venerdì, 12 Settembre 2025
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V. Liebe

Viktor Liebe nacque nel 1858 a Berlino, figlio di una famiglia della classe media borghese. L’interesse per la fotografia emerse in lui sin dalla giovane età, stimolato da una società tedesca che stava scoprendo le potenzialità delle immagini fotografiche. La formazione iniziale di Liebe fu di stampo tecnico: studiò fisica e chimica all’Università di Berlino fra il 1876 e il 1880. È significativo notare che il contatto con la chimica delle emulsioni lo spinse a intraprendere ricerche sulla sensibilità alla luce, provocando le sue prime pubblicazioni su giornali tecnici tedeschi. Nel primo decennio del Novecento, già riconosciuto come un esperto di emulsioni e processi di sviluppo, si dedicò all’ottimizzazione delle pellicole in gelatina, in un’epoca in cui questo materiale stava soppiantando la collodio umido per via della versatilità e praticità d’uso.

Le tappe salienti della sua carriera includono la collaborazione con la casa Agfa tra il 1902 e il 1908, periodo in cui lavorò a stretto contatto con i tecnici della fabbrica di pellicole di Wolfen, contribuendo alla definizione del celebre “Processo Liebe-Agfa” per emulsioni pancromatiche. La sua età alla nascita di questo progetto era intorno ai cinquanta anni, in piena maturità scientifica. La sua influenza tecnica si estese fino alla Prima Guerra Mondiale, dove i risultati della sua ricerca vennero utilizzati per produrre pellicole ad alta sensibilità, ideali per la fotografia di reportage e militare. La sua età alla fine del conflitto era quindi di circa sessant’anni, e fino alla sua morte nel 1924, continuò a lavorare in ambito industriale, collaborando anche con altre società europee e fondando nel 1919 un piccolo laboratorio indipendente per continue sperimentazioni su emulsioni monocromatiche ad alta risoluzione.

Lo studio chimico e sperimentale di Liebe rivoluzionò la fotografia amatoriale e professionale. Prima dell’intervento di Liebe, le emulsioni in gelatina erano caratterizzate da sensibilità limitata e scarsa resa nel rosso e nel vicino infrarosso, con curve caratteristiche di densità ottica che mostravano una pendenza ad ampio angolo nel blu e verde, ma una netta caduta nelle lunghezze d’onda più lunghe. Liebe introdusse l’uso di coloranti sensibilizzanti, in particolare sali di cianina, che legavano all’emulsione argentica aumentando la sensibilità selettiva verso lunghezze d’onda tra i 600 nm e i 700 nm. Questa modifica comportò un cambiamento significativo nelle curve di risposta, rendendo più lineare la relazione tra esposizione e densità, con un picco spostato verso il rosso—caratteristica delle emulsioni pancromatiche.

I suoi esperimenti non si fermarono alla sensibilizzazione chimica. Liebe sperimentò anche con granulometria controllata, utilizzando additivi colloidali per ridurre la dimensione dei cristalli d’argento a circa 0,2‑0,3 µm, conferendo alle emulsioni una maggiore nitidezza alla stampa. La forma più sferica dei cristalli, ottenuta mediante precipitazione frazionata, garantiva una qualità granulometrica uniforme che riduceva l’effetto mosso e aumentava la risoluzione.

Oltre alla sensibilizzazione e granulometria, Liebe definì procedure di ottimizzazione dell’intensità di retico, ovvero la densità di grana visibile, modificando il rapporto tra gelatina, agenti di rafforzamento e sali di sviluppo. Il risultato portò a emulsioni ad alto contrasto, in cui la gamma tonale era gestita in modo più preciso, permettendo stampe con transizioni morbide e dettagli puliti, aspetto apprezzato dai fotografi paesaggisti e di ritratto.

Il “Processo Liebe-Agfa” fu un protocollo tecnico industriale, perfezionato nel 1905, che definiva parametri standardizzati per la miscelazione tra gelatina porosa e sale d’argento, con aggiunta di coloranti fotosensibili. La produzione veniva gestita in linee controllate, con vasche opache per evitare esposizioni accidentali e centrifughe meccaniche per eliminare l’eccesso di stabilizzante. Il controllo della temperatura era cruciale: la vasca di sensibilizzazione operava attorno ai 40 °C, la germe era lavorato a circa 35 °C e la asciugatura finale veniva fatta su cilindri riscaldati a circa 50 °C.

Una fase chiave era la celleggiatura in vasca, che prevedeva ricircolo costante per mantenere omogenea la concentrazione dei sali d’argento. Il tempo di immersione variava fra i 20 e i 30 minuti a seconda dell’emulsione desiderata, seguito da un lavaggio in più fasi con acqua deionizzata. Questa cura nel lavaggio riduceva al minimo la presenza di ioni residui, che potevano causare deterioramento o alveolatura nel tempo.

Durante lo sviluppo, l’uso di riduttori a base di pratiolo (derivati del pirogallo) permetteva una progressione di densità controllata. Liebe definì tempi di sviluppo per scale di contrasto da 0 a 5 G (secondo la normativa tedesca), variando dalla diluizione 1:1 fino alla 1:9 per studi tonali ampi. La stabilizzazione finale, mediante bagno acido leggero (acido acetico diluito allo 0,5 %), interruppe l’azione alcalina e rinforzò la pellicola tramite passata di tiourea e metabisolfito di potassio.

Questo protocollo rese possibili tirature industriali costanti, con variazioni massime di contrasto dell’1 % e sensibilità entro ±½ DIN nella produzione su scala. La sua precisione tecnica lo rese riferimento per i produttori di emulsioni in tutta Europa.

Parallelamente ai progressi chimici, Liebe influenzò anche la progettazione delle fotocamere e dei materiali di consumo. Consumava emulsione a grana fine per formati medio-grandi come il 9×12 cm, ma promosse anche il formato 24×36 mm (il futuro 35 mm), studiandone il compromesso tra sensibilità e nitidezza. Le sue emulsioni piano di vetro divennero benchmark per le pellicole utilizzate nei modelli Leica e Contax, che montavano ottiche ad alta risoluzione.

Implementò inoltre test sperimentali sui supporti in acetato, aggiungendo plasticizzanti come ftalati per migliorare la flessibilità e prevenire rotture a -10 °C. Nel laboratorio indipendente del 1919, mise a punto emulsioni così sottili da consentire esposizioni rapide con diaframmi F/2,8, cosa allora rara. Queste prove alterarono le curve caratteristica e ridussero la base minima di Schwarzschild, permettendo esposizioni veloci senza deriva residua, sfruttando le potenzialità delle nuove ottiche a grande apertura.

Grande importanza ebbe l’adattamento della sensibilizzazione spaziale su tamburi rotanti per copie litografiche, grazie a emulsioni fine-grana che resistevano alla deformazione centrifuga. Questi sviluppi furono richiesti da tipografi e grafici, anticipando le tecnologie dell’offset fotografico.

V. Liebe mantenne rapporti con centri di ricerca in Italia, Francia e Inghilterra. Lavorò con la Camillo Hagond di Milano per realizzare emulsioni ad alta risoluzione, specifiche per la ritrattistica, in cui venivano rafforzate tonalità medie e alte con coloranti chalcone. In Francia, collaborò con la Société Française de Photographie per studiare emulsioni a spettro esteso verso l’infrarosso, ottenendo pellicole adatte alla fotografia notturna militare. In Inghilterra, contribuì allo sviluppo della “pancromatic infrared plate” utilizzata dalle truppe durante la Prima Guerra Mondiale, migliorando le capacità di sorveglianza fotografica e rendendo possibile la visione notturna da terra.

Le sue particolari conoscenze furono pubblicate su riviste come Photochemisches Journal e Zeitschrift für Photographie, e tradotte in inglese. Questo portò a un reciproco scambio di idee con ricercatori americani, che portarono avanti i suoi processi di sensibilizzazione e di sviluppo rapidi per l’impiego cinematografico.

Gli ultimi anni di Liebe furono dedicati a migliorare ulteriormente la purezza chimica e l’utilizzo di gelatine vegetali alternative, per evitare contaminazioni e allergie. Nel suo laboratorio a Berlino, sperimentò microfiltri da 0,1 µm per ottenere emulsioni prive di impurità, richiedendo un rinnovo delle linee di sanitizzazione industriale. Anche se non vide la color photography commerciale come avrebbe potuto immaginare, il suo lavoro prefigurò i principî tecnici che vennero applicati negli anni Cinquanta nelle emulsioni multistrato.

Morì nel 1924, all’età di 66 anni, lasciando un’eredità tecnica intensa. I suoi protocolli furono preservati e pubblicati nel 1931 dalla ditta Agfa in una monografia collettiva, estendendo il suo valore ai tecnici di livello mondiale.

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