La storia di Gandolfi inizia formalmente nel 1885, quando Louis Gandolfi, all’età di ventuno anni, aprì un proprio laboratorio a Kensington Place, Westminster, in uno spazio situato sopra un negozio di tabacchi. Louis aveva precedentemente trascorso cinque anni come apprendista presso la Lejeune & Perken, un’importante azienda londinese specializzata nella produzione di apparecchiature fotografiche. Questo periodo formativo gli fornì le competenze tecniche e la conoscenza del mercato necessarie per avviare con successo la propria attività. L’azienda è tutt’ora attiva.
I primi anni dell’azienda furono caratterizzati dalla produzione di fotocamere dal design essenziale, relativamente economiche ma funzionali, che permisero a Louis di costruirsi gradualmente una clientela fedele. Le prime fotocamere Gandolfi presentavano una struttura semplice, meccanismi basilari ma affidabili, e un numero limitato di componenti che facilitavano l’assemblaggio e mantenevano contenuti i costi di produzione. Questa strategia rispondeva alle esigenze di un mercato fotografico in espansione, in cui nuovi professionisti cercavano strumenti affidabili a prezzi accessibili.
Con la crescita dell’attività, Louis Gandolfi ebbe la possibilità di migliorare progressivamente la qualità dei suoi prodotti e ampliare la gamma offerta. Dal suo laboratorio iniziarono a uscire fotocamere sempre più sofisticate e curate nei dettagli, caratterizzate da una lavorazione artigianale di alto livello che sarebbe diventata il marchio distintivo dell’azienda. La crescita dell’attività portò anche alla necessità di trasferire il laboratorio in sedi più ampie: prima in Old Kent Road, nel sud-est di Londra, e successivamente nel 1913 in una nuova sede a Peckham Rye.
Durante questo periodo iniziale, la reputazione delle fotocamere Gandolfi si diffuse ben oltre i confini di Londra, raggiungendo l’intero Regno Unito e le colonie britanniche. Le autorità civili e militari dell’Impero, particolarmente in India e Birmania, diventarono importanti clienti, apprezzando la robustezza e l’affidabilità degli apparecchi Gandolfi in condizioni ambientali spesso difficili. Questa espansione verso i mercati coloniali costituì un’importante fonte di reddito per l’azienda nei decenni precedenti alla Prima Guerra Mondiale.
Un elemento distintivo che caratterizzò la produzione Gandolfi fin dagli esordi fu l’attenzione alle esigenze specifiche dei clienti. A differenza di molti produttori dell’epoca, che stavano iniziando a standardizzare la produzione, Louis Gandolfi mantenne un approccio personalizzato, modificando e adattando i suoi modelli base secondo le richieste particolari dei fotografi. Questa filosofia produttiva, che continuò per tutta la storia dell’azienda, rappresentò un punto di forza significativo nel rapporto con i professionisti più esigenti, che potevano ottenere strumenti perfettamente adattati alle loro necessità specifiche.
Il periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale vide anche lo sviluppo dei due modelli che sarebbero diventati i pilastri della produzione Gandolfi: la Universal e la Imperial. Questi due modelli, pur mantenendo alcune caratteristiche di base comuni, rappresentavano due diverse filosofie d’uso: la Universal era concepita come una fotocamera versatile, adatta sia per l’uso in studio che per la fotografia all’aperto, mentre la Imperial era destinata principalmente a lavori di studio più complessi, dove la stabilità e la precisione dei movimenti erano fondamentali.
La Prima Guerra Mondiale rappresentò un momento critico per l’azienda, con la perdita di gran parte del mercato coloniale. Tuttavia, Louis Gandolfi riuscì a mantenere la produzione attiva grazie a un importante ordine di fotocamere da parte del Royal Naval Air Service, dimostrando la capacità dell’azienda di adattarsi a circostanze mutevoli senza compromettere la qualità dei propri prodotti.
Nel 1928, dopo aver guidato l’azienda per quarantatré anni, Louis Gandolfi decise di ritirarsi completamente dall’attività e cedette l’impresa ai suoi tre figli: Thomas, Frederick e Arthur. Questo passaggio generazionale segnò anche il cambio di denominazione dell’azienda in “Louis Gandolfi & Sons”, nome che avrebbe mantenuto fino al 1990. Durante la sua gestione, Louis aveva trasformato un piccolo laboratorio artigianale in una delle più rispettate aziende produttrici di fotocamere professionali del Regno Unito, costruendo una reputazione di eccellenza che i suoi figli avrebbero mantenuto e rafforzato nei decenni successivi.
Modelli e caratteristiche tecniche
La produzione di Gandolfi si distingueva per una filosofia costruttiva che privilegiava la qualità e la precisione rispetto alla quantità. Dagli archivi dell’azienda emerge che la produzione annuale si attestava intorno alle 35 fotocamere, con una media di tre settimane di lavoro dedicate a ciascun apparecchio. Questa limitata capacità produttiva era il risultato diretto dell’approccio artigianale: ogni componente veniva realizzato e assemblato a mano, con un controllo qualità che avveniva durante tutto il processo produttivo e non solo come fase finale.
Il modello Universal, introdotto nel 1909, rappresenta perfettamente la filosofia Gandolfi e la sua permanenza nel catalogo dell’azienda fino agli anni ’70 testimonia la validità del suo design. Si trattava di una fotocamera da campo e da studio, disponibile in diversi formati, dalla half-plate (4¾ x 6½ pollici, equivalenti a circa 12 x 16,5 cm) fino al formato 12 x 15 pollici (circa 30 x 38 cm)1. La caratteristica principale della Universal era la sua estrema versatilità, ottenuta grazie a un sistema di movimenti completo che includeva basculaggi e decentramenti sia sul piano anteriore (portaottica) che su quello posteriore (portalastre).
La Universal era costruita con un telaio in legno di mogano accuratamente stagionato, con giunzioni a coda di rondine che garantivano robustezza senza compromettere la leggerezza complessiva della struttura1. Il sistema di estensione del soffietto permetteva un’escursione notevole, consentendo l’uso di obiettivi con lunghezze focali variabili e facilitando le riprese ravvicinate (macro). Il soffietto, realizzato in pelle o in tessuto gommato di alta qualità, era montato su un sistema di guide che assicurava un movimento fluido e preciso.
I movimenti di regolazione della Universal erano controllati da manopole e leve in ottone che agivano su meccanismi di precisione, permettendo aggiustamenti micrometrici della posizione dell’obiettivo e del piano focale1. Questi sistemi di regolazione rappresentavano il vero valore aggiunto delle fotocamere Gandolfi, poiché permettevano un controllo completo sulla geometria dell’immagine, essenziale per la fotografia di architettura e la fotografia commerciale di alta qualità.
Il modello Imperial, leggermente più sofisticato della Universal, era destinato principalmente all’uso in studio e si distingueva per una maggiore stabilità e per la presenza di movimenti ancora più elaborati. La struttura era più robusta, con un basamento più ampio che garantiva una migliore stabilità durante le lunghe esposizioni. Anche l’Imperial era disponibile in vari formati, ma era particolarmente apprezzata nei formati maggiori, dove la sua stabilità strutturale faceva la differenza in termini di nitidezza dell’immagine finale.
L’evoluzione tecnica dei modelli Gandolfi procedette a un ritmo deliberatamente lento. A differenza di altri produttori, che modificavano frequentemente i loro prodotti inseguendo le novità tecnologiche, Louis Gandolfi prima e i suoi figli poi preferirono un approccio più conservativo, apportando modifiche solo quando queste rappresentavano un reale miglioramento funzionale. Questa filosofia portò a fotocamere che rimanevano in produzione per decenni con modifiche minime, creando una continuità che permetteva ai fotografi di passare da un modello all’altro senza dover riapprendere procedure operative completamente diverse.
Un aspetto tecnico distintivo delle fotocamere Gandolfi era la precisione dei movimenti di basculaggio. Questi movimenti, che permettono di inclinare il piano dell’obiettivo o del supporto sensibile rispetto all’asse ottico, sono fondamentali nella fotografia di grande formato per controllare la prospettiva e la profondità di campo secondo il principio di Scheimpflug. Nelle fotocamere Gandolfi, questi movimenti erano implementati con meccanismi particolarmente fluidi e precisi, che permettevano regolazioni incrementali molto fini, essenziali per le applicazioni più esigenti.
La Gandolfi Traditional, uno dei modelli più apprezzati dell’azienda, si distingueva per l’eccezionale estensione del soffietto, che poteva raggiungere i 480 mm, un record nella sua categoria. Questa caratteristica permetteva l’uso di obiettivi a lunga focale e facilitava le riprese macro, ma comportava anche alcune limitazioni: l’elevato numero di pieghe necessarie per permettere una tale estensione rendeva il soffietto piuttosto rigido quando compresso al minimo, limitando l’uso di obiettivi grandangolari. L’estensione minima di 70 mm significava che con un obiettivo da 75 mm montato, i movimenti erano fortemente limitati a causa della rigidità del soffietto completamente compresso.
Nonostante queste limitazioni, la Traditional rimaneva uno strumento eccezionale per la fotografia di paesaggio e per tutte quelle applicazioni che richiedevano l’uso di focali medio-lunghe. La capacità di estensione del soffietto permetteva riprese ravvicinate di grande impatto, compensando ampiamente le limitazioni nell’uso dei grandangolari2.
Una caratteristica peculiare delle fotocamere Gandolfi era l’assenza di numeri di serie. A differenza della maggior parte dei produttori di fotocamere, che utilizzavano numeri di serie per identificare e tracciare la produzione, i Gandolfi consideravano ogni loro fotocamera come un pezzo unico, non riducibile a un semplice numero in una sequenza produttiva. Questa scelta rifletteva la filosofia artigianale dell’azienda, dove ogni apparecchio veniva considerato un’opera individuale piuttosto che il risultato di un processo standardizzato.
Le fotocamere Gandolfi non incorporavano ottiche proprie, ma erano progettate per accogliere obiettivi di vari produttori montati su otturatori di marche prestigiose. Questa flessibilità permetteva ai fotografi di utilizzare le ottiche che preferivano, adattando la fotocamera alle proprie esigenze specifiche. La precisione costruttiva delle piastre porta-obiettivo garantiva un perfetto allineamento ottico, essenziale per sfruttare al meglio le prestazioni di obiettivi di alta qualità.
La gestione familiare e l’evoluzione dell’azienda
La gestione dell’azienda da parte dei figli di Louis Gandolfi – Thomas, Frederick e Arthur – rappresenta un esempio notevole di continuità familiare nel settore della produzione artigianale. Ognuno dei tre fratelli apportò competenze specifiche che, combinate, coprirono tutti gli aspetti necessari alla prosecuzione dell’attività paterna secondo gli stessi standard qualitativi.
Thomas Gandolfi, nato nel 1890, era il primogenito e aveva servito nell’esercito durante la Prima Guerra Mondiale. Al suo ritorno si dedicò principalmente all’aspetto della lavorazione del legno, diventando il responsabile della costruzione dei telai e delle componenti in legno delle fotocamere. La sua esperienza come falegname e la sua competenza nella selezione e nella lavorazione dei legni pregiati furono determinanti per mantenere alto lo standard qualitativo delle fotocamere Gandolfi.
Frederick Gandolfi, nato nel 1904, era il secondogenito e mostrò fin da subito una particolare attitudine per gli affari3. Sotto la sua direzione, l’azienda riuscì a superare le difficoltà economiche degli anni ’20 e a consolidare la propria posizione nel mercato delle fotocamere professionali. Frederick si occupava degli aspetti commerciali e amministrativi, mantenendo i contatti con i clienti e gestendo gli ordini. La sua capacità di comprendere le esigenze dei fotografi professionali e di tradurle in specifiche tecniche fu fondamentale per lo sviluppo di nuovi modelli e per l’adattamento di quelli esistenti alle mutevoli esigenze del mercato.
Arthur Gandolfi, il più giovane dei tre fratelli, aveva temporaneamente lasciato l’azienda durante gli anni ’20 per acquisire competenze amministrative, ma rientrò per occuparsi dell’assemblaggio finale e della rifinitura degli apparecchi. La sua cura nei dettagli e la sua capacità di verificare la corretta funzionalità di ogni componente garantivano che ogni fotocamera che usciva dal laboratorio Gandolfi fosse perfettamente funzionante e rispondesse pienamente alle aspettative del cliente.
La divisione dei compiti tra i tre fratelli rifletteva una specializzazione che permetteva di ottimizzare il processo produttivo senza compromettere la qualità. Ogni fratello aveva sviluppato competenze specifiche che, combinate, coprivano tutti gli aspetti della produzione: dalla selezione dei materiali alla costruzione dei componenti, dall’assemblaggio alla finitura, dalla gestione amministrativa alla relazione con i clienti.
Durante la gestione dei fratelli Gandolfi, l’azienda affrontò due sfide significative: la Grande Depressione degli anni ’30 e la Seconda Guerra Mondiale. Entrambi questi eventi ebbero un impatto notevole sul mercato della fotografia professionale, riducendo la domanda e creando difficoltà nell’approvvigionamento di materiali. Tuttavia, grazie alla loro gestione oculata e alla lealtà dei clienti affezionati, i Gandolfi riuscirono a mantenere l’azienda operativa anche nei periodi più difficili.
Un aspetto interessante della gestione dei fratelli Gandolfi era la loro resistenza all’innovazione fine a se stessa. Mentre altri produttori di fotocamere modificavano continuamente i loro modelli, inseguendo le ultime tendenze tecnologiche, i Gandolfi rimanevano fedeli ai design tradizionali che avevano dimostrato la loro validità nel tempo. Questa scelta non era dettata da conservatorismo, ma dalla convinzione che certe soluzioni costruttive avessero già raggiunto un livello di perfezione difficile da migliorare. I cambiamenti venivano introdotti solo quando rappresentavano un reale miglioramento funzionale, non per seguire mode passeggere o per stimolare artificialmente la domanda.
Nel dopoguerra, con la ripresa economica e il rinnovato interesse per la fotografia professionale, l’azienda conobbe un periodo di relativa prosperità. La domanda di fotocamere di alta qualità aumentò, soprattutto da parte di fotografi di architettura, paesaggio e still life, che apprezzavano la precisione e la versatilità delle Gandolfi. In questo periodo, l’azienda consolidò la sua reputazione come produttore di riferimento per le fotocamere di grande formato nel Regno Unito, affermandosi anche in mercati internazionali grazie al passaparola tra professionisti.
La gestione familiare continuò anche dopo la morte di Thomas e Arthur, con Frederick che rimase alla guida dell’azienda fino alla sua morte nel 1990. Durante questo lungo periodo, l’azienda mantenne la sua identità e la sua filosofia produttiva, resistendo alla tentazione di espandersi oltre la dimensione artigianale o di adottare metodi produttivi industriali che avrebbero compromesso la qualità per cui le Gandolfi erano conosciute.
Dopo la morte di Frederick Gandolfi nel 1990, l’azienda passò a nuovi proprietari, cambiando denominazione in “Gandolfi Limited”. Questo passaggio segnò la fine della gestione familiare che aveva caratterizzato l’azienda per oltre un secolo, ma non comportò un immediato cambiamento nella filosofia produttiva. I nuovi proprietari mantennero l’impegno verso la qualità artigianale che aveva reso celebre il marchio Gandolfi, continuando a produrre fotocamere di grande formato secondo i metodi tradizionali.
Materiali e tecniche costruttive
La reputazione delle fotocamere Gandolfi si basava in gran parte sull’eccellenza dei materiali utilizzati e sulla meticolosità delle tecniche costruttive impiegate. Ogni fotocamera era il risultato di un processo produttivo che combinava tradizione artigianale e precisione tecnica, con un’attenzione ai dettagli che raramente si trovava in prodotti industriali.
Il materiale principale utilizzato per la costruzione delle fotocamere Gandolfi era il legno di mogano, scelto per la sua stabilità dimensionale, resistenza e bellezza estetica. Il mogano utilizzato dai Gandolfi era accuratamente stagionato per garantire che non subisse deformazioni nel tempo, un fattore critico per mantenere la precisione dei movimenti della fotocamera. La stagionatura avveniva in modo naturale, con il legno conservato in ambienti a temperatura e umidità controllate per periodi che potevano durare anni, assicurando così che ogni pezzo utilizzato fosse perfettamente stabile.
Oltre al mogano, venivano utilizzati anche altri legni pregiati come il teak, particolarmente apprezzato per la sua resistenza agli agenti atmosferici e quindi ideale per le fotocamere da campo. Su richiesta specifica dei clienti, potevano essere impiegati anche palissandro, noce o frassino, ciascuno con caratteristiche estetiche e strutturali diverse che influenzavano non solo l’aspetto della fotocamera ma anche le sue prestazioni in termini di peso, rigidità e resistenza all’usura.
La lavorazione del legno seguiva tecniche tradizionali di ebanisteria, con giunzioni a coda di rondine utilizzate per connettere i vari elementi strutturali. Queste giunzioni, notoriamente difficili da realizzare con precisione, venivano eseguite a mano e garantivano una resistenza superiore rispetto a metodi di assemblaggio più rapidi ma meno robusti. La precisione delle giunzioni era fondamentale non solo per la durata della fotocamera, ma anche per la sua capacità di mantenere l’allineamento ottico in condizioni di uso intensivo.
Le parti metalliche delle fotocamere Gandolfi erano prevalentemente realizzate in ottone, un materiale scelto per la sua resistenza alla corrosione e per la facilità con cui poteva essere lavorato con precisione1. L’ottone veniva utilizzato per le manopole, le leve di regolazione, le cerniere, i binari di scorrimento e altri componenti strutturali. La lavorazione dell’ottone avveniva tramite tornitura, fresatura e incisione, con ogni pezzo prodotto individualmente e poi assemblato manualmente nella fotocamera.
Una caratteristica distintiva delle fotocamere Gandolfi era il soffietto, l’elemento flessibile che collegava il corpo anteriore (portaottica) a quello posteriore (portalastre) permettendo la messa a fuoco e i movimenti di basculaggio. I soffietti Gandolfi erano realizzati in pelle o tessuto gommato di alta qualità, con pieghe multiple che garantivano flessibilità e durata. La costruzione del soffietto era un’operazione particolarmente delicata, che richiedeva esperienza e abilità manuali considerevoli. Ogni piega doveva essere perfettamente simmetrica per garantire che il soffietto si estendesse e si comprimesse in modo uniforme, senza creare tensioni che potessero compromettere l’allineamento ottico.
Il processo di assemblaggio di una fotocamera Gandolfi seguiva una sequenza ben definita, con ogni fase affidata a un membro del team con competenze specifiche. L’assemblaggio iniziava con la costruzione del telaio in legno, seguito dall’installazione dei meccanismi di movimento e regolazione. Successivamente veniva montato il soffietto e infine venivano installate le piastre porta-obiettivo e porta-lastre. Ogni fase dell’assemblaggio includeva controlli di qualità meticolosi, con particolare attenzione all’allineamento ottico e alla fluidità dei movimenti.
La finitura delle fotocamere Gandolfi era un altro aspetto in cui l’azienda eccelleva. Il legno veniva trattato con oli e vernici naturali che ne esaltavano la venatura e offrivano protezione senza alterare l’aspetto naturale del materiale. Le parti in ottone potevano essere lasciate lucide o patinate, secondo le preferenze del cliente. Ogni dettaglio, dalle incisioni sulle parti metalliche alla qualità delle cuciture del soffietto, rifletteva l’attenzione maniacale alla qualità che caratterizzava la produzione Gandolfi.
Un aspetto meno noto ma altrettanto importante della produzione Gandolfi era la capacità di adattare i propri prodotti alle esigenze specifiche dei clienti. Se un fotografo aveva necessità particolari che non potevano essere soddisfatte dai modelli standard, i Gandolfi erano disposti a modificare i loro design o addirittura a creare modelli completamente nuovi. Questa flessibilità era possibile proprio grazie alla natura artigianale della produzione, che non era vincolata da processi industriali rigidi o da economie di scala.
La produzione annuale della Louis Gandolfi & Sons si attestava intorno alle 35 fotocamere, con una media di tre settimane di lavoro dedicate a ciascun apparecchio. Questi numeri evidenziano la natura esclusiva dei prodotti Gandolfi e spiegano il loro costo elevato. Una fotocamera Gandolfi non era semplicemente uno strumento fotografico, ma un investimento destinato a durare una vita intera e spesso a essere tramandato di generazione in generazione.
La qualità costruttiva delle fotocamere Gandolfi si rifletteva anche nella loro durata. Non era raro trovare modelli con decenni di utilizzo intensivo che funzionavano ancora perfettamente, necessitando al massimo di piccole manutenzioni. Questa longevità eccezionale era il risultato diretto della filosofia produttiva dell’azienda: utilizzare i migliori materiali disponibili, impiegare tecniche costruttive collaudate e non compromettere mai la qualità per ridurre i costi o accelerare la produzione.
L’evoluzione nei modelli moderni
L’ultimo modello introdotto dall’azienda prima del cambiamento di proprietà del 1990 fu la Precision, disponibile nei formati 4 x 5 e 8 x 10 pollici. Questo modello rappresentava la quintessenza della filosofia Gandolfi: una fotocamera da campo di grande formato, realizzata con materiali tradizionali (legno di mogano, soffietto in pelle, finiture in ottone) ma con movimenti di regolazione di precisione assoluta. La Precision era particolarmente apprezzata dai fotografi di paesaggio e di architettura, che richiedevano il massimo controllo sulla geometria dell’immagine e sulla profondità di campo.
Dopo il 1990, con il passaggio dell’azienda a nuovi proprietari sotto il nome di Gandolfi Limited, la produzione continuò, ma con alcune innovazioni significative. Il modello più emblematico di questa nuova fase fu la Variant, una fotocamera pieghevole realizzata interamente in metallo in lega leggera di derivazione aerospaziale, verniciata di nero. La Variant rappresentava un tentativo di combinare la tradizionale precisione Gandolfi con materiali e tecniche costruttive più moderni, rispondendo così alle esigenze di fotografi che richiedevano strumenti più leggeri e resistenti per l’uso sul campo.
La Variant era disponibile in diversi formati, dal 4×5″ all’11×14″, e rappresentava un significativo allontanamento dalla tradizione costruttiva in legno che aveva caratterizzato la produzione Gandolfi per oltre un secolo. Nonostante questo cambiamento nei materiali, la Variant manteneva molte delle caratteristiche che avevano reso celebri le fotocamere Gandolfi: movimenti di regolazione precisi e completi, costruzione robusta e attenzione ai dettagli funzionali.
La scelta di passare dal legno al metallo per la Variant non era solo una questione estetica o di marketing, ma rispondeva a precise esigenze tecniche. Le leghe leggere utilizzate offrivano un rapporto resistenza/peso superiore rispetto al legno, permettendo di costruire fotocamere più leggere ma ugualmente rigide e stabili. Questo era particolarmente importante per i fotografi che lavoravano in esterni, spesso in condizioni difficili, e che dovevano trasportare la propria attrezzatura per lunghi tragitti.
Nonostante l’introduzione di modelli più moderni come la Variant, la Gandolfi Limited continuò a produrre anche fotocamere in legno secondo i metodi tradizionali. Il modello Traditional, in particolare, rimase in produzione, rispondendo alla domanda di fotografi che apprezzavano l’estetica classica e le qualità specifiche delle fotocamere in legno. La Traditional manteneva tutte le caratteristiche che avevano reso famose le fotocamere Gandolfi, inclusa l’eccezionale estensione del soffietto fino a 480 mm, che permetteva l’uso di obiettivi a lunga focale e facilitava le riprese macro.
Un aspetto interessante dell’evoluzione dei modelli Gandolfi è il modo in cui l’azienda ha cercato di bilanciare tradizione e innovazione. Se da un lato i modelli classici come la Traditional mantenevano inalterata la filosofia costruttiva originale, dall’altro modelli come la Variant introducevano materiali e tecniche più moderne senza compromettere la precisione e la versatilità che i fotografi si aspettavano da una Gandolfi. Questo approccio dual-track permetteva all’azienda di soddisfare sia i fotografi più tradizionalisti, legati all’estetica e alle sensazioni tattili del legno, sia quelli più pragmatici, interessati principalmente alle prestazioni e alla praticità d’uso.
Le fotocamere Gandolfi moderne, sia quelle in legno che quelle in metallo, continuavano a condividere alcune caratteristiche fondamentali: la completezza dei movimenti di regolazione, la robustezza costruttiva, la precisione dei meccanismi e la capacità di accogliere una vasta gamma di obiettivi. Queste caratteristiche rendevano le Gandolfi strumenti ideali per applicazioni fotografiche che richiedevano il massimo controllo sulla geometria dell’immagine: fotografia di architettura, still life professionale, fotografia di paesaggio e riproduzioni artistiche.
Un elemento di continuità tra le fotocamere Gandolfi tradizionali e quelle moderne era l’attenzione dedicata ai sistemi di bloccaggio dei vari movimenti. Questi sistemi dovevano essere sufficientemente robusti da mantenere la posizione impostata anche in condizioni di uso intensivo, ma al contempo abbastanza sensibili da permettere regolazioni micrometriche. Nelle fotocamere in legno, questi bloccaggi erano tipicamente realizzati in ottone, con meccanismi a vite o a leva che garantivano una presa salda senza rischiare di danneggiare il legno. Nelle fotocamere metalliche come la Variant, i sistemi di bloccaggio erano stati riprogettati per funzionare con i nuovi materiali, ma mantenevano la stessa filosofia di precisione e affidabilità.
I modelli principali e le loro caratteristiche tecniche
Durante la sua lunga storia, la Gandolfi ha prodotto numerosi modelli di fotocamere, ciascuno con caratteristiche specifiche adatte a diversi tipi di fotografia. Tra i modelli più significativi, oltre ai già citati Universal, Imperial, Traditional, Precision e Variant, vale la pena menzionare alcuni altri che hanno contribuito alla reputazione dell’azienda.
La Universal Folding Hand and Stand Camera era probabilmente il modello più diffuso tra quelli prodotti da Gandolfi, l’unico che si poteva considerare relativamente “popolare”. Si trattava di una fotocamera pieghevole che poteva essere utilizzata sia a mano libera (per fotografi sufficientemente robusti e dotati di mano ferma) sia montata su treppiede. La sua versatilità la rendeva adatta a diversi tipi di fotografia, dalla ritrattistica alla fotografia di paesaggio, dai servizi giornalistici alla documentazione scientifica. Introdotta nel 1909, rimase in produzione con modifiche minime fino agli anni ’70, una longevità che testimonia la validità del suo design.
Le fotocamere Gandolfi per studio erano caratterizzate da strutture particolarmente robuste e stabili, essenziali per lavori che richiedevano lunghi tempi di esposizione o complesse configurazioni di illuminazione. Questi modelli presentavano spesso carrelli scorrevoli su binari che permettevano una regolazione precisa della distanza tra corpo anteriore e posteriore, facilitando la messa a fuoco e il controllo della prospettiva. I modelli da studio avevano anche sistemi di blocco particolarmente robusti, progettati per mantenere la posizione impostata anche quando la fotocamera veniva sollecitata durante le operazioni di caricamento delle lastre o di manipolazione degli accessori.
Le fotocamere Gandolfi da campo, come la Precision, erano invece progettate per bilanciare robustezza e portabilità. Questi modelli dovevano essere sufficientemente resistenti da sopportare l’uso in condizioni difficili, ma anche abbastanza leggeri da poter essere trasportati nelle escursioni fotografiche. Le fotocamere da campo Gandolfi erano caratterizzate da un sistema di piegatura che permetteva di ridurre notevolmente le dimensioni durante il trasporto, proteggendo al contempo le parti più delicate come il soffietto e i meccanismi di regolazione. Una volta aperte e montate sul treppiede, queste fotocamere offrivano la stessa stabilità e precisione dei modelli da studio, permettendo ai fotografi di ottenere immagini di alta qualità anche in luoghi remoti.
Un aspetto tecnico particolarmente curato nelle fotocamere Gandolfi era il sistema di messa a fuoco. Nelle fotocamere di grande formato, la messa a fuoco avviene spostando avanti o indietro il corpo anteriore (portaottica) rispetto a quello posteriore (portalastre), aumentando o diminuendo la distanza tra obiettivo e piano focale. Nelle Gandolfi, questo movimento era controllato da cremagliere di precisione che permettevano regolazioni micrometriche, essenziali per ottenere la massima nitidezza nelle immagini di grande formato. Il sistema di messa a fuoco includeva anche bloccaggi robusti che mantenevano la posizione impostata, evitando spostamenti accidentali durante l’esposizione.
I movimenti di decentramento erano un’altra caratteristica fondamentale delle fotocamere Gandolfi. Questi movimenti, che permettono di spostare l’obiettivo o il piano focale parallelamente l’uno all’altro, sono essenziali per controllare la prospettiva, soprattutto nella fotografia di architettura. Nelle Gandolfi, i decentramenti erano implementati con sistemi a slitta che garantivano un movimento fluido e preciso, con scale graduate che facilitavano il controllo dell’entità del movimento. La possibilità di combinare decentramenti e basculaggi dava ai fotografi un controllo totale sulla geometria dell’immagine, permettendo correzioni prospettiche impossibili con fotocamere meno versatili.
La qualità tecnica delle fotocamere Gandolfi non si limitava ai movimenti di regolazione, ma si estendeva a tutti gli aspetti funzionali. I sistemi di cambio dei dorsi portalastra, ad esempio, erano progettati per permettere una sostituzione rapida e sicura, minimizzando il rischio di infiltrazioni di luce o di danni alle lastre. I meccanismi di bloccaggio del piano focale garantivano che, una volta impostata la posizione corretta, questa rimanesse stabile durante tutto il processo di esposizione e sviluppo, essenziale per ottenere immagini perfettamente nitide.