La Tisdell and Whittelsey fu una delle molteplici aziende artigianali sorte negli Stati Uniti nel periodo cruciale dello sviluppo della fotografia a metà del XIX secolo. Attiva principalmente tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta dell’Ottocento, l’impresa ebbe sede a New York, città che, dopo Boston e Filadelfia, rappresentava uno dei poli più dinamici del mercato fotografico americano.
Fondata attorno al 1849 da William Tisdell e Alpheus Whittelsey, la ditta si dedicò alla produzione e vendita di apparecchiature per dagherrotipia, allora la tecnica dominante nell’ambito della ritrattistica commerciale e della documentazione urbana. Il contesto in cui Tisdell and Whittelsey mosse i suoi primi passi era caratterizzato da una rapidissima espansione del mercato fotografico. La domanda di strumenti affidabili e facilmente reperibili crebbe vertiginosamente, e molti artigiani con esperienza nella lavorazione del metallo, del legno e dell’ottica si riconvertirono alla fabbricazione di attrezzature fotografiche.
La partnership tra Tisdell e Whittelsey combinava competenze tecniche e commerciali. Tisdell proveniva da un’attività di produzione di strumenti ottici e scientifici, mentre Whittelsey era attivo nel commercio e nell’approvvigionamento di materiali fotografici. La loro unione consentì di proporre al mercato strumenti completi per l’attività dagherrotipica, non solo camere ma anche supporti, lastre, obiettivi e accessori tecnici.
La loro sede di produzione e vendita si trovava nella zona meridionale di Manhattan, non distante da altre imprese specializzate nel settore fotografico, come l’atelier di Edward Anthony e quello di Jeremiah Gurney. In questo distretto, la Tisdell and Whittelsey operava come punto di riferimento per molti dagherrotipisti professionisti e amatori, fornendo strumenti affidabili, compatibili con gli standard dell’epoca, e spesso personalizzabili su richiesta.
Il cuore dell’attività di Tisdell and Whittelsey fu la produzione di camere per dagherrotipi, in particolare apparecchi di formato 1/6, 1/4 e 1/2 plate, conformi agli standard commerciali della dagherrotipia americana. Le loro macchine erano costruite con particolare attenzione alla qualità dei materiali: i corpi erano realizzati in legno di ciliegio o mogano accuratamente verniciato, le parti metalliche erano in ottone lucidato, mentre l’interno veniva rivestito con velluto scuro per evitare riflessi parassiti.
Ogni camera era provvista di un soffietto in pelle conciata di alta qualità, che garantiva flessibilità e tenuta alla luce. Le guide di scorrimento per la messa a fuoco erano montate su una base a doppia rotaia con manopole laterali in ottone, consentendo un controllo preciso della distanza tra obiettivo e piano di esposizione. La presenza di una lente con diaframma a iride regolabile rappresentava un notevole passo avanti rispetto ai modelli più rudimentali, che impiegavano diaframmi fissi o a dischi intercambiabili.
Le lenti erano generalmente fornite da terze parti, spesso importate dalla Francia o prodotte da ottici statunitensi come Charles C. Harrison, ma la ditta offriva anche camere “complete”, già dotate di ottica e otturatore a caduta o con sistema a tappo manuale, secondo la prassi dagherrotipica. L’inclinazione della camera era regolabile grazie a una cerniera basculante sotto la base, utile per la fotografia di ritratto o per correggere la prospettiva.
L’azienda si distinse anche per la fornitura di accessori quali cornici per dagherrotipi, supporti per pose, lampade a olio per esposizioni notturne, piastre d’argento lucidate, contenitori chimici e altri strumenti legati alla produzione e al trattamento delle immagini dagherrotipiche. Tisdell and Whittelsey si rivelò così non solo un costruttore di camere, ma un fornitore completo per lo studio fotografico dell’epoca, in grado di rispondere a ogni esigenza operativa del professionista.
Il mercato servito dalla Tisdell and Whittelsey era essenzialmente urbano e professionale. New York, grazie alla sua posizione centrale nel sistema commerciale statunitense, rappresentava un luogo privilegiato per la distribuzione e lo scambio di materiali fotografici. La ditta operava in modo ibrido, con una bottega aperta al pubblico e una linea di produzione su richiesta, in parte artigianale e in parte seriale. Questo modello le consentì di fornire strumenti tanto al fotografo itinerante quanto al ritrattista con studio fisso.
Le fonti archivistiche testimoniano la presenza di annunci pubblicitari pubblicati su giornali come il Scientific American o il New York Tribune, nei quali la Tisdell and Whittelsey promuoveva la propria gamma di camere complete per dagherrotipi, spesso enfatizzando la “perfect alignment” e la qualità dell’artigianato locale. La strategia pubblicitaria puntava alla qualità dei materiali e all’affidabilità nella lunga durata: elementi particolarmente rilevanti in un’epoca in cui l’equipaggiamento fotografico era soggetto a forte usura.
Oltre alla vendita diretta, l’azienda sviluppò contatti con numerosi studi fotografici attivi sulla costa orientale degli Stati Uniti. Diverse testimonianze d’epoca indicano che le camere Tisdell and Whittelsey vennero impiegate in atelier professionali a Baltimora, Boston, Filadelfia e Richmond, segno che la produzione, pur su scala ridotta, aveva raggiunto una discreta diffusione nel mercato specializzato.
Un ruolo importante fu giocato anche nel supporto tecnico e nella consulenza per la preparazione delle lastre, per la costruzione di camere oscure portatili, e per l’approvvigionamento dei sali argentici, allora fondamentali per ottenere immagini nitide e ben fissate. La ditta offriva formazione e consigli pratici ai nuovi dagherrotipisti, divenendo di fatto un punto di riferimento nella trasmissione delle competenze tecniche del tempo.
Un aspetto meno noto ma particolarmente rilevante nella produzione della Tisdell and Whittelsey riguarda la realizzazione di camere fotografiche miniaturizzate, pensate per usi discreti o legati all’osservazione senza destare sospetti. Questi apparecchi, oggi conosciuti retroattivamente come “detective cameras”, erano in realtà strumenti estremamente innovativi per l’epoca, concepiti non per l’impiego ritrattistico tradizionale ma per la ripresa discreta in ambito urbano o sorveglianza privata. Le cronache tecniche riportano che la ditta sviluppò almeno due modelli di piccole dimensioni, in grado di contenere una piastra dagherrotipica in formato 1/16 o 1/9, nascosta all’interno di scatole in legno che simulavano oggetti comuni, come libri o cofanetti per documenti.
Il meccanismo era rudimentale ma ingegnoso: un semplice otturatore rotante manuale, comandato da una levetta esterna o da un cordino di trazione, consentiva lo scatto silenzioso. La lente veniva spesso mascherata dietro una griglia o un motivo decorativo, e l’intera struttura era pensata per non attirare l’attenzione in ambienti pubblici. Questi strumenti furono occasionalmente utilizzati da investigatori privati o cronisti di città, ma anche da naturalisti e collezionisti desiderosi di documentare ambienti senza interferire con la scena.
Benché non si tratti di una produzione su larga scala né sistematica, il contributo della Tisdell and Whittelsey a questo settore sperimentale dimostra una precoce comprensione del potenziale della fotografia come strumento d’osservazione invisibile, anticipando soluzioni che sarebbero state pienamente sviluppate solo decenni più tardi. Alcuni rarissimi esemplari di queste camere “invisibili” sono oggi conservati in collezioni museali statunitensi, tra cui il George Eastman Museum e il Metropolitan Museum of Art, e rappresentano uno dei vertici dell’inventiva artigianale dell’azienda.
Con l’arrivo del processo collodio-umido negli anni Cinquanta, le richieste di attrezzature dagherrotipiche cominciarono a calare, e molte ditte specializzate — tra cui la stessa Tisdell and Whittelsey — si trovarono in difficoltà nell’adattarsi al nuovo paradigma. La ditta cessò probabilmente le attività intorno al 1856, non risultando più attiva negli elenchi cittadini dopo quella data.

Sono Manuela, autrice e amministratrice del sito web www.storiadellafotografia.com. La mia passione per la fotografia è nata molti anni fa, e da allora ho dedicato la mia vita professionale a esplorare e condividere la sua storia affascinante.
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