Bertha Wehnert-Beckmann nacque a Cossdorf, in Sassonia, nel 1815 e morì nel 1901 a Lipsia, città in cui trascorse la maggior parte della sua carriera professionale. La sua esistenza si colloca in un periodo cruciale della storia europea, caratterizzato da profondi cambiamenti sociali, politici e tecnologici. La fotografia, invenzione relativamente recente all’epoca della sua giovinezza, divenne per lei non solo una professione ma anche una forma di espressione e di emancipazione personale.
La formazione di Bertha è avvolta da una certa scarsità di fonti dirette, ma sappiamo che il suo ingresso nel mondo della fotografia avvenne attraverso il matrimonio con Eduard Wehnert, un pioniere locale del dagherrotipo che aveva aperto uno dei primi studi fotografici a Lipsia. Questo matrimonio fu determinante: da un lato la introdusse alla pratica concreta della fotografia, dall’altro le fornì l’occasione di familiarizzare con l’organizzazione di un atelier professionale. Dopo la morte prematura del marito, avvenuta nel 1847, Bertha decise di non abbandonare l’attività ma di proseguirla in proprio, trasformandosi in una delle prime donne fotografe professioniste della Germania.
È importante sottolineare il contesto storico della sua scelta. Nella metà dell’Ottocento, le donne erano generalmente escluse dalle attività tecnico-scientifiche, e la gestione di uno studio commerciale era ritenuta una prerogativa maschile. La decisione di Bertha di mantenere e sviluppare l’attività fotografica del marito non fu soltanto un atto di continuità familiare, ma una scelta coraggiosa e innovativa che la portò a distinguersi come figura autonoma e riconosciuta nel panorama fotografico europeo e statunitense.
La vita di Bertha Wehnert-Beckmann si divide in due grandi fasi: gli anni trascorsi a Lipsia, dove consolidò il suo studio e divenne una fotografa rispettata della borghesia cittadina, e il periodo negli Stati Uniti, precisamente a New York, dove esercitò tra il 1849 e il 1851, portando in Europa le esperienze maturate oltreoceano. Questa dimensione transnazionale fa di lei una figura singolare: non solo una pioniera della fotografia femminile, ma anche una testimone diretta dello scambio tecnico e culturale tra Europa e America nel XIX secolo.
Lo studio fotografico di Lipsia e le innovazioni tecniche
Lo studio di Lipsia fu il cuore pulsante della carriera di Bertha Wehnert-Beckmann. Situato inizialmente in Grimmaische Straße, lo stabilimento fotografico era progettato secondo i criteri tecnici dell’epoca: ampie finestre a soffitto, pareti mobili e fondali dipinti che permettevano di modulare la scena. La luce naturale era la principale fonte di illuminazione, gestita con sapienza attraverso riflettori e tendaggi. In questo ambiente, Bertha realizzava ritratti che si distinguevano per chiarezza e precisione, qualità rese possibili dall’attento controllo delle esposizioni.
Dal punto di vista tecnico, i suoi primi lavori furono dagherrotipi, un procedimento che richiedeva grande maestria. La lastra argentata veniva esposta ai vapori di iodio, sensibilizzata e poi sviluppata con vapori di mercurio. I tempi di posa erano lunghi, anche superiori a un minuto, il che implicava una gestione accurata della postura dei soggetti. Bertha dimostrò una notevole abilità nel dirigere i clienti durante queste lunghe esposizioni, ottenendo ritratti di grande compostezza senza eccessiva rigidità.
Con l’introduzione del collodio umido negli anni Cinquanta, lo studio di Wehnert-Beckmann si adattò rapidamente al nuovo metodo. Questo processo, basato su lastre di vetro rivestite da una soluzione di collodio e nitrato d’argento, consentiva tempi di esposizione più brevi e una definizione superiore. La fotografa si distinse per la capacità di sfruttare le potenzialità del collodio, ottenendo negativi nitidi e ricchi di dettagli. Tale competenza le permise di stampare su carta all’albumina, introducendo così la possibilità di produrre copie multiple di un singolo ritratto. Questo aspetto commerciale fu fondamentale, poiché soddisfaceva la crescente domanda di carte de visite, piccoli ritratti montati su cartoncino che divennero oggetti di collezione e di scambio sociale.
Lo studio di Lipsia non era solo un luogo di produzione, ma anche un centro di innovazione. Bertha adottò presto apparecchi fotografici dotati di più obiettivi, progettati appositamente per realizzare serie di immagini in un’unica esposizione, ottimizzando i tempi e riducendo i costi. La sua attenzione alle tecniche più avanzate le permise di mantenere la competitività in un mercato sempre più affollato, dove la fotografia stava diventando un’attività diffusa e accessibile.
Il riconoscimento ufficiale del suo talento arrivò negli anni Sessanta, quando la sua attività venne menzionata in riviste specialistiche e guide cittadine come una delle più qualificate della Sassonia. Non va dimenticato che Lipsia era un centro editoriale e culturale di grande importanza, sede di fiere internazionali e di un’élite intellettuale che costituiva la clientela ideale per un atelier fotografico. Bertha seppe inserirsi in questo tessuto sociale, offrendo non solo ritratti, ma anche fotografie documentarie di edifici e paesaggi urbani, ampliando così il repertorio del suo studio.
L’esperienza americana a New York (1849–1851)
Un capitolo fondamentale della biografia di Bertha Wehnert-Beckmann è la sua esperienza a New York, dove si trasferì tra il 1849 e il 1851. Questo soggiorno rappresenta uno degli episodi più significativi della sua carriera, perché la pose in contatto diretto con il dinamismo tecnico e commerciale della fotografia americana, che in quegli anni stava conoscendo un’espansione senza precedenti.
New York era allora la capitale mondiale del dagherrotipo. Studi fotografici come quelli di Mathew Brady e di altri pionieri popolavano Broadway e altre zone centrali, offrendo servizi a una clientela vasta e diversificata. Bertha aprì un proprio studio fotografico in città, diventando una delle pochissime donne a esercitare questa professione negli Stati Uniti. La sua presenza attirò l’attenzione della stampa locale, che sottolineava l’eccezionalità di una donna fotografa europea capace di competere con i colleghi americani.
Dal punto di vista tecnico, il periodo newyorkese le permise di sperimentare attrezzature all’avanguardia. Negli Stati Uniti erano già diffuse le prime varianti del dagherrotipo a esposizione ridotta, grazie all’uso di obiettivi più luminosi e trattamenti chimici migliorati. Bertha adottò queste innovazioni e le portò successivamente a Lipsia, contribuendo a modernizzare il suo atelier. Inoltre, in America ebbe modo di osservare la forza del marketing fotografico: i fotografi newyorkesi utilizzavano ampiamente pubblicità, vetrine e dimostrazioni pubbliche per attrarre clienti. Anche questo aspetto influenzò il suo modo di gestire l’attività in Germania, rendendo il suo studio più visibile e competitivo.
Un altro elemento cruciale fu la diversificazione dei soggetti. Mentre in Europa il ritratto borghese era la norma, negli Stati Uniti Bertha entrò in contatto con una clientela più varia, composta non solo da famiglie benestanti ma anche da immigrati, professionisti e artisti. Questa esperienza ampliò il suo repertorio iconografico e la rese più sensibile alle esigenze di diversi gruppi sociali. Quando tornò a Lipsia, portò con sé un bagaglio di esperienze che la rese ancora più autorevole e innovativa.
L’esperienza americana conferì a Bertha un profilo internazionale che poche fotografe del tempo potevano vantare. Essa dimostrava non solo la sua intraprendenza ma anche la sua capacità di adattarsi a contesti diversi, di apprendere nuove tecniche e di inserirsi in mercati competitivi. In questo senso, la sua biografia testimonia come la fotografia dell’Ottocento non fosse un fenomeno isolato, ma parte di una rete globale di scambi tecnologici e culturali.
Le opere principali e la produzione riconosciuta
Le opere principali di Bertha Wehnert-Beckmann si concentrano soprattutto nel genere del ritratto, ma non mancano esempi significativi di fotografia urbana e architettonica. I suoi dagherrotipi di Lipsia rappresentano alcuni dei più antichi esempi noti della città, e costituiscono oggi documenti di grande valore storico. Tali immagini non si limitavano a raffigurare persone, ma spesso registravano scorci urbani, palazzi e interni, mostrando una precoce consapevolezza del potenziale documentario della fotografia.
I suoi ritratti di studio sono caratterizzati da una notevole precisione tecnica e da un’eleganza compositiva che li rende immediatamente riconoscibili. Bertha sapeva sfruttare i fondali dipinti e gli accessori per conferire un senso di dignità e di decoro ai soggetti, senza cadere nella rigidità. Molti critici hanno notato come le sue immagini rivelino una particolare attenzione alla psicologia del ritratto: i volti non sono semplici maschere, ma appaiono animati da una presenza viva e naturale.
Tra le sue opere di maggior rilievo vi sono anche le fotografie architettoniche di Lipsia, in cui documentò la trasformazione urbanistica della città. Queste immagini, realizzate con il collodio umido e stampate all’albumina, mostrano una padronanza tecnica notevole, poiché la fotografia di architettura richiedeva tempi di esposizione più lunghi e una gestione accurata delle condizioni luminose. In un’epoca in cui il genere era ancora poco sviluppato, tali opere assumono un valore pionieristico.
Un altro ambito significativo della sua produzione fu la carte de visite. Lo studio di Bertha produsse migliaia di questi piccoli ritratti, che ebbero ampia diffusione tra la borghesia sassone. La qualità delle sue carte de visite era superiore alla media, grazie alla nitidezza dei negativi e alla cura della stampa. Non sorprende che molti album familiari dell’epoca conservino esempi del suo lavoro, segno di una diffusione capillare nella società del tempo.
Oggi le sue opere sono conservate in importanti istituzioni, tra cui il Stadtgeschichtliches Museum di Lipsia, che possiede un fondo rilevante dei suoi dagherrotipi e delle sue stampe. Anche archivi americani hanno preservato testimonianze del suo soggiorno a New York, rendendo possibile uno studio comparativo tra la produzione europea e quella americana. Ciò conferma la rilevanza internazionale della sua figura e la solidità della sua produzione, capace di attraversare due continenti e due contesti culturali diversi.

Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.