Alex Soth, più noto come Alec Soth, nasce nel 1969 a Minneapolis, Minnesota (USA). È uno dei fotografi più influenti della contemporaneità, riconosciuto per la sua capacità di trasformare la fotografia documentaria in un linguaggio poetico e narrativo. Soth è tuttora vivente e attivo, con base a Minneapolis, e dal 2008 è membro di Magnum Photos, una delle agenzie fotografiche più prestigiose al mondo. La sua produzione si colloca in un contesto di ricerca estetica e antropologica, con una forte attenzione alla tecnica del grande formato, elemento distintivo della sua poetica.
Formazione e primi anni
Il percorso di Alex/Alec Soth si radica nel paesaggio fisico e mentale del Midwest. Crescere a Minneapolis ha significato confrontarsi con una geografia vasta, poco spettacolare se misurata con i parametri dell’iconografia turistica, ma densissima di microstorie; un territorio dove le periferie, le strade statali e i piccoli centri abitati non sono sfondo, bensì materia narrativa. Soth, che da ragazzo viene spesso descritto come estremamente timido, sviluppa una relazione con la fotografia che gli consente di negoziare la distanza con l’altro trasformandola in spazio relazionale. Questa timidezza — rievocata dallo stesso autore — non è un dettaglio caratteriale privo di conseguenze sulla prassi; diventa un dispositivo etico: l’avvicinamento ai soggetti è lento, concertato, rispettoso, e l’immagine finale assorbe quella sospensione, con ritratti in cui la posa è insieme consenso e attesa, più che cattura.
Soth studia al Sarah Lawrence College a Bronxville (NY), un contesto in cui la fotografia è trattata come linguaggio artistico e non solo come tecnica di registrazione. Qui entra in contatto con una genealogia che andrà a sedimentarsi nella sua grammatica visiva: Walker Evans, Robert Frank, Stephen Shore, fino a William Eggleston, autori che hanno ridefinito la possibilità di raccontare l’America utilizzando il quotidiano come soggetto e la strada come tessuto narrativo. Non si tratta di citazionismo: si tratta di comprendere che la fotografia, per Soth, è una forma di letteratura visiva in cui la sequenza delle immagini svolge il ruolo che, nel romanzo, ha la struttura capitolare, mentre i singoli scatti assomigliano a strofe poetiche capaci di restare autonome e, al tempo stesso, di contribuire a un senso complessivo.
Tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, sperimentando vari formati ma gravitano verso il grande formato 8×10, Soth inizia a percorrere il Mississippi come spina dorsale narrativa. Il fiume non è un pretesto geografico, è un principio d’ordine: l’asse sud–nord fornisce una direzione al vagare, una linea di fuga che accoglie deviazioni e derive. Nasce così Sleeping by the Mississippi (1999–2002), un corpus che coniuga ritratto, paesaggio e interno con una coerenza cromatica che molti lettori associano alla Kodak Portra per la plasticità delle carnagioni e il controllo sulle alte luci. La scelta del grande formato introduce una disciplina temporale: la preparazione del cavalletto, la misurazione dell’esposizione, il controllo dei movimenti di basculaggio e decentramento del banco ottico, l’uso del panno nero per la messa a fuoco su vetro smerigliato. Questa lentezza non è un feticcio tecnico; è il ritmo che consente a Soth di abitarne l’incontro. La persona fotografata — che spesso concede il ritratto dopo un breve dialogo, una spiegazione del progetto e un tempo di assestamento — partecipa a una coreografia minima in cui il fotografo regola l’architettura dell’inquadratura e il soggetto trova una postura che non appare recitata, bensì accettata.
La prima consacrazione pubblica arriva con la selezione alla Whitney Biennial 2004, dove l’immagine di “Charles, Vasa, Minnesota” diventa persino materiale promozionale. Soth, però, non capitalizza quel successo inseguendo una ripetizione della formula; al contrario, avvia un ciclo di progetti che affrontano territori emotivi diversi, tenuti insieme da un’attenzione quasi antropologica per l’abitare, il desiderio, la fuga. Niagara (2006) prende un luogo mitico per la cultura popolare — la destinazione delle lune di miele — e ne decostruisce l’iconografia mostrando camere d’albergo, cortine d’acqua, lettere d’amore raccolte e fotografate con una cura archivistica che rende visibile la distanza tra mito romantico e economia del sentimento. Broken Manual (2010) cambia scala e psicologia: non più coppie e promesse, ma uomini che si ritirano dal mondo, rifugi, capanni, tracce di una volontà di invisibilità. In Songbook (2015) Soth compie una torsione formale, adottando il bianco e nero per lavorare su situazioni sociali — balli, riunioni, raduni — con una lucidità che rimanda al reportage classico, pur restando distante dalla cronaca. Più tardi, I Know How Furiously Your Heart Is Beating (2019) porta l’autore dentro interiori e stanze: i ritratti di artisti e scrittori realizzati in ambienti privati incarnano una nuova intimità, mentre A Pound of Pictures (2022) interroga il peso materiale e simbolico della fotografia, tra stampe pigmentate, fotografie d’epoca comprate ai mercatini e derive saggistiche sul collezionare immagini. Con Advice for Young Artists (2024) l’attenzione torna al processo: campus, oggetti didattici, autoritratti che contemplano il tempo e l’età come variabili dell’atto creativo.
Questo percorso, sempre sostenuto da una pratica editoriale rigorosa — i libri non come cataloghi postumi, ma come spazio nativo dell’opera — fa di Soth una figura centrale nella storia della fotografia documentaria contemporanea. La coerenza di fondo è l’uso del viaggio e dell’incontro come metodo d’indagine; la flessibilità sta nell’accogliere cambi di linguaggio e di passo quando il progetto lo richiede, senza tradire il patto con chi guarda: immagini aperte, che non spiegano, suggeriscono.
Stile fotografico e approccio tecnico
Definire lo stile di Soth significa tenere insieme tecnica, etica e editoria. Sul piano tecnico, il banco ottico 8×10 è l’attrezzo emblematico. Non tanto perché conferisca un’aura feticista all’immagine, quanto per gli effetti pratici e poetici che introduce: negativi di grande superficie con gamma tonale ampia e microcontrasto controllato; possibilità di intervenire su piano focale e prospettiva tramite i movimenti del banco; tempi operativi che dilatano la relazione con soggetti e luoghi. La profondità di campo diventa un parametro plastico: Soth spesso la tiene generosa a media distanza per far convivere volto e contesto, lasciando che gli interni partecipino al ritratto senza sopraffarlo. In esterno, l’uso della luce naturale domina, con una predilezione per momenti pre- o post-meridiani in cui l’incidenza solare restituisce cromie morbide e ombre leggibili. Non manca, all’occorrenza, un supporto di illuminazione artificiale discreta quando gli interni lo richiedono, soprattutto nei cicli più recenti in cui la stanza ha un ruolo drammaturgico evidente.
Sul piano dei materiali fotosensibili, la tradizione del negativo colore — spesso associata alla famiglia Portra per resa delle carnagioni e latitudine di posa — si combina con il bianco e nero in progetti come Songbook, dove il passaggio tonale meno permissivo obbliga a un disegno luci/ombre più netto, risolvendo le scene sociali in grafemi chiaroscurali. La stampa finale delle opere di Soth ha conosciuto nel tempo soluzioni coerenti con la musealizzazione del colore: C-print (stampa cromogenica) e declinazioni digital chromogenic su carta RA‑4, talvolta montate su supporti rigidi come l’alluminio per garantirne la planarità, in linea con le pratiche espositive di musei come SFMOMA. Questa storia di materialità non è un dettaglio tecnico: tocca il tema centrale del rapporto tra immagine‑oggetto e immagine‑sequenza. Soth concepisce i libri come spazio primario di fruizione; l’esposizione in galleria e museo è l’altra faccia, in cui il singolo scatto deve reggere autonomamente pur venendo dal testo visivo di un libro.
Il metodo di lavoro è altrettanto distintivo. Soth parla spesso della fotografia come una forma di “performance del vagare”: partire con appunti — anche elenchi volutamente eccentrici, dal birdwatcher al ritiro spirituale — e lasciare che il mondo offra incontri non pianificati. Questa pratica, che ha un che di web surfing nel reale, produce immagini che non cercano l’evento eclatante ma l’accadimento minimo. La postura dell’autore al momento dell’incontro — una timidezza dichiarata — funziona come dispositivo di de‑gerarchizzazione: il soggetto sente di non essere “predato” ma ascoltato, e la macchina grande e lenta, lontana dall’istantaneismo, sancisce che non c’è fretta. È una contrattazione dei tempi che spesso genera quello sguardo diretto, pacato, in cui traspare consapevolezza della presenza del fotografo e, insieme, abbandono.
Un altro elemento fondante è il montaggio. Soth costruisce la sequenza con rigore letterario: alterna ritratto, paesaggio e still life secondo logiche di respiro e cadenza, disponendo punte emotive e pausi. I rimandi interni sono frequenti: una carta da parati che riappare, un oggetto che richiama un altro, un colore che prepara il successivo. Nei libri, la grafica è funzionale all’andamento: bianchi generosi, accoppiate di pagine in dialogo, e, quando serve, inserti testuali — lettere in Niagara, brani diaristici in progetti successivi — usati come documenti esposti più che come commento didascalico. La didattica del vedere che i suoi libri praticano consiste nel far sì che ogni fotografia sostenga due livelli: valore singolo e valore di sintagma dentro la catena narrativa.
Dal punto di vista strumentale, pur restando l’8×10 il suo emblema, Soth adotta soluzioni più agili quando il progetto lo richiede. Il viraggio a bianco e nero di Songbook coincide con una pratica fotografica più leggera, vicina alla tradizione del reportage sociale e alle grammatiche del 35mm; l’assenza di colore rimodula lo sguardo sul gesto collettivo, sottraendolo alla seduzione cromatica per cercarne un ritmo. Nei cicli più recenti, in cui l’interno è protagonista, torna la lentezza del grande formato, perché la stanza, con i suoi piani e le sue fonti luminose puntuali, beneficia della geometria che il banco ottico consente di addomesticare.
Infine, la relazione di Soth con l’editoria indipendente merita un posto nel suo profilo tecnico. Con Little Brown Mushroom ha creato un laboratorio per giornali d’artista, zine e oggetti editoriali non convenzionali, in cui l’economia della stampa e la serialità diventano parte dell’opera. È qui che progetti come The LBM Dispatch hanno preso forma, fungendo da matrice per l’atlante Songbook. La circolazione delle immagini in forma di libro, con tirature, edizioni differenti, ristampe e versioni annotate (si pensi a Gathered Leaves), è un capitolo decisivo: la storia della fotografia degli ultimi decenni si è in gran parte scritta nelle biblioteche più che nei white cube, e Soth è fra coloro che hanno consolidato questa centralità del photobook come forma.
Carriera e riconoscimenti
L’ascesa pubblica di Soth coincide con un momento storico in cui la fotografia documentaria autoriale recupera spazio nelle istituzioni. La partecipazione alla Whitney Biennial del 2004, con la già citata immagine di “Charles” divenuta simbolo della mostra, segna la legittimazione museale. Nello stesso torno d’anni Soth entra nel circuito di Magnum Photos: nominee nel 2004, full member nel 2008. La sua presenza in agenzia non ha il significato di un ritorno al fotogiornalismo d’attualità, ma di una collocazione nella tradizione “on the road” che da Evans a Frank a Shore ha unito sguardo d’autore e pratica peregrinante. L’agenzia dà infrastruttura, reti, opportunità espositive e editoriali, senza snaturare la sua autonomia progettuale.
Sul piano espositivo, il 2008 registra la grande personale al Jeu de Paume di Parigi (“L’espace entre nous”), un titolo che, definendo la fotografia come spazio tra fotografo e soggetto, riassume un’etica del ritratto opposta al prelievo. In mostra compaiono i cicli principali del primo decennio — Sleeping by the Mississippi, Niagara, Dog Days, Bogotá — in un allestimento che tiene insieme viaggio e intimità. Due anni più tardi, il Walker Art Center di Minneapolis organizza “From Here to There: Alec Soth’s America” (2010–2011), una survey che ordina quindici anni di lavoro, valorizzando la dimensione editoriale mediante un catalogo espanso, con saggi critici e un artist’s book inserito come sezione autonoma. L’istituzione di casa, nel Midwest che nutre la sua visione, sancisce così il rapporto tra territorio e riconoscimento istituzionale.
Nel 2015, mentre Media Space (Science Museum) a Londra dedica a Soth una grande personale, si impone anche il momento editoriale di Songbook, progetto che nasce dalla collaborazione con il giornalista Brad Zellar e dall’esperienza di The LBM Dispatch, una sorta di giornale ambulante. Qui l’autore mette in tensione la grammatica del reportage con una struttura lirica e atemporale, rimuovendo didascalie e contesto per ottenere immagini “orfane” di informazione ma colme di forma. Questa operazione, nella sua apparente semplicità, interroga la memoria visiva americana del secondo Novecento e fa dialogare la storia dei magazine con la storia del photobook.
Gli anni successivi registrano un’ulteriore maturazione. I Know How Furiously Your Heart Is Beating (2019) segna una ritrazione: meno strada, più interni, ritratti di artisti, scrittori, coreografi, talvolta con luce ambiente governata e micromodulazioni di flash o rimbalzi che non tradiscono l’atmosfera. La critica rileva come questo cambio di scala enfatizzi il silenziamento del mondo esterno per concentrarsi sul respiro dei soggetti. Quasi in controcanto, A Pound of Pictures (2022) riapre la dimensione nomade con una riflessione metalinguistica sul fotografare e collezionare fotografie: l’artista acquista stampe anonime ai mercatini, le mette in relazione con i propri scatti, e chiede al lettore di misurare il valore d’uso dell’immagine rispetto alla sua merceologia.
Il 2024 e il 2025 danno a Soth una nuova traiettoria istituzionale internazionale con la mostra “A Room of Rooms” al Tokyo Photographic Art Museum (ottobre 2024 – gennaio 2025), un progetto curatoriale che rilegge la sua opera attraverso il tema degli interni, dalle prime camere di Sleeping by the Mississippi fino al recentissimo Advice for Young Artists. Nel frattempo, Fraenkel Gallery (San Francisco) presenta “Advice for Young Artists” come esposizione autonoma (primavera 2025), mettendo in risalto il gioco e la sperimentazione come antidoto alla neutralizzazione dell’esperienza fotografica dovuta all’eccesso di mestiere.
Sul fronte dei riconoscimenti, oltre al Santa Fe Prize for Photography (2003) e alla prestigiosa Guggenheim Fellowship (2013), Soth riceve nel 2021 la Honorary Fellowship della Royal Photographic Society, premio che lo colloca in una linea storica di autori cui si riconosce un contributo “eccezionale e innovativo” alla fotografia. L’ingresso in collezioni permanenti — SFMOMA, MFA Houston, Walker Art Center, MoMA — testimonia la durabilità museale delle sue stampe, mentre la distribuzione editoriale dei libri attraverso editori come Steidl e MACK assicura una circolazione internazionale stabile e controllata.
Le committenze editoriali per testate come The New York Times Magazine convivono con un’agenda autoriale che resta prioritaria. In questo equilibrio, l’autore non cede a una retorica dell’urgenza informativa; preferisce trattare i tempi lunghi del desiderio, della marginalità, della costruzione di identità. È una politica dell’attenzione che, pur non esplicitandosi in forma militante, produce conoscenza sociale. Nel registrare motel, salotti, cucine, margini di città, Soth allinea micro-topografie che, sommate, definiscono un atlante sentimentale dell’America degli ultimi vent’anni.
La rappresentanza in gallerie come Fraenkel Gallery (San Francisco), Weinstein Hammons (Minneapolis), Sean Kelly (New York) e Loock Galerie (Berlino) consente una diffusione controllata delle edizioni e dei formati di stampa, con tirature definite e provenienze tracciabili; un aspetto non secondario nella storicizzazione di un autore contemporaneo la cui opera circola tanto nei mercati quanto nei musei.
Opere principali
Sleeping by the Mississippi è più di un esordio folgorante; è un modello operativo. Il libro alterna ritratti frontali e ambienti con una sapienza che richiama la struttura poematica: ogni immagine è una stanza del poema. Tecnicamente, l’uso del grande formato permette di conciliare nitidezza diffusa e micro‑variazioni tonali, mentre la temperatura cromatica tenue — legata a una gestione della luce naturale che privilegia i margini della giornata — produce quell’aria sospesa che molti associano al Midwest. Non c’è compiacimento del colore: l’attenzione è per la pelle (ritratti), le superfici (pareti, lenzuola, moquette), le acque (il fiume), come se la materia del mondo dovesse farsi lingua. La risonanza istituzionale del progetto, dalle Biennali alle collezioni, dipende anche dalla sua capacità di fondare una mitologia alternativa: un’America quieta e inquieta insieme.
Con Niagara, la struttura si fa tematica. L’iconografia turistica delle cascate viene piegata verso una riflessione su amore, promessa, consumo. La tecnica di Soth si mostra qui nel controllo del contrasto e nella cura per texture e oggettistica: tende, copriletti, neon, asciugamani piegati a cigno — dettagli che, isolati, diventano metafore. Importante il dispositivo documentario delle lettere d’amore: non mero corredo, ma documento‑immagine che entra nella sequenza come capitolo intermedio, allargando il campo semantico e imponendo un patto di realtà. Sul piano formale, le stampe di galleria, spesso in cromogenico su carta RA‑4, restituiscono campiture pulite e una nitidezza che, nella visione ravvicinata, moltiplica gli indizi.
Broken Manual è un’etnografia del ritiro. Il soggetto — uomini che scompaiono dalla società — richiede un’etica della non invasione e l’accettazione del frammento. Qui la tecnica si fa acustica: molti scatti sembrano attenuare il rumore, come se l’inquadratura assorbisse il suono. La profondità di campo si restringe talvolta per isolare una traccia: un attrezzo, una pagina, una parete. Il ritmo del libro alterna aperture paesaggistiche a interni claustrofili, quasi a evocare il respiro corto di chi si nasconde. Il design editoriale accentua questa respira‑zione alternata, e la stampa conserva un registro cromatico naturalista che evita di romanticizzare la fuga.
In Songbook, il passaggio al bianco e nero cambia l’attenzione: adesso la gestualità collettiva, la coreografia sociale, il ballo e la riunione sono al centro. Il rifiuto delle didascalie e l’assenza di contesto riportano l’immagine alla sua retorica interna: composizione, ritmo, disegno della luce. Le ottiche più moderate, la grana che affiora in alcune situazioni, il flash dosato nelle sale poco illuminate, costruiscono un tempo storico non situabile con precisione: sembra anni Sessanta e invece è contemporaneo. La polisemia delle immagini fa di Songbook un trattato implicito su comunità e solitudine in un’epoca di iperconnessione.
I Know How Furiously Your Heart Is Beating riporta l’asse sul ritratto in interni. L’impianto è scansione calma: poche figure, ambienti vissuti, luce che accarezza senza teatralizzare. La tecnica qui è al servizio di una circolazione lenta dello sguardo: l’inquadratura spesso include oggetti e tracce (libri, quadri, tendaggi) che funzionano da satelliti semantici attorno al volto. La messa a fuoco è posata, e l’eventuale illuminazione ausiliaria è calibrata per non “staccare” il soggetto dal contesto luminoso; la pelle resta materica, il colore trattenuto. Il titolo, citazione da Wallace Stevens, sancisce la letterarietà del progetto.
Con A Pound of Pictures l’opera diventa saggio visivo sulla fotografia stessa. L’acquisto di stampe anonime “a peso” innesca un gioco di specchi: la foto come merce e la foto come memoria; il viaggio come raccolta e montaggio di tracce. La stampa pigmentata su carte cotone per le edizioni di galleria sottolinea la matericità dell’immagine contemporanea, in contrasto con le carte lucide delle fotografie d’epoca. Il libro gioca su accoppiate che mettono in relazione l’immagine “trovata” e quella “prodotta”, invitando chi guarda a misurare somiglianze strutturali (posti vuoti, facciate, posture) e a interrogare il valore della fotografia fuori e dentro il mercato.
Infine, Advice for Young Artists compie un gesto di disarmo: Soth entra nei campus, fotografa aule, oggetti didattici, studenti, si autoritrae con auto‑ironia, e fa del processo la materia del libro. La tecnica qui abbandona qualsiasi virtuosismo ostentato e abbraccia una leggerezza deliberata: colori brillanti, still life costruiti con props di atelier, inquadrature che sembrano prove, sottolineature del caso e del gioco come ingredienti della ricerca artistica. È un manuale rovesciato: niente ricette, ma la restituzione del motore emotivo che avvia i progetti, cioè curiosità e attenzione.
L’intera produzione di Soth mostra variazioni sul tema della relazione tra individuo e luogo. Che si tratti di fiumi, cascate, camere di motel, stanze d’artista o corridoi universitari, il teatro dell’immagine è sempre un luogo abitato da storie minime. Da un punto di vista strettamente tecnico‑storico, il suo lavoro contribuisce a consolidare tre convinzioni oggi dominanti nella storia del medium: la centralità del libro come forma dell’opera; la validità della lentezza operativa (grande formato) come strumento di etica della relazione; la possibilità di coniugare documento e poesia senza cadere nel pittoricismo. In questo senso, Alex/Alec Soth è uno dei capitoli imprescindibili per chi studia la fotografia statunitense post‑1990.
Fonti
- Alec Soth – About (sito ufficiale)
- Magnum Photos – Profilo di Alec Soth
- Wikipedia – Alec Soth
- Walker Art Center – “From Here to There: Alec Soth’s America” (press)
- Jeu de Paume – “L’espace entre nous” (scheda mostra)
- Tokyo Photographic Art Museum – “A Room of Rooms”
- Fraenkel Gallery – Pagina artista e mostra “Advice for Young Artists”
- SFMOMA – Artista e opere in collezione
- Museum of Fine Arts, Houston – Collezioni (sezione fotografia)
- Weinstein Hammons – “A Pound of Pictures”
Mi chiamo Marco Americi, ho circa 45 anni e da sempre coltivo una profonda passione per la fotografia, intesa non solo come mezzo espressivo ma anche come testimonianza storica e culturale. Nel corso degli anni ho studiato e collezionato fotocamere, riviste, stampe e documenti, sviluppando un forte interesse per tutto ciò che riguarda l’evoluzione tecnica e stilistica della fotografia. Amo scavare nel passato per riportare alla luce autori, correnti e apparecchiature spesso dimenticate, convinto che ogni dettaglio, anche il più piccolo, contribuisca a comporre il grande mosaico della storia dell’immagine. Su storiadellafotografia.com condivido ricerche, approfondimenti e riflessioni, con l’obiettivo di trasmettere il valore documentale e umano della fotografia a un pubblico curioso e appassionato, come me.


