La G.P.M. – acronimo di Giuseppe Pozzoli Milano – fu fondata a Milano nel 1945 da Giuseppe Pozzoli, tecnico meccanico con una consolidata esperienza nel settore dell’ottica strumentale e della meccanica di precisione. L’azienda nacque nei primi mesi successivi alla fine del secondo conflitto mondiale, in un’Italia ancora provata dalle distruzioni ma caratterizzata da una straordinaria vitalità imprenditoriale, specialmente nel campo delle microimprese ad alta competenza tecnica.
La zona milanese, già sede di imprese storiche nel campo dell’ottica come Filotecnica Salmoiraghi, offriva un humus produttivo ideale per iniziative autonome come quella di Pozzoli. L’ambiente industriale era ricco di tornerie, galvaniche, laboratori di molatura e fornitori di metalli, tutti elementi fondamentali per la realizzazione di apparecchi fotografici. G.P.M. si inserì in questo contesto, ritagliandosi uno spazio tecnico specifico nella produzione di macchine fotografiche compatte, otturatori e piccoli sistemi ottici per l’uso civile e documentario.
Fin dall’inizio, Pozzoli orientò l’azienda verso una filosofia di precisione meccanica ed essenzialità funzionale. La ditta non ambiva a produrre in grande scala, ma piuttosto a offrire strumenti fotografici resistenti, affidabili, economicamente accessibili e pensati per un uso pratico. L’impostazione tecnico-artigianale, che caratterizzava molte imprese italiane del dopoguerra, veniva in G.P.M. supportata da una particolare attenzione alla standardizzazione delle componenti, cosa non scontata nel panorama italiano dell’epoca.
Le fotocamere G.P.M.: costruzione, formato e caratteristiche ottiche
Il primo modello a portare il marchio G.P.M. fu una fotocamera compatta per pellicola 120, formato 6×6 cm, battezzata con il semplice nome di Pozzoli o più genericamente identificata dalla sigla dell’azienda. Si trattava di una fotocamera rigida a messa a fuoco fissa, costruita su corpo metallico pressofuso, con finiture in vernice martellata grigia o nera e inserti in similpelle. La scelta di una struttura monoblocco, senza parti pieghevoli né estensioni mobili, rispondeva a precise esigenze di resistenza meccanica e stabilità dell’allineamento ottico.
Il cuore del sistema era costituito da un gruppo ottico semplice, solitamente un menisco acromatico da f/8 o f/11, con lunghezza focale di circa 80 mm, montato in posizione fissa. La lente era protetta da una montatura filettata, inserita in una piastra frontale che fungeva anche da supporto per l’otturatore rotativo. Quest’ultimo era un meccanismo a scatto centrale, con tempi selezionabili di 1/25, 1/50, 1/100 secondi, più la posa B. Il comando di scatto era a leva, con ritorno a molla. Non era presente alcun sistema di autoscatto né il contatto per flash, almeno nelle prime serie.
Il mirino era di tipo ottico a finestra singola, del tutto privo di correzione parallax, ma sufficientemente ampio da garantire una composizione approssimativa efficace. La pellicola era caricata posteriormente, tramite sportello incernierato con serratura a chiavistello, e l’avanzamento avveniva manualmente per mezzo di una manopola zigrinata superiore, con visualizzazione del fotogramma attraverso la classica finestrella rossa. Il contatore di scatti non era presente, né vi era meccanismo di blocco per il doppio scatto.
Nonostante l’apparente semplicità, l’intera costruzione era robusta e accuratamente lavorata. Pozzoli faceva realizzare internamente i componenti metallici principali, mentre le lenti erano fornite da piccoli molatori ottici milanesi, spesso senza marchiatura. Alcune fonti indicano che una parte delle lenti utilizzate fosse derivata da ottiche surplus di precisione bellica, adattate ad uso fotografico grazie a minime modifiche di allineamento e messa a fuoco.
Distribuzione, varianti e applicazioni sul campo (1950–1955)
Le fotocamere G.P.M. furono distribuite principalmente in Lombardia, Piemonte e Triveneto, attraverso una rete di rivenditori di materiale fotografico e ottico, oltre che tramite vendite dirette ai laboratori e ai fotografi ambulanti. I prezzi di listino erano contenuti: una G.P.M. completa di custodia in pelle e manuale si posizionava attorno alle 2.800 lire, collocandosi nella fascia economica ma qualificata del mercato. L’azienda pubblicizzava il proprio prodotto come una “macchina per tutti”, sottolineando la facilità d’uso, l’affidabilità e la robustezza meccanica.
Con il passare degli anni, furono introdotte varianti del modello base, alcune dotate di diaframma variabile (f/8, f/11, f/16) e altre con mirino reflex a pozzetto, chiaramente ispirato ai modelli Rolleicord. Tali modifiche, però, non alterarono la sostanza tecnica del progetto originale, basato su una costruzione semplice e manutenzione minima.
La G.P.M. trovò impiego non solo presso dilettanti ma anche in ambiti documentari e tecnico-commerciali, come la fotografia edilizia, la rilevazione di impianti industriali e la riproduzione di planimetrie o vetrinati. La compatibilità del formato 6×6 con le carte per stampa a contatto e con gli ingranditori da banco rese questi apparecchi adatti anche a piccoli studi professionali.
Una delle caratteristiche più apprezzate della G.P.M. era la regolarità espositiva dell’otturatore, che – pur semplice – garantiva una buona ripetibilità dei tempi anche dopo anni di uso. La costruzione chiusa del gruppo ottico-otturatore riduceva al minimo l’ingresso di polvere o umidità, aumentando la durata complessiva dell’apparato.
Verso la metà degli anni ’50, l’avvento delle fotocamere giapponesi di fascia media (come Yashica, Petri, e successivamente Minolta) rese sempre più difficile per aziende come G.P.M. mantenere una posizione competitiva. L’assenza di innovazioni rilevanti – come l’adozione di mirini più sofisticati, il sistema di messa a fuoco elicoidale, o l’innesto flash – rese la produzione G.P.M. tecnicamente obsoleta.
La produzione cessò intorno al 1956, probabilmente senza un atto formale di scioglimento aziendale. Non si hanno notizie di brevetti registrati da Giuseppe Pozzoli né di tentativi di conversione industriale dell’impresa verso altri settori. È verosimile che l’attività sia rientrata nell’ambito artigianale, con fornitura di servizi tecnici o riparazioni fino all’esaurimento delle scorte.
Oggi le fotocamere G.P.M. sono piuttosto rare e ricercate da collezionisti specializzati in apparecchi italiani del dopoguerra. La loro estetica semplice ma solida, unita alla buona qualità ottica per l’epoca, le rende interessanti non solo come oggetto di collezione ma anche per l’uso attivo da parte di appassionati di fotografia analogica vintage. Alcuni esemplari, ancora funzionanti, sono utilizzati per progetti artistici in pellicola o per la didattica in laboratori scolastici e workshop fotografici.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
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