica che ancora oggi caratterizza il genere cityscape: l’osservazione dall’alto come tentativo di dominare e descrivere l’insieme urbano.
La fotografia urbana ottocentesca si sviluppò dunque come un genere a metà tra documento tecnico, memoria storica e rappresentazione estetica. Le sue origini vanno comprese non soltanto come semplice registrazione della città, ma come un vero e proprio laboratorio visivo della modernità, che avrebbe trovato piena maturazione nei decenni successivi.
Trasformazioni tecniche e formali tra XIX e XX secolo
Con la fine dell’Ottocento, l’introduzione delle lastre a secco alla gelatina bromuro d’argento rese possibile una fotografia urbana più dinamica. I tempi di esposizione si accorciarono sensibilmente, consentendo di catturare non solo gli edifici, ma anche i movimenti della vita cittadina. Le strade iniziarono a popolarsi, e la fotografia urbana smise di essere un panorama statico per diventare una narrazione del quotidiano.
Il progresso degli obiettivi fotografici fu determinante in questo processo. L’introduzione di lenti più luminose e di focali grandangolari permise di riprendere interi scorci di piazze e viali, aumentando la profondità di campo e favorendo la resa prospettica. La città divenne così teatro di sperimentazioni visive che andavano oltre la mera documentazione.
Negli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, con la diffusione dell’illuminazione elettrica, molti fotografi iniziarono a cimentarsi con le riprese notturne. Grazie a esposizioni di diversi minuti, le luci elettriche si trasformavano in linee brillanti e in atmosfere suggestive, inaugurando una nuova estetica del notturno urbano che avrebbe avuto grande fortuna nel Novecento.
Agli inizi del XX secolo, la fotografia urbana venne influenzata dalle avanguardie artistiche e dalla nascita della fotografia modernista. Fotografi come Alfred Stieglitz a New York trasformarono la città in simbolo della modernità, immortalando i grattacieli e i ponti come icone di progresso. In Europa, figure come László Moholy-Nagy e i fotografi della scuola del Bauhaus sperimentarono prospettive insolite, riprese dall’alto e dal basso, tagli diagonali e contrasti geometrici, per restituire l’energia delle metropoli industriali.
Un altro fattore importante fu lo sviluppo della fotografia aerea, inizialmente in ambito militare e poi in quello civile. Già a partire dagli anni Dieci del Novecento, le vedute dall’alto di Parigi o New York realizzate da palloni aerostatici o aeroplani offrirono una percezione completamente nuova della città. La fotografia urbana non era più soltanto orizzontale, ma assumeva anche una dimensione verticale e astratta, anticipando in parte la visione satellitare odierna.
Dal punto di vista tecnico, questo periodo vide l’affermazione delle macchine a lastre portatili e delle prime fotocamere a rullino, che riducevano l’ingombro e permettevano ai fotografi di muoversi con maggiore agilità. Ciò consentì di realizzare reportage urbani più articolati, con sequenze di immagini che descrivevano non solo lo spazio, ma anche la sua trasformazione e il suo uso sociale.
La fotografia urbana di fine Ottocento e inizio Novecento divenne dunque un crocevia tra documento tecnico, ricerca artistica e sperimentazione formale. Essa rifletteva le tensioni della modernità, oscillando tra la volontà di registrare fedelmente la realtà urbana e il desiderio di interpretarla attraverso linguaggi visivi innovativi.
La fotografia urbana nel secondo dopoguerra
Il secondo dopoguerra aprì una fase completamente nuova per la fotografia urbana, segnata da due processi paralleli: la ricostruzione delle città europee devastate dalla guerra e la rapida crescita delle metropoli americane.
In Europa, fotografi come René Burri e Henri Cartier-Bresson documentarono il ritorno alla vita nelle città ferite, cogliendo il contrasto tra macerie e vitalità quotidiana. La fotografia urbana non era più soltanto un esercizio estetico, ma uno strumento di testimonianza sociale e politica. Le immagini di Berlino, Varsavia o Napoli ricostruite divennero simboli della rinascita europea.
Negli Stati Uniti, invece, il cityscape si trasformò in celebrazione della modernità architettonica. Fotografi come Berenice Abbott portarono avanti progetti sistematici per catturare l’evoluzione di New York, immortalando grattacieli, ponti e quartieri in trasformazione. Le fotografie di Abbott coniugavano precisione tecnica e sensibilità artistica, trasformando la metropoli in icona della civiltà industriale.
Dal punto di vista tecnico, il secondo dopoguerra coincise con la diffusione di fotocamere compatte a pellicola 35 mm, come la Leica e la Contax, che resero la fotografia urbana molto più agile. Il fotografo poteva muoversi liberamente, catturando angoli imprevisti e momenti fugaci. Questo favorì l’incontro tra cityscape e street photography, dando vita a un linguaggio ibrido che univa la rappresentazione dello spazio urbano con la vita che lo animava.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, la fotografia a colori iniziò a diffondersi anche nel cityscape. Le pellicole Kodachrome e Ektachrome permisero di restituire la ricchezza cromatica delle città: i neon di Times Square, le insegne pubblicitarie, i tram gialli o rossi che attraversavano le strade europee. Il colore non era più un semplice dettaglio, ma diventava parte integrante della narrazione urbana.
Gli anni Settanta e Ottanta videro un ampliamento del cityscape verso una dimensione più concettuale. Fotografi come Andreas Gursky iniziarono a utilizzare grandi formati e punti di vista distaccati, creando immagini che riflettevano sulla globalizzazione e sulla standardizzazione degli spazi urbani. Parallelamente, i progetti urbanistici e architettonici si servirono sempre più spesso della fotografia come strumento di rappresentazione e comunicazione.
La fotografia urbana nel dopoguerra, quindi, non fu solo una cronaca delle trasformazioni architettoniche, ma un vero e proprio linguaggio culturale capace di raccontare l’identità delle città e delle società che le abitavano.
La fotografia urbana digitale e le nuove tecniche
Con l’arrivo della fotografia digitale dagli anni Novanta in avanti, la fotografia urbana ha conosciuto una trasformazione senza precedenti. Le reflex digitali e successivamente le fotocamere mirrorless hanno reso possibile lavorare con alti valori ISO senza perdita significativa di qualità, permettendo riprese notturne della città fino ad allora impensabili.
Le tecniche di HDR (High Dynamic Range) hanno ampliato la gamma tonale, restituendo in un unico scatto sia le zone in forte ombra che le luci intense tipiche delle metropoli illuminate artificialmente. In parallelo, la diffusione di software di post-produzione come Photoshop e Lightroom ha reso accessibile a un vasto pubblico la possibilità di manipolare e perfezionare le immagini urbane.
La fotografia panoramica digitale si è affermata come linguaggio tipico del cityscape contemporaneo. Attraverso la fusione di più scatti, i fotografi possono creare immagini ad altissima risoluzione, capaci di restituire interi skyline cittadini con dettagli sorprendenti. Queste tecniche hanno reso la fotografia urbana uno strumento di comunicazione privilegiato non solo in ambito artistico, ma anche turistico e promozionale.
Un ruolo fondamentale è stato svolto dai droni, che hanno reso accessibili prospettive aeree prima riservate a pochi professionisti. Oggi è possibile realizzare vedute verticali, diagonali e sequenze in movimento che arricchiscono ulteriormente la rappresentazione delle città.
Dal punto di vista tecnico, l’uso di obiettivi tilt-shift permette di correggere le linee prospettiche degli edifici, restituendo immagini precise e professionali anche in contesti complessi. Allo stesso tempo, i grandangolari estremi offrono prospettive immersive, mentre i teleobiettivi comprimono lo spazio urbano, esaltando l’accumulo architettonico tipico delle metropoli globali.
La diffusione delle piattaforme digitali e dei social network ha trasformato radicalmente la fruizione della fotografia urbana. Skyline, tramonti cittadini e vedute dall’alto sono diventati elementi ricorrenti nella cultura visuale contemporanea, spesso replicati in milioni di immagini ma anche reinterpretati con approcci artistici originali.
Oggi la fotografia urbana digitale si muove tra più dimensioni: documento tecnico per urbanisti e architetti, linguaggio artistico sperimentale, strumento promozionale per il turismo, e fenomeno di massa alimentato dalla condivisione online. La città continua a essere protagonista, ma in un contesto visivo sempre più stratificato e globale.
Cityscape come linguaggio estetico e culturale contemporaneo
La fotografia urbana contemporanea non è più un genere circoscritto alla documentazione o all’estetica del paesaggio cittadino, ma rappresenta un linguaggio complesso che dialoga con arte, architettura, urbanistica e cultura visuale globale.
Molti fotografi contemporanei utilizzano il cityscape come strumento di analisi critica. Le loro immagini indagano i processi di gentrificazione, la trasformazione dei quartieri popolari in spazi turistici, l’impatto delle architetture globalizzate sulle identità locali. In questo senso, la fotografia urbana si avvicina all’antropologia visuale, diventando un mezzo per comprendere i mutamenti sociali.
Allo stesso tempo, il cityscape conserva una dimensione fortemente estetica. Le fotografie di skyline, soprattutto notturni, restano tra le immagini più iconiche e richieste, utilizzate in contesti pubblicitari, editoriali e turistici. Le luci delle metropoli globali, i riflessi nei grattacieli e le prospettive dall’alto continuano a esercitare un fascino universale.
Dal punto di vista tecnico, l’uso di tecniche come il time-lapse e l’hyperlapse arricchisce ulteriormente la fotografia urbana, trasformandola in sequenze animate che mostrano il pulsare continuo della città. Questi strumenti, insieme alla realtà aumentata e alla fotografia immersiva a 360 gradi, aprono nuove possibilità per la rappresentazione urbana.
Il cityscape contemporaneo è dunque un genere in continua espansione, capace di adattarsi alle nuove tecnologie e ai cambiamenti culturali. La città non è solo sfondo, ma protagonista di un discorso visuale globale che unisce memoria storica, estetica, documentazione e innovazione tecnologica.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
Attraverso il mio sito, offro una panoramica completa delle tappe fondamentali della fotografia, dai primi esperimenti ottocenteschi alle tecnologie digitali contemporanee. La mia missione è educare e ispirare, sottolineando l’importanza della fotografia come linguaggio universale.
Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.