La W.u.P. Fertsch è stata una piccola ma significativa azienda manifatturiera attiva in Germania nel campo della meccanica di precisione applicata alla fotografia, soprattutto tra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento. L’acronimo “W.u.P.” stava per Werkzeug- und Präzisionsmechanik, ovvero “meccanica degli utensili e di precisione”, mentre Fertsch era il cognome del fondatore, Wilhelm Fertsch, tecnico specializzato nato nel 1898 a Stoccarda e formatosi presso le officine Carl Zeiss a Jena, dove aveva appreso le tecniche di lavorazione ottica e di finitura meccanica a tolleranze estremamente strette. Il suo laboratorio indipendente vide la luce intorno al 1934, in un contesto industriale tedesco fortemente competitivo ma anche in espansione, dove la domanda di accessori per fotocamere, componenti ottici e meccanismi di scatto cresceva parallelamente all’aumento della produzione fotografica professionale e amatoriale.
Il contributo più rilevante della W.u.P. Fertsch fu proprio nel settore degli accessori tecnici di precisione. L’azienda si distinse per la produzione di otturatori meccanici, slitte micrometriche, supporti per banco ottico, tubi di prolunga, soffietti macro, adattatori filettati e ghiere di regolazione fine, tutti rigorosamente lavorati in metallo, con una qualità costruttiva paragonabile agli standard di Leitz o Voigtländer. Ciò che contraddistingueva i prodotti Fertsch era la lavorazione artigianale di ogni componente, spesso realizzato in serie limitate, mediante tornitura di precisione e trattamento galvanico superficiale, con finiture in ottone cromato, acciaio brunito o alluminio anodizzato. Tali articoli erano molto richiesti da studi fotografici, ricercatori scientifici, istituti tecnici e fotografi naturalisti, che necessitavano di componenti meccanici affidabili, stabili e senza gioco meccanico per l’uso in ambienti professionali e sperimentali.
L’azienda non si dedicava alla produzione di corpi macchina completi, ma forniva invece elementi complementari a produttori più grandi o ai tecnici indipendenti. Uno dei settori di maggior successo fu quello dei soffietti regolabili per fotografia macro e riproduzione, dotati di cremagliere e viti senza fine per la regolazione millimetrica della messa a fuoco. Questi soffietti venivano spesso montati su banchi ottici modulari in profilato metallico, ideali per la fotografia scientifica o documentaria. Particolare attenzione veniva riservata alla compatibilità meccanica con baionette e filettature di sistemi diffusi, come M39 (Leica), M42 (Pentax/Praktica), e successivamente anche T2. La versatilità degli accessori Fertsch consentiva infatti l’utilizzo incrociato con ottiche di diverse provenienze, rendendoli strumenti indispensabili per chi desiderava espandere le capacità operative del proprio corredo fotografico.
Tra i prodotti più longevi e apprezzati c’erano le slitte macro a doppio asse, dotate di controlli separati per movimento anteroposteriore e laterale, con scala incisa a laser e blocco di sicurezza. Le guide scorrevano su binari in acciaio rettificato, con un sistema di bloccaggio a frizione regolabile, progettato per minimizzare ogni possibile vibrazione durante l’uso con tempi di posa lunghi. La reputazione di Fertsch per questi dispositivi era tale che molti fotografi di architettura o documentaristi naturalisti li consideravano lo standard di riferimento fino agli anni Settanta, quando sul mercato iniziarono ad affermarsi prodotti giapponesi analoghi a costi più contenuti ma con una qualità percepita inferiore.
Durante la Seconda guerra mondiale, l’azienda fu parzialmente convertita alla produzione di componentistica meccanica di precisione per usi militari, in particolare per mirini ottici e regolatori meccanici di angolo per la fotografia aerea e i sistemi di puntamento. I registri d’archivio indicano forniture occasionali per aziende come Zeiss-Ikon e Hensoldt, ma le commesse furono limitate e mai sistematiche, dato che la Fertsch restò sempre una realtà di dimensioni contenute. Dopo il conflitto, Wilhelm Fertsch ricostruì la propria officina, che aveva subito danni durante i bombardamenti del 1944, e riprese la produzione di accessori fotografici, rispondendo alla crescente domanda del dopoguerra, quando la fotografia si trasformava in strumento di ricostruzione culturale e memoria storica.
Negli anni Cinquanta l’azienda raggiunse il suo picco produttivo, con una forza lavoro che oscillava tra le 12 e le 18 unità, tutti tecnici specializzati o artigiani della meccanica di precisione. L’approccio rimaneva quello di un laboratorio di qualità, più che di una fabbrica seriale. Nonostante ciò, la rete di distribuzione si era ormai estesa anche all’estero, con esportazioni verso Francia, Paesi Bassi, Italia e Svizzera, soprattutto attraverso piccoli importatori di articoli tecnici e negozi specializzati in fotografia scientifica. Alcuni cataloghi dell’epoca, stampati in tedesco e francese, testimoniavano un’offerta ampia e modulare, con soluzioni su misura per esigenze fotografiche particolari, come la microfotografia, la fotografia ai raggi ultravioletti, la documentazione archeologica o industriale.
Un altro elemento distintivo dell’offerta Fertsch fu l’attenzione alle personalizzazioni. L’azienda accettava spesso ordini speciali, con filettature su misura, adattatori per lenti specifiche, guide telescopiche modificate, e basette compatibili con stativi da laboratorio o microscopi. Questa flessibilità era possibile grazie alla natura semi-artigianale della produzione e al controllo diretto che Wilhelm Fertsch continuò a esercitare sulla progettazione, tolleranze, approvvigionamento dei metalli e controllo qualità. Il know-how interno dell’azienda includeva anche l’elettrolucidatura, la fresatura manuale e la rettifica piana, strumenti essenziali per garantire l’uniformità geometrica degli elementi mobili, cruciali nella fotografia a distanza ravvicinata.
Tuttavia, a partire dalla metà degli anni Sessanta, l’avvento della produzione industriale giapponese nel settore fotografico modificò radicalmente il panorama. Aziende come Canon, Nikon, Minolta e Asahi Pentax iniziarono a proporre accessori fotografici macro, soffietti, slitte e tubi di prolunga prodotti in grandi quantità, con una qualità accettabile e prezzi decisamente più competitivi. La Fertsch, incapace di reggere sul piano economico la concorrenza asiatica, si ritrovò progressivamente emarginata dal mercato internazionale. Il fondatore si ritirò nel 1969, lasciando l’azienda nelle mani del figlio, Günther Fertsch, che tentò un rilancio puntando su prodotti per la microscopia e la fotografia industriale, ma con scarsi risultati commerciali.
L’attività cessò definitivamente nel 1973. I macchinari furono venduti a una piccola ditta meccanica di Bietigheim, mentre parte dell’inventario residuo venne dispersa in aste o vendite da magazzino. Oggi i prodotti Fertsch sono oggetti da collezione, ricercati per la qualità costruttiva e la rarità. Alcuni soffietti e guide micrometriche recano ancora il marchio inciso “W.u.P. Fertsch Stuttgart” con caratteri gotici, una firma discreta ma eloquente della loro origine. La documentazione tecnica originale è scarsamente reperibile, ma alcuni cataloghi sono conservati in archivi privati e istituzioni dedicate alla storia della fotografia tecnica in Germania e Austria.
L’importanza della W.u.P. Fertsch va letta in una chiave di continuità tra la tradizione artigianale della meccanica di precisione tedesca e l’applicazione concreta di tale tradizione in ambito fotografico. Nonostante l’azienda non abbia mai avuto la notorietà di produttori come Linhof o Plaubel, il suo contributo si inserisce perfettamente nella narrazione più ampia della fotografia tecnica del XX secolo, rappresentando un nodo importante in quella rete di officine, laboratori e inventori che hanno reso possibile la fotografia scientifica e documentaria prima della digitalizzazione.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
Con una solida formazione accademica in storia dell’arte, ho sviluppato una profonda comprensione delle intersezioni tra fotografia, cultura e società. Credo fermamente che la fotografia non sia solo una forma d’arte, ma anche un potente strumento di comunicazione e un prezioso archivio della nostra memoria collettiva.
La mia esperienza si estende oltre la scrittura; curo mostre fotografiche e pubblico articoli su riviste specializzate. Ho un occhio attento ai dettagli e cerco sempre di contestualizzare le opere fotografiche all’interno delle correnti storiche e sociali.
Attraverso il mio sito, offro una panoramica completa delle tappe fondamentali della fotografia, dai primi esperimenti ottocenteschi alle tecnologie digitali contemporanee. La mia missione è educare e ispirare, sottolineando l’importanza della fotografia come linguaggio universale.
Sono anche una sostenitrice della conservazione della memoria visiva. Ritengo che le immagini abbiano il potere di raccontare storie e preservare momenti significativi. Con un approccio critico e riflessivo, invito i miei lettori a considerare il valore estetico e l’impatto culturale delle fotografie.
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