Camera Corporation of America fu fondata nel maggio 1938, da Carl Price, Joseph Price e Benjamin Edelman, come evoluzione diretta della Candid Camera Corporation of America. Fin dagli inizi, la società si posizionò sul mercato della fotografia 35 mm puntando su macchine compatte con otturatori a tendina e meccanismi rapidi. Nella fase iniziale l’offerta comprendeva modelli come il Perfex Speed Candid (1938‑39), che evidenziava un meccanismo di carica a leva rapida, progettato per offrire un’alternativa economica ai complicati apparecchi europei.
La struttura organizzativa presentava una chiara distinzione tra dipartimenti tecnici e commerciali. I fondatori, in collaborazione, sviluppavano in loco prototipi e studiavano le specifiche tecniche dettagliate (pressioni del molleggio, ruote dentate del winding, tolleranze dell’otturatore) mentre team di ingegneri ottici selezionavano lenti compatte di alta qualità. Le parti meccaniche – come i corpi macchina in metallo pressofuso, l’uso di ottone nei supporti e leve in acciaio temperato – erano disegnate internamente e prodotte da fornitori con cui gli ingegneri tenevano scambi costanti su dimensioni, finiture e trattamenti superficiali.
Dal punto di vista temporale, la fondazione nel 1938 coincide con il boom della fotografia 35 mm negli Stati Uniti, un’epoca in cui il mercato richiedeva macchine versatili, poco costose e facilmente utilizzabili. Perfex Forty-Four (1939‑40) e Forty-Five (1942‑45) evidenziano un approccio costante di miglioramento tecnico: otturatori con velocità fino a 1/500 s, sistemi di sincronizzazione per flash bulb, e meccanismi di avanzamento film senza ritorno. In questo periodo l’azienda doveva confrontarsi con player internazionali più affermati (Leica, Contax) e rivaleggiare con altri marchi americani emergenti .
L’esperienza ingegneristica interna prevedeva la sperimentazione con materiali diversi, come leghe leggere per i corpi macchina, sistemi di isolamento del dorso contro luce parassita, e meccanismi di sostenibilità interna del carrello film, studiati per ottimizzare il flusso e ridurre il rischio di inceppamenti. Veicolo per innovazioni come quello dell’Perfex Fifty‑Five (1940‑47), che implementava un caricatore a tamburo con leva cricchetto e un otturatore centrale a lamelle dalla resa stabile fino a 1/2000 s.
L’azienda manteneva un forte controllo sulla catena di produzione, inclusa la calibrazione degli ingranaggi dentati, l’assemblaggio manuale di moduli ottici, il controllo qualità sui film advance e il testing finale di shutter speed. C’era un reparto dedicato a misurazioni ottiche: test MTF sulle lenti, valutazione delle aberrazioni cromatiche, controllo della planicità del piano focale. L’assistenza tecnica includeva anche schemi di smontaggio e riparazione, schede con elevati standard di riutilizzo componenti.
Parallelamente al reparto produttivo, Camera Corporation of America sviluppò una rete distributiva capillare rivolta a negozi di fotografia professionale, studi amatoriali e rivenditori multipli. Ogni macchina era accompagnata da manuali tecnici con diagrammi dello schema ottico, valori di esposizione consigliati, tabella di sviluppo film (ad esempio T‑Max, Tri‑X), e istruzioni per la sincronizzazione flash. La presenza di modelli destinati a mercati differenti era gestita con rigore progettuale: il modello One‑O‑One (1947‑50) offriva opzionalità per le ottiche intercambiabili, consentendo l’uso di lenti da 50 mm standard o teleobiettivi fino a 135 mm. Veicoli di consumo venivano prodotti con sovrapprezzi differenziati in base alla montatura in metallo o interamente cromata.
Il catalogo della Camera Corporation of America documenta questa evoluzione tecnica: ogni nuovo modello riflette migliorie su otturatori focal plane, silenziature meccaniche, compatibilità con flash bulb and sincronizzazioni X/M, leve di carica brevissime e indicatori di esposizione tipo “V” (Velvet). Le innovazioni maggiori includevano l’impiego del film 35 mm standard a perforazione 135, uso del dorso amovibile, e meccanismi più robusti rispetto alla concorrenza che presentava modelli più economici ma spesso meno durevoli.
Questo approccio tecnico-commerciale permise all’azienda di allinearsi con la crescente domanda di prodotti americani affidabili, mantenendo prezzi competitivi. I pezzi venivano sottoposti a test di durabilità, come prova cicli di scatto fino a 10.000 esposizioni, test ambientali per temperatura (‑10°C a +50°C), e controllo remoto della consistenza meccanica delle leve di avanzamento. La sensazione tattile delle leve, la robustezza dell’impugnatura, erano elementi studiati con precisione: si volevano fotocamere capaci di resistere a uso professionale senza perdita di performance.
Il secondo capitolo descrive come Camera Corporation of America sviluppò modelli successivi, rifinì processi produttivi e affrontò problemi tecnici complessi, sempre mantenendo una forte attenzione sulle specifiche e precision engineering.
Nei primi anni Quaranta, l’introduzione del Perfex Forty‑Four segnò una svolta: adottò un otturatore a tendina in tessuto, con velocità registrate tramite meccanismo rack-and-pinion. L’avanzamento film avveniva tramite leva con ruota a cricchetto, assicurando un passo costante di 36 mm per fotogramma. I tecnici calibravano manualmente ogni meccanismo per ottenere ritardo minimo (shutter lag) e sincronicità perfetta con flash bulb su slitta standard. In seguito, il modello Forty‑Five integrò una versione migliorata dello stesso otturatore, con una lamina metallica interna che garantiva velocità fino a 1/1000 s e più uniformità nella tensione del tendine.
Durante la Seconda guerra mondiale l’azienda fronteggiò problemi di approvvigionamento materie prime (ottone, acciaio, tessuti). Questo portò a soluzioni tecniche come l’uso di lega leggera, acciaio nichelato o dorato per i componenti, e plastica bakelite per le impugnature. Le tolleranze furono ridefinite: passaggi da 0,1 mm a 0,05 mm per alberini, sistemi interni di serraggio sviluppati per compensare differenze termiche. Questi adeguamenti tecnici furono essenziali per mantenere prestazioni stabili anche in condizioni ambientali variabili.
Nel dopoguerra la società lanciò due modelli di fascia avanzata: Perfex De Luxe (1947‑50) e One‑O‑One (1947‑50). Entrambi presentavano scatto immediato, finestra di messa a fuoco a telemetro incorporato, possibilità di montare obiettivi supplementari, e levette di avanzamento ridisegnate. One‑O‑Two (1948‑50) implementava un otturatore a due veloci sequenze, consentendo esposizioni di precisione. Era un’implementazione tecnica sofisticata che richiedeva punzonatura meccanica precisa e controllo elettronico assente (ovviamente in epoca pre‑elettronica), contando esclusivamente su molle calibrate e bilanciamenti meccanici.
Il modello Cee‑Ay 35 (1949‑50) fu l’ultimo, con ottiche intercambiabili, slitta per flash fine sync X, obiettivi standard 50 mm f/2 prodotti internamente o in licenza, e accurata verniciatura e finitura lucida. Fu progettato pensando sia all’affidabilità tecnica sia alla user‑experience, con indicatori visivi di caricamento film, indicatori di scatto pronto, messa a fuoco visiva in telemetro, e protezione contro apertura accidentale del dorso. Ogni unità era accompagnata da certificato di test funzionale, riporta livelli di test di shutter speed, prova avanzamento film, controllo luce parassita, e livelli di tensione delle molle interne, con tolleranze dichiarate.
La documentazione tecnica interna includeva schemi meccanici, diagrammi di flusso del film, spaccati ottici, calcoli delle lunghezze focali utili e della profondità di campo per ogni obiettivo. C’era un ufficio design dedicato alla minimizzazione delle vibrazioni meccaniche e alla ottimizzazione dell’equilibrio: studiavano il peso della fotocamera attorno a 550‑600 g per modelli base e 650‑700 g per modelli De Luxe, bilanciando corpo e obiettivi per stabilità. L’uso di ingranaggi con dentatura fine assicurava un avanzamento fluido, con passo di rotazione di 75° per esposizione.
Ad ogni nuova versione apportavano miglioramenti: slitta flash rinforzata per supportare bulb XP, levetta di avanzamento più corta per maggiore velocità, frizione interna per evitare doppio scatto accidentale. Test d’usura simulavano 8000 cicli e resistenza all’umidità fino a 90 % RH. La nomenclatura aziendale affiancava nomi come “Perfex” a significati tecnici: Precision Mechanical Excellence.
Anche il controllo qualità era parte integrante del processo: dopo 1950, quando l’azienda cessò produzione, su ogni macchina rimenevano stampigliati numeri di serie che corrispondevano ai protocolli di test. Tali serie numeriche permettono oggi di ricostruire il processo produttivo e di verificare i dettagli tecnici effettivamente applicati in fabbrica. Le parti di ricambio erano catalogate con codici specifici (es. otturatore PF‑500, leva L‑102B) e ogni componente elettrico (come contatti flash) veniva testato per durate minime di 1000 cicli.
Dal punto di vista della vendita, l’azienda offriva anche formazione tecnica ai rivenditori: seminari sul corretto smontaggio, lubrificazione con grassi adeguati (olio di pesce per ingranaggi, grassi sintetici per tendine), e aggiornamenti alle varie versioni firmware “meccaniche”. Era un’attenzione rara per il tempo, che garantiva una rete assistenziale efficace.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
Oltre al mio lavoro online, sono autrice di libri dedicati alla fotografia. La mia dedizione a questo campo continua a ispirare coloro che si avvicinano a questa forma d’arte. Il mio obiettivo è presentare la fotografia in modo chiaro e professionale, dimostrando la mia passione e competenza. Cerco di mantenere un equilibrio tra un tono formale e un registro comunicativo accessibile, per coinvolgere un pubblico ampio.