La nascita della VEB Feingerätewerk Weimar avviene il 1° luglio 1950 nella città di Weimar, nel cuore della neonata Repubblica Democratica Tedesca. L’acronimo VEB sta per Volkseigener Betrieb, letteralmente “impresa di proprietà del popolo”, e sottolinea come ogni struttura produttiva fosse concepita non come iniziativa privata, ma come presidio industriale al servizio dello Stato socialista. I primi passi dell’azienda furono umili ma cruciali: nel 1951 cominciarono le lavorazioni con un organico di appena 25 addetti, concentrati sulla realizzazione di comuni orologi a sveglia. Anche in quella fase embrionale, la capacità di lavorazione di componenti meccanici di precisione era evidente, grazie all’esperienza artigiana tramandata dalle officine tedesche.
Il legame tra precisione meccanica e tecnologia ottica fu sancito già nel 1953, quando la VEB Feingerätewerk Weimar venne associata come business unit alla VEB Carl Zeiss Jena, la porzione della storica casa Zeiss rimasta sotto il controllo della Germania Est. Ciò non significò fusione totale, bensì condivisione di know-how e di infrastrutture produttive, pur mantenendo l’azienda una sua autonomia operativa. In quegli anni l’attenzione si spostò verso la cinematografia e la fotografia, settori strategici per la propaganda e la cultura di massa del blocco orientale. I tecnici di Weimar iniziarono a progettare e assemblare macchine per la visione di film in 8 mm, come il proiettore “Weimar” e il prototipo TK 35, mentre sul versante fotografico prendeva forma il Weimarlux, un esposimetro al selenio destinato a diventare simbolo dell’affidabilità tecnica dell’azienda.
Il rapido incremento del personale — che raggiunse le 350 unità entro il 1953 — e l’ampliamento delle linee di produzione portarono, già nel 1956, a toccare quasi 1.000 addetti. Quell’espansione fu accompagnata da investimenti in macchinari per la lavorazione di metalli leggeri e per la finitura di superfici ottiche, oltre all’adozione di officine orologiere interne capaci di rispettare tolleranze inferiori al centesimo di millimetro. La decisione governativa di separare nuovamente la VEB Feingerätewerk Weimar dalla Zeiss nel 1956 permise all’azienda di riprendere la propria identità, ma le relazioni tecniche con Jena restarono forti: molti schemi ottici e meccanismi di precisione continuarono a essere sviluppati congiuntamente, in un dialogo fra esperienze che rafforzò il prestigio della casa weimariana nel panorama delle industrie ottico-meccaniche della DDR.
L’evoluzione dei prodotti fotografici e cinematografici negli anni Cinquanta
La dedizione della VEB Feingerätewerk Weimar alla fotografia e alla cinematografia si concretizzò fin dai primi anni Cinquanta con una gamma di strumenti progettati per rispondere alle esigenze sia del mercato consumer sia di quello professionale. Il Weimarlux, basato su un sensore al selenio, era un esposimetro portatile caratterizzato da un piccolo fotoconduttore che variava la sua resistenza luminosa in funzione dell’illuminazione incidente. I tecnici weimariani svilupparono un meccanismo di lettura molto compatto: la variazione di resistenza veniva convertita in spostamento di un ago su una scala calibrata antiriflesso, consentendo al fotografo di valutare rapidamente i valori di apertura e tempo di posa.
Conservando il legame con la tradizione orologiera, l’azienda introdusse il Werralux, un altro esposimetro al selenio che riprendeva il prefisso “Werra” dalla nota fotocamera Zeiss. Il Werralux si distingueva per un corpo in lega leggera rivestita di smalto verde, resistente alla corrosione, e per un quadrante retroilluminato, utile nelle riprese a bassa luce. Progettisti e ingegneri affinarono la meccanica interna, rendendo il dispositivo robusto agli urti e con un’accuratezza di lettura entro ±½ passo di diaframma.
Parallelamente, il reparto cinematografico progettò il proiettore Weimar 8 mm, un apparecchio dalle dimensioni contenute, con un sistema di avanzamento pellicola a doppio flangiatore e una lampada allo iodio a intensa emissione luminosa. La lente era un piccolo obiettivo anastigmatico che garantiva una messa a fuoco uniforme su tutta l’area immagini, mentre il circuito di ventilazione impediva il surriscaldamento della pellicola durante la proiezione. Il telaio, realizzato in acciaio stampato, era assemblato con giunti a innesto rapido, consentendo una manutenzione agevole delle parti mobili.
Nello stesso periodo nacquero anche i primi autoscatti Weimar, dispositivi applicabili su qualunque fotocamera tramite un attacco a baionetta o tramite il pulsante del cavetto flessibile. Lo scatto remoto funzionava grazie a una molla a spirale calibrata, che veniva armata manualmente e rilasciata al momento desiderato, garantendo tempi di ritardo variabili da 3 a 10 secondi. Il corpo dell’autoscatto era realizzato in alluminio anodizzato, munito di un indicatore di carica della molla e di un blocco di sicurezza per evitare rilasci accidentali.
L’anno 1958 segnò un cambio di rotta deciso: una direttiva governativa assegnò alla VEB Feingerätewerk Weimar due linee di produzione principali. La prima riguardava la costruzione di casse per orologeria, per rifornire i produttori di orologi della DDR; la seconda prevedeva l’intero ciclo di sviluppo, assemblaggio e controllo qualità di esposimetri e accessori per fotografia e cinematografia. Questo doppio binario produttivo enfatizzò la specializzazione meccanica dell’azienda, che poté così sfruttare macchine per la tornitura di alta precisione e reparti di molatura ottica per realizzare elementi fotosensibili e involucri metallici con tolleranze micrometriche.
Innovazioni tecniche negli anni Sessanta: l’era del CdS e dei sistemi automatici
La seconda metà degli anni Sessanta coincise per la VEB Feingerätewerk Weimar con l’adozione di nuove tecnologie fotosensibili che rivoluzionarono gli esposimetri. Il passaggio dal selenio al solfuro di cadmio (CdS) permise di ottenere una sensibilità alla luce nettamente superiore e una curva di risposta più lineare. Il modello CdS Weimarlux, lanciato sul mercato intorno al 1965, integrava una cellula CdS in una struttura compatta, dotata di un circuito amplificatore a transistor e di un indicatore a lancetta con fondo bianco opaco. Gli ingegneri migliorarono il circuito di polarizzazione del sensore, riducendo il rumore elettrico e aumentando l’affidabilità in condizioni di freddo estremo, aspetto fondamentale per le riprese invernali all’aperto.
La VEB Feingerätewerk Weimar ampliò la propria gamma con un sistema modulare di lettura esposimetrica, costituito da vari circuiti logici e unità di visualizzazione intercambiabili. Un innovativo connettore DIN consentiva di collegare l’esposimetro a un corpo macchina dotato di motore elettrico, ottenendo così un primo rudimentale sistema di esposizione automatica. Sebbene l’industria giapponese fosse già in fase avanzata nello sviluppo di fotocamere con automazione integrata, la DDR puntava su soluzioni modulari e sulla riparabilità in officina, fattore chiave in un’economia pianificata.
I reparti di ricerca della VEB misero a punto anche varianti del CdS Weimarlux con filtri a densità neutra intercambiabili, in grado di gestire esposizioni in condizioni di luce alta – fino a 20 000 lux – con precisione entro ±⅓ di diaframma. L’unità di controllo interno era progettata per isolare termicamente il sensore, evitando deriva della lettura in presenza di variazioni rapide di temperatura, mentre la calibrazione poteva essere eseguita tramite un piccolo trimmer interno, accessibile rimuovendo il coperchio posteriore.
In campo cinematografico, parallelamente all’evoluzione degli esposimetri, furono migliorati i proiettori 8 mm con motori asincroni a velocità variabile e con sistemi di tensionamento pellicola a frizione controllata, in grado di stabilizzare il flusso a 16 fps o 24 fps a seconda delle esigenze. Le lenti erano sottoposte a un trattamento antiriflesso in più fasi, applicato direttamente in camera a vuoto, per ridurre i riflessi interni e migliorare il contrasto dell’immagine sullo schermo. Anche i meccanismi di avanzamento furono riprogettati, passando da semplici ruote dentate a coppie coniche e cinghie in gomma vulcanizzata, aumentandone la silenziosità e la durata.
L’ultimo decennio della VEB Feingerätewerk Weimar prima della caduta del Muro vide un declino graduale della produzione interna, dovuto a limitazioni di materie prime e alla crescente pressione tecnologica dei produttori occidentali. Il 1° gennaio 1960 l’azienda fu accorpata alla VVB Mechanik, un’unione di imprese meccaniche della DDR, e le furono assegnati commesse per la realizzazione di componenti meccanici di alta precisione rivolti all’industria orologiera mondiale. Questa riorganizzazione spinse il management a razionalizzare i processi, adottando linee di montaggio a flusso continuo e centri di lavoro per pezzi unici, anticipando metodologie che sarebbero poi diventate standard dopo la riunificazione tedesca.
La produzione di esposimetri e di accessori fotografici continuò fino alla privatizzazione delle fabbriche, avvenuta nel 1990 in seguito alla caduta del regime comunista. Molti ex tecnici weimariani vennero riassunti dalle nuove società nate dalla vendita degli stabilimenti, mentre il marchio stesso fu acquisito da vari operatori privati interessati al patrimonio di conoscenze meccaniche. Le unità di misura originali, soprattutto i modelli CdS Weimarlux, sono oggi ricercate dai collezionisti per la loro robustezza costruttiva e per la precisione delle scale di lettura.
Un lascito significativo della VEB Feingerätewerk Weimar è rappresentato dall’approccio alla modularità e alla riparabilità dei propri strumenti. Molti dei principi di progettazione, come l’uso di viti metriche indipendenti, di innesti a baionetta standard e di circuiti elettronici facilmente smontabili, influenzarono successivamente piccole industrie di nicchia che produssero esposimetri digitali nei primi anni Duemila. Oggi, mentre il marchio non è più utilizzato in campo fotografico, i progetti originali e i manuali di officina sono studiati da appassionati e restauratori come punto di riferimento per la costruzione di strumenti analogici e per la conservazione del patrimonio tecnologico della DDR.
La storia della VEB Feingerätewerk Weimar dimostra come, anche in condizioni di economia pianificata e sotto rigido controllo statale, sia possibile sviluppare tecnologie meccaniche e ottiche di livello internazionale. Le sfide dovute alla scarsità di materiali e alla burocrazia non hanno impedito a un gruppo di progettisti, artigiani e tecnici di realizzare esposimetri e proiettori che, per affidabilità e precisione, possono ancora oggi competere con molti prodotti occidentali dell’epoca. Lo spirito innovativo e la cura estrema per il dettaglio rappresentano il vero patrimonio di questa fabbrica di stato, la cui eredità continua a parlarci di un’epoca in cui la precisione meccanica era al servizio dell’arte visiva.